Il 22 dicembre scorso Salvatore Girone e
Massimiliano Latorre, i due marò arrestati in Kerala quasi 11 mesi fa per
l’omicidio di due pescatori indiani, erano in volo verso Ciampino grazie ad un
permesso speciale accordato dalle autorità indiane. L’aereo non era ancora
atterrato su suolo italiano che già i motori della propaganda sciovinista
nostrana giravano a pieno regime, in fibrillazione per il ritorno a casa dei
«nostri ragazzi”, promossi in meno di un anno al grado di eroi della patria.
La vicenda dell’Enrica Lexie, la petroliera italiana
sulla quale i due militari del battaglione San Marco erano in servizio
anti-pirateria, ha calcato insistentemente le pagine dei giornali italiani e
occupato saltuariamente i telegiornali nazionali.
E a seguirla da qui, in un villaggio a tre ore da
Calcutta, la narrazione dell’incidente diplomatico tra Italia e India iniziato
a metà febbraio è stata – andiamo di eufemismi – parziale e unilaterale,
piegata a una ricostruzione dei fatti distante non solo dalla realtà ma, a tratti,
anche dalla verosimiglianza.
In un articolo pubblicato l’11 novembre scorso su
China Files ho ricostruito il caso Enrica Lexie sfatando una serie di fandonie
che una parte consistente dell’opinione pubblica italiana reputa verità
assolute, prove della malafede indiana e tasselli del complotto indiano.
Riprendo da lì il sunto dei fatti.
E’ il 15 febbraio 2012 e la petroliera italiana
Enrica Lexie viaggia al largo della costa del Kerala, India sud occidentale, in
rotta verso l’Egitto. A bordo ci sono 34 persone, tra cui sei marò del
Reggimento San Marco col compito di proteggere l’imbarcazione dagli assalti dei
pirati, un rischio concreto lungo la rotta che passa per le acque della
Somalia. Poco lontano, il peschereccio indiano St. Antony trasporta 11 persone.
Intorno alle 16:30 locali si verifica l’incidente:
l’Enrica Lexie è convinta di essere sotto un attacco pirata, i marò sparano
contro la St. Antony ed uccidono Ajesh Pinky (25 anni) e Selestian Valentine
(45 anni), due membri dell’equipaggio.
La St. Antony riporta l’incidente alla guardia
costiera del distretto di Kollam che subito contatta via radio l’Enrica Lexie,
chiedendo se fosse stata coinvolta in un attacco pirata. Dall’Enrica Lexie
confermano e viene chiesto loro di attraccare al porto di Kochi.
La Marina Italiana ordina ad Umberto Vitelli,
capitano della Enrica Lexie, di non dirigersi verso il porto e di non far
scendere a terra i militari italiani. Il capitano – che è un civile e risponde
agli ordini dell’armatore, non dell’Esercito – asseconda invece le richieste
delle autorità indiane.
La notte del 15 febbraio, sui corpi delle due
vittime viene effettuata l’autopsia. Il 17 mattina vengono entrambi sepolti.
Il 19 febbraio Massimiliano Latorre e Salvatore
Girone vengono arrestati con l’accusa di omicidio. La Corte di Kollam dispone
che i due militari siano tenuti in custodia presso una guesthouse della CISF
(Central Industrial Security Force, il corpo di polizia indiano dedito alla
protezione di infrastrutture industriali e potenziali obiettivi terroristici)
invece che in un normale centro di detenzione.
Questi i fatti nudi e crudi. Da quel momento è
partita una vergognosa campagna agiografica fascistoide, portata avanti in
particolare da Il Giornale, quotidiano che, citando un’amica, «mi vergognerei
di leggere anche se fossi di destra».
Che Il Giornale si sia lanciato in questa missione
non stupisce, per almeno due motivi:
Ignazio La Russa
1) La fidelizzazione dei suoi (e)lettori passa
obbligatoriamente per l’esaltazione acritica delle nostre – stavolta sì, nostre
– forze armate, impegnate a «difendere la patria e rappresentare l’Italia nel
mondo» anche quando, sotto contratto con armatori privati, prestano i loro
servizi a difesa di interessi privati.
Anomalia, quest’ultima, per la quale dobbiamo
ringraziare l’ex governo Berlusconi e in particolare l’ex ministro della Difesa
Ignazio La Russa, che nell’agosto 2011 ha legalizzato la presenza di militari a
difesa di imbarcazioni private. In teoria la legge prevede l’uso dell’esercito
o di milizie private, senonché le regole di ingaggio di queste ultime sono
ancora da ultimare, lasciando il monopolio all’Esercito italiano. Ma questa è –
parzialmente – un’altra storia.
2) Il secondo motivo ha a che fare col governo
Monti, per il quale il caso dei due marò ha rappresentato il primo grosso banco
di prova davanti alla comunità internazionale, escludendo la missione
impossibile di cancellare il ricordo dell’abbronzatura di Obama, della culona
inchiavabile, letto di Putin, della nipote di Mubarak, dell’harem libico nel
centro di Roma e tutto il resto del repertorio degli ultimi 20 anni.
Troppo presto per togliere l’appoggio a Monti per
questioni interne, da marzo in poi Latorre e Girone sono stati l’occasione
provvidenziale per attaccare l’esecutivo dei tecnici, mantenendo vivo il
rapporto con un elettorato che tra poco sarà di nuovo chiamato alle urne. E’ il
tritacarne elettorale preannunciato da Emanuele Giordana al quale i due marò,
dopo la visita ufficiale al Quirinale del 22 dicembre, sono riusciti a sottrarsi
chiudendosi letteralmente nelle loro case fino al 10 gennaio quando, secondo i
patti, torneranno in Kerala in attesa del giudizio della Corte Suprema di
Delhi.
Margherita Boniver
Qualche esempio di strumentalizzazione?
Margherita Boniver, senatrice Pdl, il 19 dicembre
riesce finalmente a fare notizia offrendosi come ostaggio per permettere a
Latorre e Girone di tornare in Italia per Natale.
Ignazio La Russa, Pdl, il 21 dicembre annuncia di
voler candidare i due marò nelle liste del suo nuovo partito Fratelli d’Italia
(sic!).
L’escamotage, che serve a blindare i due militari
entro i confini italiani, è rimandato al mittente dagli stessi Latorre e
Girone, irremovibili nel mantenere la parola data alle autorità indiane.
LA QUERELLE SULLA POSIZIONE DELLA NAVE E UNA CURIOSA
“CONTROPERIZIA”
La prima tesi portata avanti maldestramente dalla
diplomazia italiana, puntellata dagli organi d’informazione, sosteneva che
l’Enrica Lexie si trovasse in acque internazionali e, di conseguenza, la
giurisdizione dovesse essere italiana. Ma le cose pare siano andate
diversamente.
Il governo italiano ha sostenuto che l’Enrica Lexie
si trovasse a 33 miglia nautiche dalla costa del Kerala, ovvero in acque
internazionali, il che avrebbe dato diritto ai due marò ad un processo in
Italia. La tesi è stata sviluppata basandosi sulle dichiarazioni dei marò e su
non meglio specificate «rilevazioni satellitari”.
Secondo l’accusa indiana l’incidente si era invece
verificato entro il limite delle acque nazionali: Girone e Latorre dovevano
essere processati in India.
Nonostante la confusione causata dal campanilismo
della stampa indiana ed italiana, la posizione della Enrica Lexie non è più un
mistero ed è ufficialmente da considerare valida la perizia indiana.
La squadra d’investigazione speciale che si è
occupata del caso lo scorso 18 maggio ha depositato presso il tribunale di
Kollam l’elenco dei dati a sostegno dell’accusa di omicidio, citando i
risultati dell’esame balistico e la posizione della petroliera italiana durante
la sparatoria.
Secondo i dati recuperati dal GPS della petroliera
italiana e le immagini satellitari raccolte dal Maritime Rescue Center di
Mumbai, l’Enrica Lexie si trovava a 20,5 miglia nautiche dalla costa del
Kerala, nella cosiddetta «zona contigua».
Il diritto marittimo internazionale considera «zona
contigua» il tratto di mare che si estende fino alle 24 miglia nautiche dalla
costa, entro le quali è diritto di uno Stato far valere la propria
giurisdizione.
Sti fasci de casa pau giocano a ffà 'a guera
coll'india. Più tardi aggredischeno la Kamciacca. - Seh, poi finisce che se
fanno 'e tre de notte e domattina so' cazzi, svejasse pe' andà a scola! Tipo
che a forza de ffà sega, qui ce tocca ripete' a prima media... - Pure
quest'anno?!
A contrastare la versione ufficiale delle autorità
indiane – che, ricordiamo, è stata accettata anche dai legali dei due marò e
sarà la base sulla quale la Corte suprema indiana si pronuncerà – è apparsa in
rete la ricca controperizia dell’ingegner Luigi di Stefano, già perito di parte
civile per l’incidente di Ustica.
Di Stefano presenta una serie di dati ed analisi
tecniche a supporto dell’innocenza dei due marò. Chi scrive non è esperto di
balistica né perito legale – non è il mio mestiere – e davanti alla mole di
dati sciorinati da Di Stefano rimane abbastanza impassibile. Tuttavia, è
importante precisare che Di Stefano basa gran parte della sua controperizia su
una porzione minima dei dati, quelli cioè divulgati alla stampa a poche
settimane dall’incidente. Dati che, sappiamo ora, sono stati totalmente
sbugiardati dalle rilevazioni satellitari del Maritime Rescue Center di Mumbai
e dall’esame balistico effettuato dai periti indiani.
Nella perizia troviamo stralci di interviste tratti
dal settimanale Oggi, fotogrammi ripresi da Youtube, fermi immagine di
documenti mandati in onda da Tg1 e Tg2 (sui quali Di Stefano costruisce la sua
teoria della falsificazione dei dati da parte della Marina indiana), altre foto
estrapolate da un video della Bbc e una serie di complicatissimi calcoli
vettoriali e simulazioni 3d.
Non si menziona mai, in tutta la perizia, nessuna
fonte ufficiale dei tecnici indiani che, come abbiamo visto, hanno depositato
in tribunale l’esito delle loro indagini il 18 maggio. Di Stefano aveva addirittura
presentato il suo lavoro durante un convegno alla Camera dei deputati il 16
aprile, un mese prima che fossero disponibili i risultati delle perizie
indiane!
In quell’occasione i Radicali hanno avanzato
un’interrogazione parlamentare al ministro degli Esteri Terzi, chiedendo
sostanzialmente: «Ma se abbiamo mandato i nostri tecnici in India e loro non
hanno detto nulla, perché dobbiamo stare a sentire Di Stefano?».
Il lavoro di Di Stefano, in definitiva, è viziato
sin dal principio dall’analisi di dati clamorosamente incompleti, costruito su
dichiarazioni inattendibili e animato dal buon vecchio sentimento di
superiorità occidentale nei confronti del cosiddetto Terzo mondo.
Se qualcuno ancora oggi ritiene che una simile
perizia artigianale sia più attendibile di quella ufficiale indiana, cercare di
spiegare perché non lo è potrebbe essere un inutile dispendio di energie.
UNGHIE SUI VETRI: «NON SONO STATI LORO A SPARARE!»
Altra tesi particolarmente in voga: non sono stati i
marò a sparare, c’era un’altra nave di pirati nelle vicinanze, sono stati loro.
Nel rapporto consegnato in un primo momento dai
membri dell’equipaggio dell’Enrica Lexie alle autorità indiane e italiane
(entrambi i Paesi hanno aperto un’inchiesta) si specifica che Latorre e Girone
hanno sparato tre raffiche in acqua, come da protocollo, man mano che
l’imbarcazione sospetta si avvicinava all’Enrica Lexie. Gli indiani sostengono
invece che i colpi erano stati esplosi con l’intenzione di uccidere, come si
vede dai 16 fori di proiettile sulla St. Antony.
Il 28 febbraio il governo italiano chiede che al
momento dell’analisi delle armi da fuoco siano presenti anche degli esperti
italiani. La Corte di Kollam respinge la richiesta, accordando però che un team
di italiani possa presenziare agli esami balistici condotti da tecnici indiani.
Gli esami confermano che a sparare contro la St.
Antony furono due fucili Beretta in dotazione ai marò, fatto supportato anche
dalle dichiarazioni degli altri militari italiani e dei membri dell’equipaggio
a bordo sia dell’Enrica Lexie che della St. Antony.
Staffan De Mistura, sottosegretario agli Esteri
italiano, il 18 maggio ha dichiarato alla stampa indiana: «La morte dei due
pescatori è stato un incidente fortuito, un omicidio colposo. I nostri marò non
hanno mai voluto che ciò accadesse, ma purtroppo è successo».
I più cocciuti, pur davanti all’ammissione di colpa
di De Mistura, citano ora il mistero della Olympic Flair, una nave mercantile
greca attaccata dai pirati il 15 febbraio, sempre al largo delle coste del
Kerala. La notizia, curiosamente, è stata pubblicata esclusivamente dalla
stampa italiana, citando un comunicato della Camera di commercio internazionale
inviato alla Marina militare italiana. Il 21 febbraio la Marina mercantile
greca ha categoricamente escluso qualsiasi attacco subito dalla Olympic Flair.
A questo punto possiamo tranquillamente sostenere
che:
1) l’Enrica Lexie non si trovava in acque
internazionali;
2) i due marò hanno sparato.
Sono due fatti supportati da prove consistenti e
accettati anche dalla difesa italiana, che ora attende la sentenza della Corte
suprema circa la giurisdizione.
Secondo la legge italiana ed i suoi protocolli
extraterritoriali, in accordo con le risoluzioni dell’Onu che regolano la lotta
alla pirateria internazionale, i marò a bordo della Enrica Lexie devono essere
considerati personale militare in servizio su territorio italiano (la
petroliera batteva bandiera italiana) e dovrebbero godere quindi dell’immunità
giurisdizionale nei confronti di altri Stati.
La legge indiana dice invece che qualsiasi crimine
commesso contro un cittadino indiano su una nave indiana – come la St. Antony –
deve essere giudicato in territorio indiano, anche qualora gli accusati si
fossero trovati in acque internazionali.
A livello internazionale vige la Convention for the
Suppression of Unlawful Acts Against the Safety of Maritime Navigation (SUA
Convention), adottata dall’International Maritime Organization (Imo) nel 1988,
che a seconda delle interpretazioni, indicano gli esperti, potrebbe dare
ragione sia all’Italia sia all’India.
La sentenza della Corte Suprema di New Delhi,
prevista per l’8 novembre ma rimandata nuovamente a data da destinarsi,
dovrebbe appunto regolare questa ambiguità, segnando un precedente legale per
tutti i casi analoghi che dovessero verificarsi in futuro.
Il caso dei due marò, che dal mese di giugno sono in
regime di libertà condizionata e non possono lasciare il Paese prima della
sentenza, sarà una pietra miliare del diritto marittimo internazionale.
IMPRECISIONI, DIMENTICANZE, SAGRESTIE E ROMBI DI
MOTORI
In oltre 10 mesi di copertura mediatica, la cronaca
a macchie di leopardo di gran parte della stampa nazionale ha omesso dettagli
significativi sul regime di detenzione dei marò, si è persa per strada alcuni
passaggi della diplomazia italiana in India e ha glissato su una serie di
comportamenti “al limite della legalità” che hanno contraddistinto gli sforzi
ufficiali per «riportare a casa i nostri marò». In un altro articolo pubblicato
su China Files il 7 novembre, avevo collezionato le mancanze più eclatanti.
Riprendo qui quell’esposizione.
Descritti come «prigionieri di guerra in terra
straniera» o militari italiani «dietro le sbarre», Massimiliano Latorre e
Salvatore Girone in realtà non hanno speso un solo giorno nelle famigerate
carceri indiane.
I due militari del Reggimento San Marco, in libertà
condizionata dal mese di giugno, come scrive Paolo Cagnan su L’Espresso, in
India sono trattati col massimo riguardo e, in oltre otto mesi, non hanno
passato un solo giorno nelle famigerate celle indiane, alloggiando sempre in
guesthouse o hotel di lusso con tanto di tv satellitare e cibo italiano in
tavola. Tecnicamente, «dietro le sbarre» non ci sono stati mai.
Un trattamento di lusso accordato fin dall’inizio
dalle autorità indiane che, come ricordava Carola Lorea su China Files il 23
febbraio, si sono assicurate che il soggiorno dei marò fosse il meno doloroso
possibile:
«I due marò del Battaglione San Marco sospettati di
aver erroneamente sparato a due pescatori disarmati al largo delle coste del
Kerala, sono alloggiati presso il confortevole CISF Guest House di Cochin per
meglio godere delle bellezze cittadine.
Secondo l’intervista rilasciata da un alto
funzionario della polizia indiana al Times of India, i due sfortunati membri
della marina militare italiana sarebbero trattati con grande rispetto e con
tutti gli onori di casa, seppure accusati di omicidio.
La diplomazia italiana avrebbe infatti fornito alla
polizia locale una lista di pietanze italiane da recapitare all’hotel per il
periodo di fermo: pizza, pane, cappuccino e succhi di frutta fanno parte del
menu finanziato dalla polizia regionale. Il danno e la beffa.»
Intanto, l’Italia cercava in ogni modo di evitare la
sentenza dei giudici indiani, ricorrendo anche all’intercessione della Chiesa.
Alcune iniziative discutibili portate avanti dalla diplomazia italiana, o da
chi ne ha fatto tristemente le veci, hanno innervosito molto l’opinione
pubblica indiana. Due di queste sono direttamente imputabili alle istituzioni
italiane.
In primis, aver coinvolto il prelato cattolico
locale nella mediazione con le famiglie delle due vittime, entrambe di fede
cattolica. Il sottosegretario agli Esteri De Mistura si è più volte consultato
con cardinali ed arcivescovi della Chiesa cattolica siro-malabarese, nel
tentativo di aprire anche un canale “spirituale” con i parenti di Ajesh Pinky e
Selestian Valentine, i due pescatori morti il pomeriggio del 15 febbraio.
L’ingerenza della Chiesa di Roma non è stata
apprezzata dalla comunità locale che, secondo il quotidiano Tehelka, ha
accusato i ministri della fede di «immischiarsi in un caso penale»,
convincendoli a dismettere il loro ruolo di mediatori.
Il 24 aprile, inoltre, il governo italiano e i
legali dei parenti delle vittime hanno raggiunto un accordo economico
extra-giudiziario. O meglio, secondo il ministro della Difesa Di Paola si è
trattato di «una donazione», di «un atto di generosità slegato dal processo».
Alle due famiglie, col consenso dell’Alta Corte del
Kerala, vanno 10 milioni di rupie ciascuna, in totale quasi 300mila euro. Dopo
la firma, entrambe le famiglie hanno ritirato la propria denuncia contro
Latorre e Girone, lasciando solo lo Stato del Kerala dalla parte dell’accusa.
Raccontata dalla stampa italiana come un’azione
caritatevole, la transazione economica è stata interpretata in India non solo
come un’implicita ammissione di colpa, ma come un tentativo, nemmeno troppo
velato, di comprarsi il silenzio delle famiglie dei pescatori.
Tanto che il 30 aprile la Corte Suprema di Delhi ha
criticato la scelta del tribunale del Kerala di avallare un simile accordo tra
le parti, dichiarando che la vicenda «va contro il sistema legale indiano, è
inammissibile.»
Immagine tratta dal sito di Libero. Il giornale ha
toni incazzati, ma i lettori sembrano di buon umore.
Ma il vero capolavoro di sciovinismo è arrivato lo
scorso mese di ottobre durante il Gran Premio di Formula 1 in India. In
un’inedita liaison governo-Il Giornale-Ferrari, in poco più di una settimana
l’Italia è riuscita a far tornare in prima pagina il non-caso dei marò che in
India, dopo 8 mesi dall’incidente, era stato ampiamente relegato nel
dimenticatoio mediatico.
Rispondendo all’appello de Il Giornale ed alle
«migliaia di lettere» che i lettori hanno inviato alla redazione del direttore
Sallusti, la Ferrari ha accettato di correre il gran premio indiano di Greater
Noida mostrando in bella vista sulle monoposto la bandiera della Marina
Militare Italiana. Il primo comunicato ufficiale di Maranello recitava:
«[…] La Ferrari vuole così rendere omaggio a una
delle migliori eccellenze del nostro Paese auspicando anche che le autorità
indiane e italiane trovino presto una soluzione per la vicenda che vede
coinvolti i due militari della Marina Italiana.»
La replica seccata del Ministero degli Esteri
indiano non si fa attendere: «Utilizzare eventi sportivi per promuovere cause
che non sono di quella natura significa non essere coerenti con lo spirito
sportivo.»
Pur avendo incassato il plauso del ministro degli
Esteri Terzi, che su Twitter ha gioito dell’iniziativa che «testimonia il
sostegno di tutto il Paese ai nostri marò», la Scuderia Ferrari opta per un
secondo comunicato. Sfidando ogni logica e l’intelligenza di italiani ed
indiani, l’ufficio stampa della casa automobilistica specifica che esporre la
bandiera della Marina «non ha e non vuole avere alcuna valenza politica.»
In mezzo al tira e molla di una strategia
diplomatica improvvisata, così impegnata a non scontentare l’Italia più
sciovinista al punto da appoggiare la pessima operazione d’immagine del duo
Maranello-Il Giornale, accolta in India da polemiche ampiamente giustificabili,
il racconto dei marò – precedentemente «dietro le sbarre» - è continuato
imperterrito con toni a metà tra un romanzo di Dickens e una sagra di paese.
Il Giornale, ad esempio, esaltando la vittoria
morale dell’endorsement Ferrari, confida ai propri lettori che
«i famigliari di Massimiliano Latorre, tutti con una
piccola coccarda di colore giallo e il simbolo della Marina Militare al centro
appuntata sugli abiti, hanno pensato di portare a Massimiliano e a Salvatore
alcuni tipici prodotti locali della Puglia: dalle focacce ai dolci d’Altamura
per proseguire poi con le orecchiette, le friselle di grano duro.»
L’operazione, qui in India, ha raggiunto
esclusivamente un obiettivo: far inviperire ancora di più le schiere di
fanatici nazionalisti indiani sparse in tutto il Paese.
Ma è lecito pensare che la mossa mediatica, ancora
una volta, non sia stata messa a punto per il bene di Latorre e Girone, bensì
per strizzare l’occhiolino a quell’Italia abbruttita dalla provincialità
imposta dai propri politici di riferimento, maltrattata da un’informazione
colpevolmente parziale che da tempo ha smesso di “informare” preferendo
istruire, depistare, ammansire e rintuzzare gli istinti peggiori di una
popolazione alla quale si rifiuta di dare gli strumenti e i dati per provare a
capire e pensare con la propria testa.
PARLARE A CHI SI TAPPA LE ORECCHIE
In questi mesi, quando provavamo a raccontare la
storia dei marò facendo due passi indietro e includendo doverosamente anche le
fonti indiane, ci sono piovuti addosso decine di insulti. Quando citavamo fonti
dai giornali indiani, ci accusavano di essere «come un fogliaccio del Kerala»;
quando abbiamo provato a spiegare il problema della giurisdizione, ci hanno
risposto «L’India è un paese di pezzenti appena meno pezzenti di prima che
cerca di accreditarsi come potenza, ma sempre pezzenti restano. E un pezzente
con soldi diventa arrogante. Da nuclearizzare!»; quando abbiamo cercato di
smentire le falsità pubblicate in Italia (come la memorabile bufala di Latorre
che salva un fotografo fermando una macchina con le mani e si guadagna le
copertine indiane come “Eroe”) ci hanno dato degli anti-italiani, augurandoci
di andare a vivere in India e vedere se là stavamo meglio. Ignorando il fatto
che, a differenza di molti, noi in India ci abitiamo davvero.
I beduini del Kerala... Fottuti bastardi...
Quando tutta questa vicenda verrà archiviata e i
marò saranno sottoposti a un giusto processo – in Italia o in India, speriamo
che sia giusto – sarà bene ricordarci come non fare del cattivo giornalismo,
come non condurre un confronto diplomatico con una potenza mondiale e,
soprattutto, come non strumentalizzare le nostre forze armate per fini
politici. Una cosa della quale, anche se fossi di destra, mi sarei vergognato.
fonte:
DA LEGGERE PER CAPIRE COSA NON HANNO PIU’ NULLA DA DIRE I DETRATTORI DEI NOSTRI FUCILIERI DI MARINA, “SCRITTORI” CHE A DISTANZA DI 24 MESI ANCORA DISQUISISCONO SULL’INTERNAZIONALITA’ O MENO DELLE ACQUE DOVE SONO AVVENUTI GLI EVENTI MA NON CI SPIEGANO PERCHE’ L’INDIA NON HA ANCORA PRODOTTO LE PROVE DEI FATTI E PRECISI ATTI DI ACCUSA.
RispondiEliminaGentile anonimo, tutte le verità coesistono nello stesso momento ed in ogni luogo, una di esse collassa in realtà percepita quando la mente la concepisce-comprende-abbraccia; le percezioni creano la nostra realtà tangibile.
EliminaChi può dire qual è la verità assoluta?
Non condivido quel che dici, ma darei la vita affinchè tu possa dirlo. Voltaire.
A presto.
M.S. quello che scrivi è scontato ... fatti tradurre i filmati originali indiani e scoprirai che chi ha piegato la verità ad una certa ideologia è le stesso autore dell'articolo, che riproduce solo i giornali filo governativi indiani. Prova a chiederti perché questo autore non ha mai parlato dei 6 marinai indiani che hanno massacrato 15 innocui e disarmati pescatori thailandesi e mai processati, o di quante delle bambine e donne violentate dai soldati indiani in Congo si sono suicidate...e nessuno degli oltre 35 soldati è stato condannato (coperto da immunità. Per aver violentate decine di donne e bambine?). La tua verità assoluta? Fatti tradurre i filmati indiani del 12-02-2015 e poi dopo il 19-02-2015, guarda le foto sui giornali indiani e poi cerca di farti un'opinione senza bere pedissequamente ciò che qualcuno, che odia i militari a prescindere, afferma. N.B! Mi sembra non sopporti solo i militari italiani, non certo quelli indiani.
RispondiEliminaPersonalmente non ho scritto proprio niente in merito considerato che non ho conoscenza del fenomeno.
EliminaAl tempo della pubblicazione del post ne pubblicai diversi per cercare di capirci qualcosa di più, tuttavia la faccenda era ed è alquanto complicata e quindi ho lasciato perdere per mancanza di tempo.
Non odio nessun militare, anzi ho molti amici che lo sono e capisco benissimo il loro status.
Il fatto che con questo articolo io abbia preso una cantonata comincio a crederlo anch'io visto che non sei il primo a dirmelo, come hai potuto vedere, purtroppo data la mia scarsa conoscenza su molte materie-aspetti dell'oggi di questi articoli "sbagliati" ne troverai degli altri su questo blog se li cerchi. Lo scopo di tali articoli è quello appunto di capirci qualcosa sui fatti che trattano non certo quello di giudicare.
Tieni conto che le idee cambiano di continuo sulla base delle informazioni che si acquisiscono col tempo e di tempo ne è passato da quando ho pubblicato questo post, che ripeto non è mio.
Mi piacerebbe trovare il tempo di fare quella ricerca che dici, ma purtroppo ...
di cantonate ne prendi molte, non è la prima volta che leggo emerite cazzate in questo blog.
Eliminaaccendi il cervello prima di pubblicare le cose, sempre se le comprendi.
Sei di una gentilezza disarmante...... farai molta strada.
EliminaAnonimo non sarai mica del pd?
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