sabato 29 giugno 2019

Metastasi e Tumori: cosa c'è da sapere?

Parliamo di Metastasi e di Tumori?

La parola «metastasi» deriva dal greco «metastasis» che significa «cambiamento di luogo».
Secondo la medicina classica, le metastasi sono focolai secondari generati dal tumore originario, e una metastasi può formarsi nelle ossa a partire da un tumore al seno oppure nei polmoni a partire da un tumore al colon.
Sostiene anche che possono diffondersi da un punto all’altro dell’organismo attraverso cellule trasportate dalla circolazione sanguigna, linfatica o attraverso una cavità naturale del corpo, come tra le pareti esterne e interne della membrana peritoneale che riveste l’addome. Si potrebbero nutrire dubbi su queste convinzioni, visto che sono fondate su ipotesi.
Affinché delle cellule cancerose possano raggiungere zone lontane dal focolaio tumorale non hanno altra scelta che prendere la via arteriosa dato che, nel sistema venoso e linfatico, il sangue e la linfa scorrono dalla periferia verso il centro, cioè verso il cuore.
Ora, molteplici esperimenti fatti sia con animali sia con uomini per trovare cellule cancerose nel sangue arterioso non hanno mai avuto successo.
Inoltre, è estremamente raro osservare un cancro secondario in un animale.
Ancora più interessante è constatare che quasi tutti gli organi possono essere colpiti da tumori primari, mentre quelli secondari (per metastasi) colpiscono principalmente organi come le ossa, i polmoni, il fegato e il cervello.
Si sente sovente parlare di donne con un tumore al seno che sono state in seguito colpite da un cancro alle ossa, ai polmoni o al fegato e infine al cervello.
Ma è molto raro che si produca il contrario, ovvero che un cancro ai polmoni evolva in cancro al seno.

Lo stesso per gli uomini: raramente si vedrà un uomo avere un cancro ai polmoni per poi svilupparne uno ai testicoli, mentre il contrario, ovvero un tumore ai testicoli come tumore primario seguito da un tumore ai polmoni come secondario, è molto frequente.
La medicina allopatica (classica) postula anche che i tumori benigni non generano metastasi.
Prendiamo il caso di una donna che ha appena consultato il medico per un piccolo nodulo che ha notato nel seno.
Che succederà se lui le dice: «Ho una buona notizia per lei, non è che un lipoma, un piccolo tumore benigno»?
La donna avrà paura di morire o si sentirà sollevata?
Se, al contrario, il medico le dice: «Ho una triste notizia da darle, ha un tumore al seno», l’annuncio la solleverà o aumenterà lo stress che già c’era?
Potrà forse causare uno shock, un nuovo grave stress?

Se, in più, la donna chiede al medico: «Potrei morirne?» e lui, volendo essere sincero, le risponde: «È purtroppo il tumore con la maggiore mortalità nelle donne, ed è per questo che si deve intervenire rapidamente», questa risposta potrebbe generare la paura di morire e dar luogo a noduli sui polmoni?

“Vediamo Tumore ai polmoni alla voce Polmoni. :
POLMONI: organo principale dell’apparato respiratorio, forniscono l’ossigeno a tutto il corpo ed eliminano l’anidride carbonica dal sangue. I polmoni rappresentano la vita, il bisogno di spazio e di libertà. Malattie come la polmonite, la broncopolmonite, il pneumotorace acuto sono molto spesso collegate a un profondo scoraggiamento per cui non si ha più voglia di vivere. Vedi le voci corrispondenti.
 Tumore ai polmoni: ci sono vari tipi di tumore ai polmoni, i più comuni sono il carcinoma e l’adenocarcinoma. Sono per lo più in relazione a una paura ossessiva di morire.
 Macchie sui polmoni e tumore secondario ai polmoni: questo tumore, che sopravviene dopo un tumore primario, è spesso chiamato tumore metastatico al polmone ed è legato alla paura ossessiva di morire. La paura mantiene la persona malata in simpaticotonia, ovvero sotto l’azione del sistema nervoso simpatico, che è biologicamente programmato per mantenere in stato di veglia e di combattività. Esso accelera il nostro ritmo cardiaco e respiratorio per preparare il corpo ad agire o a reagire in caso di pericolo. Mantenendo il sistema nervoso in attività, il ritmo cardiaco aumenta, il sangue circola troppo rapidamente e non ha il tempo per caricarsi in modo sufficiente dell’ossigeno di cui i tessuti dell’organismo hanno bisogno.
Per sopravvivere il cervello utilizza una soluzione biologica che consiste nella produzione di cellule speciali, ovvero alveoli polmonari, che hanno la capacità di assorbire una maggiore quantità di ossigeno di quelli normali, compensando così la carenza di ossigenazione dovuta all’aumento del ritmo cardiaco.
Nella radiografia dei polmoni, dato che questi ammassi di cellule contengono più ossigeno di quelle normali, appariranno come macchie bianche.
È quello a cui ci si riferisce quando si parla di «macchie bianche sui polmoni», che terrorizzano tanti pazienti.
È ciò che è accaduto al mio patrigno. Durante il ricovero in ospedale per l’ablazione della prostata, gli fu fatta una radiografia. Quando il medico gli disse che aveva delle macchie ai polmoni, pensò di avere un cancro.
L’angoscia si impadronì di lui, il sistema simpatico accrebbe il suo lavoro. Gli ammassi di cellule speciali aumentarono formando tumori polmonari.
Non ci fu il tempo di operarlo.
Il mio patrigno si arrese e si lasciò morire.
Questo risale a ventisei anni fa.
A quell’epoca non avevo queste conoscenze, anche se lavoravo in ambito medico.
Non possiamo fare niente per coloro che se ne sono andati, ma possiamo fare qualcosa per quelli che restano, a condizione di avere il coraggio di uscire dalle strade già battute.
Quindi:
Ho avuto molta paura di morire?
Ho avuto paura che questo primo tumore si estendesse?
È possibile che una donna colpita da un tumore al seno, che ne ha subito l’ablazione così come la perdita di capelli, si senta svalutata e possa pensare: «Ora come potrà desiderarmi un uomo, priva di un seno e senza capelli?»
E che questo sentimento di svalutazione abbia una ripercussione sulle ossa, in particolare quelle del bacino (osso sacro) che corrisponde alla zona sacrale, luogo dei rapporti sessuali?

Vedere Tumore alle ossa alla voce Ossatura.

lunedì 24 giugno 2019

L’educazione deviata del dare del “lei”


L’educazione deviata del dare del “lei”
Dare del “lei” è il segno più presente e pressante di un’”educazione” inculcataci a forza da questa insana civiltà.
Ce lo dicono continuamente e spesso ce lo impongono di rivolgerci con il “lei” alle altre persone quando esse non sono conosciute, quando rivestono cariche pubbliche o comunque importanti (dirigenti, manager ecc,) ecc. quindi ci siamo convinti nel tempo che questa comunicazione sia la più idonea, la più efficace a relazionarci o ad ottenere i risultati perseguiti.

In realtà la comunicazione del “lei” è una comunicazione di “separazione”, divide gli interlocutori e li pone su piani differenti, tale forma di colloquio riduce drasticamente ogni forma di empatia e comprensione; non consentendo di cogliere il vero senso del messaggio dell’altro genera a livello inconscio frustrazioni, distacchi e non garantisce di certo i migliori risultati.

Il voluto distacco(dividi et impera) introdotto col “lei” si arricchisce poi di ulteriori fardelli emotivi, comportamentali e relazionali quando gli interlocutori scoprono(o sanno) i rispettivi ruoli sociali quindi le gerarchie-importanze degli stessi;
l’interlocutore che si ritiene, anche a torto, più “elevato”, importante o intelligente a livello inconsapevole aggiunge una sottile vena di arroganza – autorità, al contrario chi si percepisce “inferiore” o di nessun ruolo sociale di rilievo ci mette, suo malgrado(inconsapevolmente), una “punta” di reverenza-sudditanza.
Se poi i due si percepiscono entrambi “più importanti” accade che la comunicazione diventa caotica, infruttuosa e scarsamente comprensibile, molto meglio se essi si percepiscono “inferiori” in detta circostanza infatti si ammirano a vicenda e la comunicazione sarà ben più proficua.
Il “lei” infatti viene usato quando non si vuole rimanere troppo invischiati in un argomento(ad es. vedasi le comunicazioni sui social), ad una persona o una situazione anche se si tratta di relazioni tra “simili”.

Si tratta di comportamenti usuali installati ormai da tempo immemore nella nostra mente attinenti al programma(mentale) “cultura”. Sarebbe bello decidere di riprogrammarsi secondo le proprie volontà o esigenze, per aumentare l’empatia, per rendere la comunicazione efficace e comprensibile oltre che creare sincere e quindi durature amicizie usando i fatidico “tu”(ed io), una forma di comunicazione diretta e nient’affatto offensiva che dev’essere “sentita” dagli interlocutori che si interfacceranno sullo stesso “piano”, com’è in effetti in natura, ma le credenze si sa sono dure a morire!

E’ da millenni ormai che inculcano alle masse il “mantra” che dare del “tu” ha una connotazione negativa, che costituisce elemento di una comunicazione volgare, non efficace e troppo invasiva(o socializzante?) e noi ci abbiamo creduto in pieno.

Invero dare del “tu” significa invece porsi sullo stesso piano dell’interlocutore, dare se stessi all’altro poiché si riconosce l’altro come parte di sé o comunque di pari dignità, importanza, intelligenza, umanità… come dice un vecchio detto maya “in lak ech” (io sono un altro te)!
La comunicazione del “tu” tuttavia non è affatto facile, di questi tempi poi e quasi sempre fraintesa anche se attuata nel migliore dei modi, essa infatti richiede la massima semplicità, praticità di dialogo e soprattutto sincerità e profondo rispetto(assertività); anche se un solo elemento non è attuato la comunicazione viene percepita come invadente e irriverente.
Sarebbe bello vivere in una cultura del tu, del rispetto, della vera uguaglianza, ma l’umanità dopo “eoni” di programmazioni non è ancora capace di fare il salto verso se stessa, verso l’unione!
A volte tuttavia è utile usare del lei per avvicinare persone che altrimenti si allontanerebbero inesorabilmente in virtù di quella concezione educativa che chiamano civiltà, in detti casi il “lei” serve per avvicinare, farsi dare fiducia e poi con dolcezza e serenità passare al “tu”, una tecnica ben nota in PNL(programmazione neuro linguistica).
Marcello Salas

giovedì 20 giugno 2019

Gli anni che non hai e come non invecchiare mai

Gli anni che credi di avere, ma non hai e come non invecchiare mai
Mi dispiace dover ribadire alcuni concetti che alla fine riconducono sempre alla solita e nitida consapevolezza che ci hanno mentito su tutto e che quanto più essi vanno nelle nostre profondità più male ci fanno poiché l’integrazione di una nuova concezione di se stessi e della vita richiede adattamento, quindi sofferenza, tuttavia ogni cosa ottenuta col “sudore” ha un valore notevole, inaspettato a volte inestimabile.

Oggi mi lancio in alcune considerazioni forse un po’ pindariche sul tempo che misuriamo e sulla nostra presunta età.
Il nostro calendario, quello gregoriano, è stato inventato molti secoli fa dai signori della chiesa, il suo scopo di misurare ogni attimo della vita dei fedeli in realtà mascherava(e maschera) ben altre intenzioni, in particolare la suddivisione ed il continuo contare di determinati periodi di vita costituiva una sorta di scissione della correlazione uomo-cicli della natura che è sempre esistita poi sostituita dallo scandire incessante, inesorabile di questi piccoli-grandi periodi (ore, minuti, secondi, mesi, anni) innaturali ed imposti e sui quali sono state poi implementate tutte le attività dell’uomo, in particolare il lavoro.

Una volta suddivisa la vita dell’uomo in molte piccole parti avvenne il pagamento in varie modalità del tempo di lavoro per parti della giornata(ore) e quindi l’acquisto del tempo di vita degli individui che pian piano a causa del denaro hanno dovuto cederne sempre di più ai padroni(società e datori di lavoro) per poter far fronte alle sempre crescenti necessità via via più superflue introdotte dalla “civiltà” sino ai giorni nostri ove il superfluo ha acquisito più valore della vita stessa.

Nacque così il detto “il tempo è denaro” in quanto più tempo si lavorava più denaro si accumulava, in realtà il tempo è e sempre sarà solo la nostra vita e chi paga per il nostro lavoro di fatto compra la nostra vita, potrebbe sembrare assurdo, ma qualcuno che si alza la mattina col buio per andare a lavorare e torna a casa col buio solo per mangiare e dormire percepisce nel profondo questo concetto.

Il conteggio temporale introdotto quindi servì per sottomettere ancora di più l’uomo comune, l’eterno schiavo a sua insaputa, che ora addirittura chiedeva di lavorare di più per avere di più, sostituendo l’essere, la sua vita, con l’avere materiale su cui le società si sono sempre più focalizzate.

Questo tempo in cui stiamo vivendo è un tempo innaturale, irreale, immaginato, anzi deciso a tavolino e che oltre a rendere una merce la nostra stessa vita ha creato ben altri risvolti che cercherò di spiegare.
Abbiamo vissuto per migliaia di anni in un tempo artificiale, diviso a tavolino in 24 h, di 60 min. di 60 sec, cicli che non appartengono al tempo naturale e viviamo da millenni in questo tempo artificiale in cui ci siamo convinti che il tempo è denaro.(fonte)
Il continuo ticchettare del tempo scandito da velocissimi secondi, rapidi minuti e brevi ore condito dagli innumerevoli impegni e problemi(distrazioni) che la civilissima società moderna ci riserva non consente all’individuo di percepire se stesso, ancor meno il suo collegamento con la madre terra e con la natura tutta e questo, benché non consapevole, determina uno stato di malessere causato da un deperimento energetico-spirituale che mantiene lo schiavo(meglio chiamarlo col suo vero nome) lontano da ogni libero ragionamento-sentimento-percezione; tutto nella sua vita è abilmente pilotato, ma gli viene fatto credere di esserne lui l’artefice.

Tuttavia non è solo questo, lo scandire continuo degli anni costituisce anch’esso un grosso limite nell’individuo che da tempi immemori oramai sa che dopo un certo numero di anni deve morire… la paura per eccellenza!

L’essere umano da bambino non vede l’ora di diventare grande, di accumulare gli anni per essere sempre di più accettato(in un gruppo o nella società), dopo un po’ stranamente sente dentro di sé che quell’importanza va a scemare anno dopo anno e già verso i 20-30 anni sente che tutta quella fretta di arrivare non c’è più, tuttavia gli anni gli continuano a scorrere sempre più velocemente a causa di un incremento costante di impegni che è da esaurimento… col tempo si perde la concezione del tempo, anzi dell’attimo, perché lo stato di fretta indotto impedisce ogni percezione di sè quindi del proprio respiro che scandisce il tempo-ciclo naturale minimo di vita nell’uomo.
L’incessante “ticchettio” del tempo artificiale che fa oramai parte dell’inconscio individuale e collettivo, interrompe il continuum percettivo dell’essenza di noi stessi, allontanandoci inesorabilmente dall’unica cosa che conta veramente: questo momento, qui, ora.
Gli anni che si compiono, uno dietro all’altro, inesorabili, inevitabili, scavano un “solco” profondo nel nostro inconscio che adegua l’intero organismo agli anni che ritiene di avere, quindi difficilmente troveremo 70enni gioviali come 30enni, né troveremo 30enni saggi come 70enni, ognuno si lega al suo tempo di vita quasi come fosse un dogma perchè così viene sottilmente imposto dalla società civile.
Il tempo non controllato e misurato è un tesoro…(fonte)
Non per ultimo la giovinezza non è una questione attinente al corpo essa è indissolubilmente legata alla vitalità e alla spensieratezza della mente oggi invece  un 70enne non sarà giovanile come vorrebbe o come si sente poiché il programma mentale e biologico dell’età ha influito così tanto su di lui da farlo ritrovare in un corpo non proprio “fresco” e quell’età data per inconfutabile viene usata, suo malgrado, per rallentare, per giustificare le proprie incapacità che da una parte sono state indotte negli anni dal distruttivo sistema in cui ha vissuto, ma dall’altra costituiscono la mancanza di volontà dell’individuo.

Gli anni che dicono-diciamo di avere ci rendono vecchi, solo quelli, se non esistessero, come in effetti è, la vecchiaia non esisterebbe e con buona probabilità non esisterebbe nemmeno la morte perché si capirebbe nel profondo il ciclo vita-morte per quello che è ma come si può immaginare questo non va bene agli oppressori dell’umanità.

Se si vive la propria vita senza contare gli anni ci si trova nella condizione di non considerare neanche lontanamente le convenzioni di età definite gioventù, maturità e vecchiaia, non ci si sente né giovane ne adulto né tantomeno vecchio, semplicemente si percepisce se stessi per ciò che si è dentro, la componente più importante che di riflesso donerà un corpo correlato al proprio sentire…si vive con presenza i propri giorni usando all’occorrenza il tempo artificiale solo per interfacciarsi con una società fondata sul medesimo.
Non contare i tuoi anni, vivi i tuoi giorni(fonte)
In definitiva l'età, quella intesa da questa illustre società, non esiste in natura, si tratta di artifizi creati ad hoc in tempi molto remoti dalla nostra beneamata chiesa per scopi tutt'altro che benefici; il tempo che oggi si conta ha la funzione di desincronizzare l'essere dai cicli naturali e fargli vivere un tempo artificiale che non esiste e lo avvilisce.
In natura non esistono gli anni, i mesi, le ore, i minuti, sono invenzioni-convenzioni per suddividere la vita degli schiavi e comprarla attraverso il lavoro(le ore di lavoro) e con ciò il sistema diventa proprietario della vita degli individui, ma non solo.
L'età è un programma mentale arcaico difficile da scardinare ma una volta disinstallato tutto acquisisce un altro senso, il tempo, l'attimo, vengono vissuti in maniera totalizzante.

lunedì 10 giugno 2019

5G: conseguenze biologiche inesplorate!

5G: conseguenze biologiche inesplorate?
Mentre nel nostro bel paese comincia l'estate ridanciana, con una tragica atmosfera da luna park in dismissione, ecco delinearsi all'orizzonte l'avvento del 5G. Come un tempo scaturivano le rivoluzioni spirituali per cambiare il mondo, ecco oggi le rivoluzioni tecnologiche che scandiscono le ere esteriori ed interiori del modernissimo ed attualissimo essere umano/robotico.

Il moderno uomo/robot ride quasi sempre, tranne quando sta avendo un infarto. Viaggia, o meglio trasla, a bordo di scatolette motorizzate che gli donano un'aria ridicola e un certo status da utilizzare verso i propri simili. Si muove, compra, sfrutta, consuma, sporca e poi ritorna alla base con l'angoscia aggiunta dell'ulteriore perdita di senso.

In effetti è il senso che gli manca e neppure lo cerca. Un robot obbedisce e basta. Ove cessa il libero arbitrio, cessa l'anima.
Questo è il motivo occulto dell'implementazione di nuove tecnologie: portare l'essere umano ad un ulteriore stato robotizzato, nell'ennesima manipolazione genetica occulta. Alcuni passi di un articolo del ilfattoquotidiano per riflettere:

Il documento ufficiale è nell’ultima newsletter del Comitato Scientifico sui rischi sanitari ambientali ed emergenti (SCHEER) della Comunità Europea, notoriamente negazionista sugli effetti biologici dei campi elettromagnetici. Ma lo spauracchio 5G è talmente grande ai piani alti di Bruxelles che, alla fine, anche loro hanno dovuto arrendersi all’evidenza. Leggete bene, con attenzione [qui il documento integrale]: il 5G “evidenzia criticità sconosciute sui problemi di salute e sicurezza. La polemica è in merito ai danni causati dalle attuali tecnologie wireless 2G, 3G e 4G. Le tecnologie 5G sono molto meno studiate per ciò che concerne i loro effetti sull’uomo o sull’ambiente”.
Infine, il colpo finale: “Come esposizione ai campi elettromagnetici possa influenzare l’uomo rimane controverso, gli studi non hanno fornito prove chiare dell’impatto su mammiferi, uccelli o insetti. La mancanza di prove chiare per informare lo sviluppo delle linee guida sull’esposizione alla tecnologia 5G lascia aperta la possibilità di conseguenze biologiche non intenzionali”.
Avete capito bene? Con il 5G resta aperta la porta di effetti nocivi sull’ambiente e salute umana, supportata l’ipotesi di conseguenze biologiche inesplorate sui cittadini prossimamente irradiati. Altro che surriscaldamento termico tipo manichino riempito di gel, come ripetono, da studi desueti e di dubbia provenienza nei finanziamenti, i ricercatori privati della Commissione Internazionale per la Protezione dalle Onde Non Ionizzanti (ICNIRP) che il vicepremier Luigi Di Maio prende per oro colato nel tentativo di rabbonire cautelativi e tecnoribelli. 

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