L’educazione
deviata del dare del “lei”
Dare del “lei” è il segno più
presente e pressante di un’”educazione” inculcataci a forza da questa insana civiltà.
Ce lo dicono continuamente e spesso ce lo
impongono di rivolgerci con il “lei” alle altre persone quando esse non sono
conosciute, quando rivestono cariche pubbliche o comunque importanti (dirigenti,
manager ecc,) ecc. quindi ci siamo convinti nel tempo che questa
comunicazione sia la più idonea, la più efficace a relazionarci o ad ottenere i
risultati perseguiti.
In realtà la comunicazione del “lei” è una comunicazione di “separazione”, divide gli interlocutori e li pone su piani
differenti, tale forma di colloquio riduce
drasticamente ogni forma di empatia e comprensione; non consentendo di
cogliere il vero senso del messaggio dell’altro genera a livello inconscio frustrazioni, distacchi e non garantisce
di certo i migliori risultati.
Il voluto distacco(dividi et impera)
introdotto col “lei” si arricchisce poi di ulteriori fardelli emotivi,
comportamentali e relazionali quando gli interlocutori scoprono(o sanno) i
rispettivi ruoli sociali quindi le gerarchie-importanze degli stessi;
l’interlocutore che si ritiene, anche a
torto, più “elevato”, importante o intelligente a livello inconsapevole
aggiunge una sottile vena di arroganza – autorità, al contrario chi si
percepisce “inferiore” o di nessun ruolo sociale di rilievo ci mette, suo
malgrado(inconsapevolmente), una “punta” di reverenza-sudditanza.
Se poi i due si percepiscono entrambi
“più importanti” accade che la comunicazione diventa caotica, infruttuosa e
scarsamente comprensibile, molto meglio se essi si percepiscono “inferiori” in
detta circostanza infatti si ammirano a vicenda e la comunicazione sarà ben più
proficua.
Il “lei” infatti viene usato quando non
si vuole rimanere troppo invischiati in un argomento(ad es. vedasi le comunicazioni sui social), ad una
persona o una situazione anche se si tratta di relazioni tra “simili”.
Si tratta di comportamenti usuali installati
ormai da tempo immemore nella nostra mente attinenti al programma(mentale)
“cultura”. Sarebbe bello decidere di riprogrammarsi
secondo le proprie volontà o esigenze, per aumentare l’empatia, per rendere la
comunicazione efficace e comprensibile oltre che creare sincere e quindi
durature amicizie usando i fatidico “tu”(ed io), una forma di comunicazione
diretta e nient’affatto offensiva che dev’essere “sentita” dagli
interlocutori che si interfacceranno sullo stesso “piano”, com’è in effetti in
natura, ma le credenze si sa sono dure a morire!
E’ da millenni ormai che inculcano alle
masse il “mantra” che dare del “tu” ha una connotazione negativa, che
costituisce elemento di una comunicazione volgare, non efficace e troppo
invasiva(o socializzante?) e noi ci abbiamo creduto in pieno.
Invero
dare del “tu” significa invece porsi sullo stesso piano dell’interlocutore,
dare se stessi all’altro poiché si riconosce l’altro come parte di sé o
comunque di pari dignità, importanza, intelligenza, umanità… come dice un
vecchio detto maya “in lak ech” (io sono un altro te)!
La
comunicazione del “tu” tuttavia non è affatto facile, di questi tempi
poi e quasi sempre fraintesa anche se attuata nel migliore dei modi, essa infatti
richiede la massima semplicità, praticità
di dialogo e soprattutto sincerità e profondo rispetto(assertività); anche se un solo elemento non è attuato la comunicazione viene percepita
come invadente e irriverente.
Sarebbe bello vivere in una cultura del tu,
del rispetto, della vera uguaglianza, ma l’umanità
dopo “eoni” di programmazioni non è ancora capace di fare il salto verso se stessa, verso
l’unione!
A volte tuttavia è utile usare del lei
per avvicinare persone che altrimenti si allontanerebbero inesorabilmente in
virtù di quella concezione educativa che chiamano civiltà, in detti casi il
“lei” serve per avvicinare, farsi dare fiducia e poi con dolcezza e serenità
passare al “tu”, una tecnica ben nota in PNL(programmazione neuro linguistica).
Marcello Salas
considerazioni intutitive più che giuste alle quali mi permetto di aggiungere che il "lei" rimanda alla terza persona con il preciso scopo di avviare un dialogo tra persone, ovvero finzioni giuridiche (CIC can.96) e non tra uomini vivi in carne ossa e sangue, estrendo da questo dialogo il tacito consenso che tali uomini inconsapevoli danno nell'identificarsi con per-sone.
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