lunedì 17 marzo 2014

Austerità, sistemi sanitari europei e diritto alla salute

I costi sanitari sono in rapido aumento per effetto dell’invecchiamento della popolazione, dell’aumento dei prezzi e dello sviluppo di tecnologie mediche più costose ma più performanti. Per soddisfare la crescente domanda di assistenza sanitaria, in una condizione di risorse limitate e vincolate, è prioritario perseguire il miglioramento dell’efficienza del sistema sanitario. Tuttavia, le politiche di austerità possono risultare gravemente dannose se comportano ulteriori riduzioni della spesa e, a meno di pensare che noi siamo molto più efficienti dei nostri partners internazionali, rischiano di determinare uno scadimento del servizio sanitario sotto i livelli medi europei.

La sanità in Europa è in gran parte di competenza nazionale e la Comunità Europea ha un ruolo sussidiario rispetto all’azione degli Stati membri, ruolo che consiste essenzialmente nel sostenere i loro sforzi e nell’aiutarli nella formulazione e nell’attuazione di obiettivi e strategie coordinate. Ciò significa che la UE non determina le politiche sanitarie, l’organizzazione e la fornitura di servizi sanitari e assistenza medica. Questo ha comportato un’Europa Sanitaria– in particolare per l’area dell’euro – caratterizzata da notevoli differenze che si riflettono nella struttura della spesa sanitaria pubblica. I paesi europei forniscono, in generale, garanzie di copertura delle cure primarie accessibili alla totalità dei cittadini mentre il grado di contribuzione ‘di tasca propria’ da parte del privato è piuttosto variabile, come anche le modalità di finanziamento della spesa pubblica che possono gravare sulla fiscalità generale o essere coperte attraverso forme assicurative obbligatorie o volontarie, a carattere universale o riservate ai soli lavoratori. Nello schema seguente sono raggruppati i paesi europei che condividono sistemi sanitari tra loro simili[1].
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La quota preponderante della spesa sanitaria in Europa è effettuata con risorse pubbliche e si attesta tra il 70% e l’80% della spesa totale in quasi tutti i paesi (figura 1), con punte massime di circa il 90% nel Regno Unito, Paesi Bassi e Lussemburgo e minime in Grecia (55%) e Cipro (48%).

In Europa[2] (figura 2) è palese il differenziale tra i  livelli della spesa sanitaria totale (privata e pubblica) pro capite. Nel 2011, si passa da una spesa pro capite di quasi 3.500 euro in Lussemburgo ad una spesa pro capite di appena 1.400 euro in Estonia, a fronte di una media europea (dei 27 paesi) di circa 2.500 euro pro capite. La spesa sanitaria si conferma positivamente correlata al reddito considerando che in termini di benessere economico in Lussemburgo si registra il maggior Pil pro capite a valori correnti (83.586 euro) e in Estonia il più basso (12.696 euro) con un rapporto di 7 a 1. Negli Stati Uniti la spesa sanitaria pro capite è invece di 8.508 dollari che in termini di parità di potere di acquisto equivale a circa 5.700 euro, ben oltre il doppio della media europea.
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La spesa sanitaria totale rispetto al PIL dei 27 paesi UE è del 9,4% (figura 3), molto bassa rispetto alla spesa sanitaria degli Stati Uniti[3] che è del 17,7%, cioè quasi il doppio. Il Lussemburgo, che come abbiamo evidenziato ha la spesa sanitaria pro capite più alta in Europa, si colloca alla fine della graduatoria dei paesi considerati per una scarsa incidenza di spesa in termini di Pil. La Grecia invece rappresenta un esempio emblematico di una spesa sanitaria relativamente elevata rispetto al Pil e per certi aspetti si direbbe che ha una spesa sanitaria al di sopra delle sue possibilità. La spesa pubblica sul PIL dei paesi Ue 27 è del 7,3% con valori più alti per Paesi Bassi (8,5%) e Francia (8,2%) e più bassi per Lussemburgo (4,9%) e Cipro (3,4%). La spesa sanitaria privata nei 27 paesi Ue rappresenta soltanto il 2,1% del PIL ed è suddivisa tra medicinali, servizi non ospedalieri e servizi ospedalieri.
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Nel periodo 2002-2011 la spesa sanitaria in rapporto al Pil è cresciuta mediamente di 1,1 punti percentuali (figura 4), ma ciò dipende evidentemente anche dalle dinamiche del Pil più che dalla spesa sanitaria in sé, e dunque dalla crisi (si capisce così come mai la Grecia sia uno dei paesi che fa segnare i maggiori aumenti in termini relativi, +2,1%). Nei Paesi Bassi l’aumento del 3% della spesa sanitaria pubblica è in parte compensato da una diminuzione di circa 1 punto della spesa privata. Nel Regno Unito, in Belgio, in Spagna e in Italia l’aumento della spesa in rapporto al PIL incide principalmente sulle finanze pubbliche, mentre in Portogallo e in Germania è maggiormente cresciuta la spesa privata. http://www.economiaepolitica.it/wp-content/uploads/montella-mostacci-4.jpg
Al netto del dato congiunturale, la variazione della spesa pubblica rispetto al PIL nel periodo 2002-2011 (figura 5), mostra gli effetti delle scelte di politica sanitaria operate dai Governi. In molti casi si è optato per un aumento delle prestazioni sociali in natura, ricorrendo al rimborso (diretto o indiretto) di prestazioni sanitarie effettuate al di fuori di strutture pubbliche. Solo in Spagna, Irlanda e Regno Unito aumenta in misura rilevante la quota relativa alla retribuzione degli operatori della sanità pubblica, mentre la situazione del Portogallo, e in misura minore della Slovacchia, denota cambiamenti radicali nelle modalità di gestione della sanità pubblica.
La composizione della spesa pubblica per funzione (figura 6) mostra un mix di servizi offerti dal settore pubblico, evidenziandone la struttura dei sistemi sanitari. Il Lussemburgo rappresenta un caso limite di spesa pubblica destinata praticamente solo ai prodotti medicinali e alle attrezzature sanitarie, senza costi strutturali, grazie alla particolare collocazione geografica che consente ai cittadini lussemburghesi di rivolgersi ai centri di assistenza francesi o tedeschi gravando quindi sui sistemi sanitari dei paesi limitrofi[4]. Il Regno Unito al contrario ha tutta la sua spesa pubblica all’interno dei servizi ospedalieri. Per la Spagna e il Portogallo sono i servizi non ospedalieri ad avere un peso maggiore nella spesa sanitaria pubblica.

Altra fotografia molto interessante sempre riferita all’anno 2011 è la spesa sanitaria pubblica disaggregata per voci economiche (figura 7). Anche qui registriamo un’Europa divisa in almeno tre tipologie: paesi in cui predominano le prestazioni sociali (in denaro e in natura) come Belgio, Slovacchia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi e Portogallo; paesi con un mix di spesa concentrata tra prestazioni sociali, consumi intermedi e redditi da lavoro, come Austria, Francia, Grecia, Italia, Estonia, Spagna; infine paesi in cui la voce di spesa prevalente riguarda il lavoro. Il Regno Unito costituisce poi un caso a parte perché il suo sistema sanitario non è di certo basato sulle prestazioni sociali ma su una equa ripartizione tra redditi da lavoro e consumi intermedi.
 
Tra il 2002 e il 2011 l’evoluzione della spesa sanitaria pubblica in termini nominali, cioè a prezzi correnti, per le principali voci economiche (figura 8) mostra che i paesi emergenti come Slovacchia (200%) ed Estonia (150%) hanno la più alta percentuale di crescita della spesa sanitaria; i Paesi Bassi, il Lussemburgo e la Spagna registrano percentuali intorno al 100%, mentre nei restanti paesi la spesa sanitaria pubblica è cresciuta del 50% in 10 anni. La più virtuosa (si fa per dire) è risultata la Germania con un aumento del solo 24%.
L’evoluzione della spesa sanitaria privata tra il 2002 e il 2011 (figura 9) per le principali categorie di prodotti mostra che sempre tra i paesi emergenti la Slovacchia ha la più alta percentuale di crescita della spesa sanitaria privata (200%), in prevalenza per medicinali e apparecchiature; i Paesi Bassi hanno ridotto del 50% i servizi ospedalieri e il Regno Unito e l’Italia hanno una crescita della spesa privata molto contenuta. Nei restanti paesi l’aumento della spesa risulta compreso tra il 50% e il 100% in 10 anni.
Risulta dunque evidente che la mancanza di una politica comune europea del sistema sanitario ha comportato un quadro disomogeneo di gestione della sanità e che rende evidente la necessità di correttivi, soprattutto in un’ottica di innovazione e di efficienza. Una misura dell’efficienza tecnica e allocativa (il massimo risultato che si ottiene con risorse disponibili limitate) di questi sistemi sanitari potrebbe aiutarci a capire se le risorse pubbliche sono proficuamente investite.
Per come è strutturato il sistema sanitario italiano la spesa è concentrata in misura maggiore nei servizi ospedalieri  e per il pagamento di prestazioni sociali e redditi  da lavoro. La spesa sanitaria pro capite italiana è tra le meno elevate in Europa; ed anche il valore della spesa sanitaria rispetto al Pil è inferiore alla media.
Le attuali politiche di austerità, con tagli lineari alla spesa pubblica, possono risultare gravemente dannose per ciò che concerne il diritto alla salute. Al tempo stesso, è corretto sottolineare che i paesi che hanno un’alta spesa sanitaria non necessariamente sono quelli i cui sistemi sanitari risultano più efficienti[5]. In ogni caso, i progressi della medicina sono tali per cui - stando ai dati Ocse[6] - gli indicatori sulla salute della popolazione europea registra netti miglioramenti negli ultimi decenni, indipendentemente dal tipo di sistema sanitario adottato. Sarebbe importante non fare passi indietro. In tal senso, in un periodo di grave crisi economica e in un rischioso quadro di politiche di austerità, nel contesto di un progressivo invecchiamento della popolazione, aumentare l’efficacia della spesa sanitaria pubblica e introdurre innovazioni nel sistema[7] divengono fattori determinanti per assicurare il mantenimento dei livelli assistenziali standard.
*Ricercatori ISTAT
[1] Per sistema sanitario si intende un insieme di regole  che stabiliscono il finanziamento e l’organizzazione delle prestazioni sanitarie in un determinato sistema economico allo scopo di operare una allocazione efficiente delle risorse imponendo un uso corretto dei fondi.[2] I dati analizzati (database Eurostat) si riferiscono ai 17 Paesi dell’area dell’euro, il Regno Unito (UK) e la media dei 27 Paesi dell’Unione Europea (Croazia esclusa). Le analisi strutturali sono riferite al 2011 mentre quelle sulla dinamica abbracciano il periodo che va dal 2002 al 2011. I dati sono espressi in termini nominali. Non è considerata la spesa in ambito sanitario sostenuta dalle istituzioni non profit a favore delle famiglie il cui peso è comunque limitato.  Sono stati effettuati anche confronti con gli Stati Uniti utilizzando la pubblicazione OCSE “Health at a Glance 2013”.
[3] Negli Stati Uniti la spesa sanitaria non ospedaliera è il 51% mentre la spesa per i medicinali, la spesa ospedaliera e per le cure di lungo degenza sono il 24% della spesa complessiva. Solo l’11% è la spesa per i servizi collettivi incluse anche la R&S.
[4] Con la direttiva 2011/24/UE il Parlamento europeo e il Consiglio europeo hanno regolato i diritti dei pazienti all’assistenza sanitaria transfrontaliera. La direttiva che doveva essere recepita dai Paesi Membri entro ottobre 2013, in Italia è ancora in fase di discussione.[5] A titolo di esempio, si stima che un 10% di aumento della spesa sanitaria aumenterebbe l’aspettativa di vita solo di tre/quattro mesi se il grado di inefficienza del sistema sanitario resta invariato (OCSE 2010).
[6] Ocse 2010, “I sistemi sanitari: efficienza e politiche”.
[7] Piano d’azione “Sanità elettronica” 2012-2020 – Una sanità innovativa per il 21esimo secolo”.
Fonte: http://www.economiaepolitica.it/index.php/politiche-fiscali-e-di-bilancio/austerita-sistemi-sanitari-europei-e-diritto-alla-salute/

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