Grado di felicità e decrescita
Gironzolando in rete, mi sono imbattuta in un vecchio
discorso di Bob Kennedy sul PIL e la felicità
Che la felicità di un popolo non sia data dal prodotto
interno lordo è pacifico, sembra però
che ce ne scordiamo ogni giorno di più. A parlar di decrescita felice sembra di voler sovvertire le regole di
mercato e se non si crea ricchezza si mira all'affossamento del sistema. Tutto
questo però è falso.
Da bambina ricordo che
mi insegnavano che la società del futuro sarebbe stata migliore, che sarebbe
stata attenta ai deboli ed all'umanità in generale, grazie alla scienza ed alla
tecnologia. Nulla di tutto questo si è verificato proprio grazie alle regole
del mercato che mira solo ad autoalimentarsi e produrre ricchezza che va nelle tasche di chi produce,
o minimamente di chi lavora. Il mercato è un sistema contabile per misurare lo
spostamento di merci e soldi, l'uomo non c'entra nulla con esso se non come
fattore di produzione. I fautori della cosiddetta decrescita felice non sono contro la
ricerca, la scienza, la tecnologia, semplicemente dichiarano che essa deve
essere uno strumento destinato a migliorare la felicità dell'uomo, qualcosa al
suo servizio e non il contrario.
Ricordo che quando appena adolescente, lavoravo all'Alfa
Romeo, il dibattito era sulle macchine ed il loro utilizzo... Venivano (e
vengono) utilizzate per sostituire
l'uomo solo per produrre beni che qualcuno comprerà, producendo ricchezza e
felicità solo in chi le possiede, per gli altri c'è miseria e disperazione.... Altro
che lavorare meno... o meglio direi che
è vero ...nel senso che si sono creati disoccupati senza tutele.
Ci sono persone che per scelta hanno deciso di vivere una
vita che altri definirebbero al ribasso, diminuendo le pretese, lavorando di
meno e dedicandosi di più alla famiglia e alla propria vita in generale.
Autoproducono parte di ciò che mangiano e sono meno consumatori. Ma se
ragioniamo su larga scala, vediamo che nel mondo, con ciò che viene
quotidianamente sprecato in cibo, sarebbe possibile sfamare tutti gli esseri
umani.
Ma questo non si fa
perché non conviene a chi ha il potere tecnologico e produttivo..... bisogna
vendere e basta, con il miraggio di una crescita infinita, impossibile da
realizzare e noi, da consumatori ci trasformiamo in consumati, dimenticandoci
delle vere priorità della vita.
Logico che una simile visione sia ignorata o demonizzata da
industriali e multinazionali. Ma la scienza e la tecnologia, che richiedono
investimenti in istruzione e ricerca, quando finalizzati al bene dell'uomo e
soprattutto quando cessano di essere uno strumento nelle mani dei mercanti, si
trasformano in benessere diffuso, che deve essere ceduto alle persone, non
venduto. Facciamo l'esempio dei farmaci. Tutti sanno che le case farmaceutiche hanno dei bilanci spaventosamente alti,
ricavano i loro guadagni dal commercio delle medicine e tanto più se ne
vendono, tanto più guadagnano. Se la
gente è sana, loro non guadagnano, se la gente è malata loro guadagnano, a
patto che i malati possano pagare i farmaci. Nei paesi poveri si muore di
malattie diverse da quelle diffuse nei paesi occidentali, malattie su cui si fa
poca ricerca, perché le medicine che si produrrebbero non potrebbero essere
pagate da chi è indigente. In occidente
finite le malattie da curare, si passa agli integratori o peggio, diventano di
libera vendita, destinati all'automedicazione, farmaci che fino a poco tempo
prima erano di esclusivo uso ospedaliero! Alle case farmaceutiche poco importa della vita,
sono fabbriche come le altre, si fa ricerca per mettere sul mercato prodotti da
vendere. È così anche per gli alcolici e per i tabacchi, la salute non conta,
conta vendere. Tanta industria e tecnologia sprecata, non messa al servizio
dell'uomo. I politici, amici degli industriali dicono che il bene della
crescita e dell'industria sono rappresentate dal lavoro creato. Ma il lavoro
non crea benessere, crea solo un giro di redditi che prima o poi torna sempre
nelle tasche di chi l'ha erogato, lasciando vuote quelle dei
lavoratori-consumatori. Il sistema è perverso, non va. Non c'è spazio per la
cooperazione tra le persone (ma come potrebbero cooperare tra loro, se sono
stritolate nel sistema?), così una parte dell'umanità intera resta condannata
alla povertà e all'infelicità. Si è perso lo spirito di collaborazione,
sostituito dal mito della competizione. Si lavora per poter pagare le rate di
un auto che serve per andare al lavoro, era scritto più o meno così su un muro.
L'impressione della
felicità ce la forniscono i mass media, ma non deve essere felicità completa,
perché altrimenti non avremmo il desiderio di comperare un certo tipo di
macchina o di bere quella determinata
bibita, o di vestire firmati. I produttori hanno necessità
della nostra infelicità, perché così loro possono interpretare il ruolo di chi
la felicità ce la vende, al modico prezzo di € tot. Una persona che
in tempo di crisi è infelice è normale. Il fatto è che l'infelicità esiste
anche in periodi di abbondanza. L'infelicità indotta è la leva
del mercato. Il mercato non vuole che siamo felici, vuole che ci
manchi sempre qualcosa per esserlo e quel qualcosa va comprato. È pazzesco ed è talmente semplice da capire... ma pochi se la
sentono di fare un passo verso l'emancipazione
dal mercato, verso l'utilizzo consapevole delle risorse, verso la
cooperazione. Manca nel DNA recente quel gene che ci fa vincere la paura e la
diffidenza. A noi lo sforzo per recuperarlo.
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