In una delle librerie di casa mia, nelle quali ho sempre
infilato il naso alla ricerca del profumo della carta e di testi da
divorare, trovai, ancora adolescente, un libro il cui titolo scatenò la
mia curiosità: “Entropia” di Jeremy Rifkin, economista,
saggista ecologista. Il suo stile schietto e puro mi prese come del
resto mi colpì la teoria drammatica che aveva esposto nel suo scritto.
Lo scenario dipinto da Rifkin negli anni ottanta è crudo e fa
rabbrividire, ma è spaventosamente attuale anche oggi: in base alla
seconda legge della termodinamica (conosciuta da tempo ma mai con la
certezza degli ultimi decenni), o legge dell’entropia, la materia e
l’energia presenti nell’universo possono essere trasformate in una sola
direzione, cioè da uno stato utilizzabile ad uno inutilizzabile o da uno
stato disponibile ed uno non più disponibile. In pratica si passa
continuamente da uno stato di ordine ad uno di disordine. Il termine
entropia ( dal greco “en” dentro e “tropè” trasformazione), indica il
fenomeno di crescita, che non può essere arrestata, della quantità
totale di caos nell’universo durante il processo di trasformazione
dell’energia.
La prima legge afferma che sia l’energia che la
materia sono nell’universo e che non possono essere né create né
distrutte ma vanno incontro solo ad una costante trasformazione. Durante
questa transizione avviene un’inevitabile dispersione di energia che
non è distruzione ma passaggio da uno stato di disponibilità maggiore ad
uno minore.
E’ da questa legge che Rifkin spiega una nuova concezione del mondo:
ogni volta che l’uomo (le cui certezza affondano nelle teorie di Bacone,
Cartesio e Newton), crede di produrre ordine, in realtà genera caos.
Da qui parte una vera e propria rivisitazione storica dell’evoluzione
umana, cioè, i cambiamenti qualitativi passati sotto il nome di
progresso altro non sono che adattamenti della nostra specie dovuti alla
sempre minore disponibilità di fonti energetiche;
l’evoluzione è così uno sforzo-lavoro maggiore per ottenere un bene
sostitutivo (spesso peggiore) di uno non più disponibile. L’appagamento
dei fabbisogni richiede sforzi sempre maggiori e più elaborati, basti
pensare alla differenza tra un bastone appuntito con cui cacciavano i
primitivi e gli odierni complicatissimi processi chimici (dalla
perforazione dei pozzi di petrolio fino alle enormi fabbriche necessarie
per la stampa del disegno del tessuto) necessari per l’ottenimento di
tessuti sintetici.
Tutta la filosofia del progresso a cui l’uomo occidentale si è ormai
votato da diversi secoli ed in base alla quale è convinto di migliorare
la qualità, la comodità e l’ordine della propria vita è fallace e sta
progressivamente e vorticosamente portando l’uomo all’esaurimento delle
scorte energetiche di cui disponiamo.
Dunque se questo processo di “falsa crescita” non viene fermato, si va inevitabilemente incontro al collasso della specie in tempi molto più veloci di quanto possiamo immaginare. Ogni volta che una macchina (si tratti di un’industria termonucleare, di un elicottero o di un frullatore) produce lavoro trasformando energia, quell’apparente ordine e vantaggio che ne traiamo provoca un danno energetico all’ambiente circostante maggiore, in termini matematici, del beneficio. Secondo la teoria di Rifkin, le città post-moderne, iper-tecnologiche e ultra specializzate non sono altro che delle isole di benessere il cui scotto viene pagato altrove (e non si può dire che non abbia ragione). Il dissipamento energetico è una realtà che dobbiamo tenere ben presente e con cui siamo obbligati a confrontarci ed il massimo che possiamo fare per quanto possa suonare deprimente non è affatto poco: limitare il consumo di energia ed in questo modo rallentare il processo entropico.
Ciò che Rifkin propone come soluzione, non è certo lontano dalle conclusioni cui siamo arrivati oggi: è necessario un abbattimento del moderno stile di vita, l’uomo deve iniziare a comprendere la possibilità di una vita più semplice, meno elaborata e non per questo peggiore, anzi.
Quando il mondo raggiungerà uno stato di massima
entropia e non vi sarà più energia disponibile per eseguire lavoro, il
tempo finirà perché non accadrà più nulla. L’unico modo per ritardare la
fine del tempo è quello di mantenere un flusso energetico della società
il più vicino possibile a quello che avviene naturalmente nel nostro
ambiente. Sarcastiche, sprezzanti e chiarificatorie le parole di Berry
citate da Rifkin: “per quanto riguarda lo stare al mondo per proprie
qualità ed abilità, il più stupido contadino o uomo primitivo è più
competente dei più intelligenti operai o tecnici o intellettuali che
vivono in una società di specialisti”.
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