Oggi vogliamo condividere con voi un
articolo scritto da Bastiano Pugioni, blogger de “L’eco del pulcino”.
Lo condividiamo perché ci sono
situazioni davanti alle quali non si può fingere che tutto vada bene e voltare
la testa dall’altra parte.
A Gaza si sta compiendo un massacro, un
genocidio ad opera di chi dovrebbe avere memoria di cosa significa vivere la
distruzione, la violenza continua, l’essere trattati come esseri senza dignità,
la totale deprivazione.
Nessuna motivazione può giustificare ciò
che sta accadendo: quando le vittime sono i bambini non ci sono più
ragioni politiche che reggano.
Bastiano ha provato ad immaginare cosa
succederebbe a noi se un giorno, tra un anno, subissimo l’invasione delle
nostre case, se un ipotetico esercito decidesse di prendersi le nostre terre e
noi ci ritrovassimo a non avere più nulla e a sperimentare lo stupore, il
dolore e la rabbia. Una rabbia capace di trasformarci, di rendere vitreo il
nostro sguardo, di armare le nostre mani per tentare di difendere ciò che era
nostro, per vendicare i nostri morti, per sentire di vivere mentre attorno
vediamo solo morte e disperazione.
Cagliari, 4 agosto 2015
Un anno fa un tizio ben vestito e
dai modi gentili è entrato in casa mia con dei militari e ha detto: “Come da
trattati internazionali, questa casa ora è mia, la prego di accomodarsi fuori”.
Il mio iniziale diniego è stato
ammorbidito da quattro manganellate assestate con forza tra schiena e nuca, che
mi hanno indotto a rivedere la mia posizione.
Una volta fuori, per strada, ho potuto
constatare che la situazione era simile anche per tutti i miei vicini di casa.
Marco, un simpatico signore sulla settantina,
ha resistito all’intrusione in casa sfoderando la sua vecchia doppietta da
caccia. E’ stato meno fortunato di me. Le urla strazianti della moglie e delle
figlie sono state presto sovrastate dalle sirene dei cellulari della nuova
polizia di pace.
I pochi di noi che sono riusciti a
scappare sfuggendo agli arresti, hanno organizzato una piccola e sgangherata
resistenza. I più facinorosi suggeriscono l’attacco immediato con le poche armi
di fortuna.
Fortunatamente la logica ha avuto il
sopravvento: “Interverranno le Nazioni Unite, arriverà qualcuno e questo
incubo finirà entro domani”.
Dopo una settimana, durante l’ennesimo
attacco della polizia di pace, il brutale assassinio di quattro dei bambini che
erano con noi ci ha convinti ad un attacco.
Eravamo in quaranta, venti di noi sono
morti, dodici feriti, dei quali sette arrestati. Siamo riusciti ad uccidere uno
di loro, questo ci ha dato morale, ma la notte quelli di noi che credono
in un dio hanno pregato per la sua e per la nostra anima.
Una settimana dopo le posizioni radicali
hanno preso il sopravvento: “Vivere come dei topi non ha senso, dobbiamo
ribellarci. Nessuno ci aiuterà, possiamo solo salvarci da soli o morire”.
Ogni notte suonano le sirene, è
impossibile dormire, dobbiamo spostarci spesso per evitare le pattuglie e i
rastrellamenti.
Federico fa il direttore di banca, una
persona a modo, garbata. Dopo l’assassinio di suo figlio Davide, cinque anni,
il suo sguardo è fisso. Parla poco e digrigna i denti. Una notte si è offerto
volontario per una ronda alla ricerca di cibo. In centro città non si passa, ma
nei quartieri periferici, meno presidiati, è ancora possibile rimediare
qualcosa. È tornato dopo la mezzanotte con venti confezioni di tonno in
scatola, fagioli, tanti grissini. E le mani insanguinate. “Ne ho trovato uno a
guardia del supermercato. Gli ho sfondato il cranio con una pietra”. Il suo
sguardo vitreo si anima per un istante, poi torna di ghiaccio.
Stiamo diventando bestie.
Dopo un’altra settimana in cui tre dei
feriti sono morti, il manipolo di “resistenti” si è consegnato alle nuove
autorità, convinti più dalla fame e dalla necessità di medicinali che dalle
promesse fatteci su un equo trattamento.
Dicono che è colpa nostra, che siamo
stati irragionevoli, che se non avessimo adottato condotte violente non
ci sarebbe successo niente.
Mi hanno torturato solo due volte, sono
stato più fortunato di Andrea. I giovani non si danno pace, vogliono vendetta,
covano rancore, odio, si stanno organizzando.
I loro occhi non brillano della gioia
che vedevo nei miei e in quelli dei miei amici, la gioia di chi ha il diritto
ad autodeterminare il proprio cammino.
Forse li capisco, o forse non più. Ora
lavoro al mercato, pulisco la frutta e la verdura prima che vengano disposte
sui banchi. Non le posso comprare. Non ho i soldi sufficienti e comunque per
noi ci sono solo gli spacci autorizzati.
Io non posso lamentarmi. Non provo più
odio, non provo più rabbia, non provo più niente.
Dedico questo pezzo a tutti quelli che coi
loro “distinguo” non prendono mai posizione, a tutti quelli che coi loro “c’è
da dire però che…” non capiscono o fingono di non capire. In Palestina non c’è
alcuna guerra, c’è solo un massacro che va avanti da decenni. Se l’Italia è il
primo paese dell’UE per esportazione di armi verso Israele, c’è per forza una
connivenza. Io sono italiano, io sono connivente. A tutti quelli che si voltano
dall’altra parte dico che non schierarsi è da vigliacchi. Siamo liberi, non
usare la propria libertà è una non scelta, è un crimine. Io sono libero solo se
tutti sono liberi. Siamo esseri umani, siamo tutti uguali. Non riconoscere
questo è disumano.
Bastiano Pugioni
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