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Questi sono solo alcuni dei titoli comparsi in questa settimana sui principali quotidiani nazionali. Il problema è che Al-Qaeda non esiste più almeno dal 2002. Proprio così. A
dirlo non sono io, ma, come già evidenziato da un precedente articolo
di Maurizio Blondet, il capo dei servizi segreti francesi davanti al
senato: “Il 29 gennaio 2010 la Commissione Affari Esteri convoca Allain
Chouet, già capo della DGSE (Direction Générale de la Sécurité
Extérieure, il controspionaggio francese) per dare una sua valutazione
sul «Medio Oriente nell’ora del nucleare». Ecco come esordisce monsieur Chouet: «Come
molti miei colleghi professionisti nel mondo, ritengo, sulla base di
informazioni serie e verificate, che Al Qaeda è morta sul piano
operativo nelle tane di Tora Bora nel 2002… Sui circa 400 membri attivi
della organizzazione che esisteva nel 2001, meno di una cinquantina di
seconde scelte (a parte Osama bin Laden e Ayman al-Zawahiri che non
hanno alcuna attiduine sul piano operativo) sono riusciti a scampare e a
scomparire in zone remote, vivendo in condizioni precarie, e disponendo
di mezzi di comunicazione rustici o incerti». «Non
è con tale dispositivo che si può animare una rete coordinata di
violenza politica su scala planetaria. Del resto appare chiaramente che
nessuno dei terroristi autori degli attentati post 11 settembre (Londra,
Madrid, Casablanca, Bali, Bombay, Sharm el-Sheikm, eccetera) ha avuto
contatti con l’organizzazione. (...) Tuttavia, si deve constatare che
tutti, a forza d’invocarla ad ogni occasione e spesso fuori proposito,
appena un atto di violenza è commesso da un musulmano, o quando un
musulmano si trova al posto sbagliato nel momento sbagliato, o anche
quando non ci sono musulmani affatto (come negli attentati all’antrace
in USA), a forza d’invocarla di continuo, certi media o presunti
“esperti” di qua e di là dell’Atlantico, hanno finito non già di
resuscitarla, ma di trasformarla come quell’Amedeo del commediografo
Eugene Ionesco, quel morto il cui cadavere continua a crescere e a
occultare la realtà, e di cui non si sa come sbarazzarsi». Dunque
Al Qaeda non esiste più sin dal 2002. Eppure i nostri media, i nostri
governi, se non ogni giorno, sicuramente ogni settimana ci ripropongono
questo nemico inesistente. Perché? La
risposta è semplice: perché siamo gli obiettivi di una guerra
psicologica e - in questo caso - la tecnica utilizzata si chiama
“meccanismo della ripetizione” (si ripete un fatto non vero così spesso
da farlo diventare reale).
La
Guerra psicologica consiste nell'uso pianificato di operazioni
psicologiche allo scopo principale di influenzare opinioni, emozioni,
atteggiamenti e comportamento delle masse. Condizione
necessaria perché le operazioni di guerra psicologica possano aver
successo è quella di creare nella “popolazione obiettivo” frustrazione
insicurezza e paura. Queste condizioni, infatti, riducono l'uomo ad uno
stato di sottomissione in cui le sue capacità di ragionamento sono
annebbiate e in cui il suo responso emotivo a vari stimoli e situazioni
diventa non solo prevedibile ma “sagomabile”. Per creare frustrazione, insicurezza e paura si devono creare all’interno del paese le seguenti condizioni:
- inflazione
- tassazione non equa
- concussione e corruzione
- scarsità di uomini nelle forze dell’ordine
- appoggiare forme di sanzione o altro
- scarsità di necessità primarie come di abitazioni e altro
- fomentare l'intolleranza razziale e religiosa
- disunione politica e mancanza di fiducia nei capi
- mancanza di risorse che possono sostenere l'economia
- azioni di terrorismo e di violazione dei diritti umani
Create queste condizioni l’operatore di guerra psicologica può iniziare il suo lavoro. I
mezzi primari di manipolazione mentale sono la scuola, televisione e
l’industria dell’intrattenimento (altri sono la droga, l’alcool, gli
psicofarmaci e l’alimentazione).
Della scuola abbiamo già parlato in un precedente articolo sottolineando come questa operi per: - Insegnare lo stretto necessario perché la popolazione possa essere produttiva nei termini e nei modi voluti dal potere; -
imporre sistemi d’istruzione volti a uniformare e conformare la
popolazione evitando accuratamente di insegnare le materie che
sviluppino la capacità di ragionamento (dialettica, retorica, logica,
ecc.), ovvero quelle materie che sviluppano il pensiero critico,
autonomo; - instillare quei preconcetti, pregiudizi e stereotipi su cui poi conformeranno tutte le loro esperienze. La
funzione esercitata dalla scuola, che ha il vantaggio di poter agire
sui bambini e giovani ricettivi all’instillazione di pregiudizi e
stereotipi, è importantissima dal momento che l’operatore di guerra
psicologica, per poter operare con successo, deve poter contare su una
popolazione che risponde a determinate sollecitazioni, ovvero per poter
manipolare deve conoscere il modello di comportamento della popolazione,
i modi di comunicazione, le motivazioni poste alla base del loro
agire. Preparato
il terreno dalla scuola, arriva la manipolazione attraverso i media.
Strumento fondamentale di guerra psicologica dato che la nostra mente,
tendenzialmente pigra, è attratta da tutto ciò che non richiede lo
sforzo di pensare. Oltre a ciò è mediamente consapevole di 200 bits di
informazioni su 400 miliardi che il cervello elabora in un secondo.
Ovvero siamo consapevoli di mezzo miliardesimo di ciò che avviene nel
nostro cervello. Tutto il resto ci condiziona senza che ce ne
accorgiamo. Le principali tecniche di manipolazione attraverso i media sono:
- creare un messaggio credibile
- usare il linguaggio giusto
- creare un ampio numero di fonti di informazione
- creare “opinion leader”
- attivare il meccanismo della ripetizione
- operare debunking
L’operatore di
guerra psicologica che, come abbiamo detto, conosce gli schemi su cui si
muove la popolazione, deve creare messaggi credibili. Attenzione: il
messaggio deve essere credibile, non vero. Anzi, spesso, la verità
toglie credibilità al messaggio. Le menzogne sono più attraenti della
verità perché fanno leva sulle nostre speranze, sui nostri pregiudizi,
ecc... La verità, invece, ha la sconcertante abitudine di metterci
davanti all’imprevisto, a ciò a cui non eravamo preparati e che,
tendenzialmente quindi, rifiutiamo. L’operatore di guerra psicologica,
che sa perfettamente che la maggior parte del pubblico non è alla
ricerca della verità, ma di ciò che le permette di non uscire dagli
schemi psichici indotti, su queste basi manipola la realtà. Facciamo un
esempio. La
sera del 10 aprile 1991 140 persone morirono bruciate sul Moby Prince
davanti al porto di Livorno. Se domandi a qualcuno cosa causò la
tragedia ancora oggi ti senti rispondere: c’era una fitta nebbia,
l’equipaggio, davanti alla televisione a vedere la semifinale di Coppa
delle coppe Juventus - Barcellona, e non si è accorto della petroliera
Agip Abruzzi entrando con questa in collisione. Tutto ciò è falso. Dagli
atti e documenti processuali è emerso che: -
quella sera la visibilità era perfetta, nessuna nebbia né prima, né
durante né subito dopo la collisione (come dimostrano foto, e video
amatoriali, uno dei quali trasmesso anche dal TG1); - nessuno dell’equipaggio stava guardando la partita (nella cabina di comando non vi erano televisori); -
l’impatto non è stato improvviso. Tutti i passeggeri erano nel salone
De Lux (stanza provvista di porte tagliafuoco) con bagagli e giubbotti
di salvataggio. Questo significa che erano stati richiamati dalle cabine
presso cui si trovavano, alcuni stavano mettendo a letto i bambini
visto che tutto è successo dopo le dieci di sera, invitati a rifare i
bagagli, indossare i giubbotti e radunarsi nel salone, là dove sono
stati trovati. Nessuno dei corpi presentava traumi. Difficile
conciliare tutto ciò con un impatto improvviso causato dalla negligenza
dal personale che guardava la partita, ma nella memoria collettiva è
rimasto quella notizia: la tragedia è avvenuta perché l’equipaggio
guardava la partita di calcio. Perché? Perché il messaggio selezionato
dall’operatore era assolutamente credibile, mezza Italia si ferma
davanti ad una semifinale di Coppa delle Coppe.
USARE IL LINGUAGGIO GIUSTO
Come abbiamo
accennato l'uomo vede il mondo in termini di precedenti esperienze,
pregiudizi e stereotipi. Oltre a ciò, avendo una mente tendenzialmente
pigra è attratto da tutto ciò che gli permette di ridurre problemi
complessi in formule semplicistiche (tecnica che serve anche a costruire
ed alimentare a dismisura il nostro ego facendoci credere di essere
intelligentissimi e di aver capito tutto). L'operatore di guerra
psicologica risponde a questa esigenza usando le parole. Gli
stereotipi sono parole o frasi così intimamente associate ad idee o
credenze comunemente accettate da essere di per se stesse convincenti
senza bisogno della ragione o dell’apporto dell’informazione. Esse fanno
appello a quelle emozioni quali l’amore per la patria, il desiderio di
libertà, ecc.. Ovvero si accettano senza sottoporle ad un ragionamento
operando su di esse un transfert. Proprio per questo gli stereotipi sono
lasciati volutamente vaghi, affinché l’uditore possa interpretarli in
maniera personale. Anche
in questo caso facciamo un esempio. I nostri telegiornali, parlandoci
del conflitto in Iraq usano il termine "guerra di liberazione", in
realtà si tratta di una guerra di aggressione preventiva, illegale e
criminale secondo il diritto internazionale. Le truppe dei paesi
invasori al telegiornale diventano “truppe alleate”, mentre i
combattenti iracheni vengono definiti "fedelissimi di Saddam", per
condizionare i telespettatori e far pensare che siano uomini che
combattono per difendere un criminale, non il loro paese.
CREARE AMPIO NUMERO DI FONTI DI INFORMAZIONE
L'uditorio non deve
avere la sensazione di essere controllato. L’operatore di guerra
psicologica crea, quindi, un ampio numero di fonti d’informazione, i cui
messaggi devono essere leggermente diversi, ma condizionare tutti allo
stesso modo, così da dare la sensazione all’obiettivo di stare
scegliendo di propria volontà tra diverse opzioni e programmi (basti
pensare ai telegiornali, non solo danno le stesse notizie, ma, spesso,
hanno anche la stessa scaletta).
CREARE "OPINION LEADERS"
L’operatore di
guerra psicologica sa perfettamente che gli “opinion leaders”, hanno il
potere di influire sull’opinione pubblica quanto le personalità
politiche ed allora li crea. Sono quelle persone che compaiono in tutte
le trasmissioni televisive e la cui fama viene costruita dai media.
Vengono presentati come esperti del settore, opinionisti, ma difficile
per il telespettatore dire se l’opinionista sia diventato esperto del
settore perché è comparso in televisione o sia comparso in televisione
perché realmente era un esperto del settore.
ATTIVARE IL MECCANISMO DELLA RIPETIZIONE
Creata la realtà
voluta l’operatore di guerra psicologica deve attivare il meccanismo
della ripetizione, ovvero deve ripetere un fatto non vero così spesso da
farlo diventare reale, come nel succitato caso di Al Quaeda.
OPERARE DUBUNKING
Il debunking è una
forma di manipolazione che consiste nello smontare e confutare teorie ed
informazioni che vanno contro l’informazione (leggi manipolazione)
ufficiale, ovvero la c.d. controinformazione. L’opera
del debunker è di fondamentale importanza per la guerra psicologica;
egli opera con messaggi semplici, prevalentemente diretti a livello
emotivo con ganci diretti all’inconscio, ovvero a quei pregiudizi e
stereotipi inculcati sin dai tempi della scuola e rinforzati
quotidianamente dai media. Normalmente
il messaggio teso a screditare la fonte di controinformazione del
debunking si apre con un attacco sul piano personale, ovvero
etichettando la persona con insinuazioni varie. Le principali etichette
sono: bugiardo, paranoico, complottista, affetto da delirio di
persecuzione, mitomane in cerca di pubblicità, Euroscettico,
conservatore, nazionalista, xenofobo, razzista, fascista, sionista,
antisemita, fondamentalista, comunista, ecc. Tali
parole (etichette) hanno la capacità, inserendosi in automatismi creati
sin dalla scuola, di “impermeabilizzare” la nostra mente , ovvero
neutralizzare a priori ogni possibile apporto ad un pensiero diverso. Queste sono le principali tecniche di manipolazione mentale. Ora che si conoscono le tecniche ci si può difendere. Come? Ad esempio: -
quando i media trasmettono notizie come quelle su Al-Quaeda ci si deve
domandare cosa vogliono ottenere terrorizzando la popolazione. Vogliono
far passare leggi che elidano ancora di più i diritti fondamentali dei
cittadini? Si tratta di un “falso bersaglio”, ovvero desiderano attirare
l’attenzione della massa su un fronte per operare indisturbati su un
altro? -
Quando una persona in un dibattito non confuta i fatti ma si affida a
frasi generiche e banali con ganci chiaramente emotivi si deve cambiare
canale e approfondire personalmente la questione. Stessa cosa si deve
fare tutte le volte che qualcuno, invece di contestare nel merito
un’affermazione, attacca sul piano personale etichettando
l’interlocutore allo scopo di delegittimarlo; -
si deve analizzare sempre il contenuto di ciò che viene detto, ovvero
verificare se si tratta solo di forma (parole inutili e stereotipi) o vi
è anche sostanza, ecc... Gli
esempi potrebbero essere infiniti ma tutto si riduce, in fondo, ad una
sola cosa: ci dobbiamo riappropriare della capacità di pensare.
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