Tiziano Cerulli
Parlare di femminicidio e di violenza sulle donne non è un tema nuovo.
Negli ultimi anni, però, è diventato uno degli argomenti più "gettonati" dai mass media, tanto da diventare uno dei tormentoni mediatici che più che fare luce sulle vere cause e ragioni, contribuisce alla formazione di atteggiamenti e opinioni che incrementano odio e pregiudizio senza tenere conto delle variabili psicologiche, sociali e "spirituali" di un fenomeno di cui ben poco si conosce.
Prima di iniziare a trattare l'argomento vorrei sottolineare che personalmente non giustifico nessun tipo di violenza, a prescindere che sia diretto verso una donna, un uomo, un bambino o un animale. Chiunque sia stato vittima di violenza fisica, emozionale o psicologica o anche solo spettatore conosce la differenza tra vivere una tale dolorosa esperienza e sentirne solamente parlare.
Nel numero 243 di Psicologia contemporanea, Mauro Fornaro ordinario di Psicologia dinamica all'Università di Chieti-Pesacara, psicologo e psicoterapeuta, ha scritto un interessante articolo dal titolo: "Femminicidio le motivazioni dell'uomo". Nell'articolo Fornaro mette in guardia le persone, e sopratutto chi studia il fenomeno, dalla facilità con cui si cade nel giudizio per ignoranza. Se è vero che non si può giustificare la violenza, compito di uno psicologo però non è giudicare, bensì "capire" le dinamiche psichiche che intervengono nei fenomeni sociali e spiegarle.
"La diffidenza di cui è oggetto lo psicologo che cerchi di spiegare le drammatiche e frequenti notizie di violenza sulle donne deriva dal sospetto che lo sforzo di capire scivoli insensibilmente nella giustificazione", scrive Fornaro. Spiegare e giustificare sono due cose differenti, come giudicare e discernere. Così il compito rischioso a cui mi appresto è quello di comprendere, e non giustificare, come dei maschi possano essere indotti a fare violenza contro le donne ...Tale punto di vista è stato bene esposto anche da Silvia Bonino, ordinario di Psicologia dello sviluppo dell'Università di Torino, nel numero 239 della stessa rivista, che scrive: "le violenze commesse dagli uomini sulle donne sono di tipo diverso, sia per qualità che per gravità, e chiamano in causa processi psicologici differenti e articolati, che spesso si potenziano l'un l'altro.
La Bonino, per rendere ragione della complessità del fenomeno, propone un'analisi differenziata di alcune principali categorie di violenze: la violenza sessuale, la violenza nella coppia, e quella, di cui sempre più spesso si parla nei mezzi di comunicazione, la violenza dopo la rottura o la fine di una relazione.
"Tra le spiegazioni offerte dall'autrice, scrive Fornaro, talune meritano una sottolineatura, [...] a partire dal tema della violenza, per lo più psicologica, della donna sull'uomo, un tema comprensibilmente negletto a fronte dei gravissimi fatti di violenze fisiche perpetrati dall'uomo".
Mi viene in mente un'esperienza, vissuta personalmente qualche anno fà, durante un laboratorio intensivo di teatro dell'oppresso, in un contesto formativo di gruppo in cui era prevalente la presenza femminile. In quell'occasione si scelse di lavorare sul tema della violenza di una donna del sud verso un uomo. Il teatro dell'oppresso è un metodo attivo di esplorazione delle dinamiche comportamentali che permette di mettere in scena temi di natura sociale portando allo scoperto atteggiamenti e opinioni radicate nella cultura contemporanea. In quell'occasione, la mia impressione fu che il gruppo, e in particolare le donne, ebbero grosse difficoltà ad accettare e ad ammettere che un uomo potesse subire delle violenze da parte di una donna, in quel caso da una coppia di donne, moglie e suocera rispettivamente, del mal capitato. Nessun partecipante, in particolare tra le donne, fu in grado di mettere in scena (recitare) il ruolo del marito vessato e nel gruppo serpeggiava un clima di tensione e disagio che fui il primo a far notare. Se dal punto di vista cognitivo il messaggio che arrivava era: "non è giusto, povero uomo", al contrario dal punto di vista emotivo il messaggio sottostante era un altro: "se lo merita, che uomo è se non si sa difendere?". Questo punto fu fondamentale per capire quanto radicati e spesso ingenui sono i nostri punti di vista e pregiudizi sulla realtà dei fatti. In particolare sul ruolo del potere all'interno della coppia e sul concetto di mascolinità e femminilità.
Se è vero che non abbiamo dati quantitativi sicuri, sul piano qualitativo l'ipotesi è che vi sia un incremento motivazionale della violenza sulle donne. E' più che evidente ormai che l'emancipazione femminile ha spaventato il maschio, che si è sentito privato del suo ruolo di capofamiglia. Di chi "porta i pantaloni" in casa. Questo fenomeno ha generato complessi di inferiorità, insicurezze e paure nel maschio contemporaneo sempre più confuso e insicuro sulla sua virilità.
Se la donna si è evoluta a una velocità notevole, l'uomo sentendosi privato del suo ruolo di potere, non ha seguito parallelamente la stessa evoluzione, nascondendo ansia e insicurezza dietro un'atteggiamento difensivo che spesso diventa facilmente offensivo. Come un bambino a cui hai rubato la sua pistola giocattolo e non vuole più giocare, si difende alzando le mani perché non possiede gli strumenti per mediare il conflitto. La fragilità spesso si nasconde proprio dove sembra esserci forza. Il problema quindi è di identità di genere. "Accanto alla questione del genere femminile, sta sorgendo anche una questione di identità di genere maschile" scrive Fornari.
Mentre la donna ha acquisito potere, l'uomo si è sentito togliere quel potere non solo sul piano sociale ma anche nella relazione con il partner. Questo ha innescato delle dinamiche conflittuali, al di là della crisi dei ruoli familiari tradizionali. La figura paterna e il suo importantissimo ruolo nelle dinamiche familiari della società occidentale è stata messa in discussione da una eccessiva importanza data alla figura materna portando una mancanza di equilibrio nella pariteticità dei sessi. Il maschile e il femminile sono infatti i due piatti della bilancia che devono essere sempre equilibrati.
Nel momento in cui l'uomo si è sentito prevaricato, minacciato, giudicato da una potere femminile sempre più presente la reazione alla frustrazione è stata quella, non giustificabile, di reagire con violenza piuttosto che elaborare psicologicamente il vissuto emotivo.
La duplice domanda che ci si pone è: perché l'uomo trova facile passare subito alla violenza piuttosto che affrontare il dialogo, e perché non è ugualmente violento il comportamento femminile nel conflitto? Se è infatti vero che l'uomo è superiormente più forte sul piano fisico, è anche vero che la donna possiede un tipo di violenza morale e psicologica più sottile ma non meno pericolosa. Questo elemento è sufficiente per sfatare il mito che la donna sia meno predisposta all'aggressività dell'uomo e quindi il cosiddetto "sesso debole". La violenza femminile è diversa nella forma: più sottile come abbiamo detto, meno apertamente fisica che quella grossolana e materiale dell'uomo.
Nei recenti episodi di cronaca la prima conclusione a cui si arriva è che la donna sia la vittima "indifesa" e "ingenua" mentre l'uomo il mostro da sbattere in prima pagina. Se è vero che questi episodi vanno puniti e i responsabili arrestati è lecito chiedersi quali sono gli antefatti. Quali complesse dinamiche individuali, di coppia e familiari si attivano e come possiamo prevenirle. Qual'è la gabbia che limita la nostra libertà di amare come essere umani liberi da attaccamenti e obblighi?
Lea Melandri in un articolo apparso sul sito del corriere della sera scrive: "Non possiamo limitarci a richiamare ogni volta la possessività maschile e il dominio che l'uomo si è storicamente attribuito rispetto all'altro sesso, senza dire che, col matrimonio e le convivenze, si passa dalla fase dell'innamoramento a rapporti che richiamano la relazione tra madri e figli, dove la cura e la dedizione di una donna può essere a sua volta sentita come dominio, infantilizzazione e colpevolizzazione dell'altro. E non è necessario che la donna abbia più anni del suo compagno, come in questo caso. È difficile da riconoscere, ma non è la prima volta che dare la morte "libera" paradossalmente da un'angoscia più profonda, che è opporsi, confliggere, sopportare sensi di colpa e responsabilità. Qualcuno ha detto giustamente che è un comportamento infantile pensare a un nuovo inizio, dopo aver fatto il vuoto di legami diventati intollerabili. Il sessismo andrebbe interrogato anche sotto questo aspetto: il prolungamento dell'infanzia che si annida dietro il dominio maschile e che oggi gli uomini scoprono come dipendenza, fragilità, e di conseguenza rancore, vendetta, ritorsione violenta, sia quando la donna cerca di trattenerli sia quando decide di lasciarli.
Questo tipo di violenza quindi si manifesta certamente anche nelle relazioni di coppia, scrive Fornaro, ed è più facilmente esercitata dalla donna rispetto alla violenza fisica, per esempio con forme di umiliazione del partner, specie se di fronte a terzi, con lo svilimento di fronte ai figli o nei discorsi con loro, sono all'ordine del giorno madri che in tribunale accusano i mariti di presunta pedofilia o cercano di togliere la potestà solo per vendetta, escludendo il padre dal rapporto con loro.
Sembra quindi che la donna non sia proprio il "sesso debole" ma anzi che alla sua predisposizione, in media, a una maggiore intuizione psicologica il maschio non sa, a volte, rispondere: né, al meglio con un'adeguata elaborazione psicologica, né tantomeno con le stesse sottigliezze e cattiverie che le donne spesso mettono in atto anche tra di loro. Non resta quindi che la reazione sul piano fisico, dove può ancora prevalere.
Mi accingo a concludere questo articolo invitando donne e uomini a riflettere su questo tipo di dinamiche che favoriscono la violenza maschile, prima di puntare il dito e giudicare situazioni e persone di cui non sappiamo nulla, nonché sul fatto che non sempre la donna è quella vittima innocente, laddove partecipa consapevolmente o inconsapevolmente a un circolo vizioso e una dinamica psicologica di violenza reciproca con un partner che lei stessa ha scelto.
Nella seconda parte dell'articolo parlerò delle ragioni spirituali e animiche per cui spesso attiriamo forme di violenza ed eventi traumatici nelle nostre vite.
tizianando.blogspot.it
Negli ultimi anni, però, è diventato uno degli argomenti più "gettonati" dai mass media, tanto da diventare uno dei tormentoni mediatici che più che fare luce sulle vere cause e ragioni, contribuisce alla formazione di atteggiamenti e opinioni che incrementano odio e pregiudizio senza tenere conto delle variabili psicologiche, sociali e "spirituali" di un fenomeno di cui ben poco si conosce.
Prima di iniziare a trattare l'argomento vorrei sottolineare che personalmente non giustifico nessun tipo di violenza, a prescindere che sia diretto verso una donna, un uomo, un bambino o un animale. Chiunque sia stato vittima di violenza fisica, emozionale o psicologica o anche solo spettatore conosce la differenza tra vivere una tale dolorosa esperienza e sentirne solamente parlare.
Nel numero 243 di Psicologia contemporanea, Mauro Fornaro ordinario di Psicologia dinamica all'Università di Chieti-Pesacara, psicologo e psicoterapeuta, ha scritto un interessante articolo dal titolo: "Femminicidio le motivazioni dell'uomo". Nell'articolo Fornaro mette in guardia le persone, e sopratutto chi studia il fenomeno, dalla facilità con cui si cade nel giudizio per ignoranza. Se è vero che non si può giustificare la violenza, compito di uno psicologo però non è giudicare, bensì "capire" le dinamiche psichiche che intervengono nei fenomeni sociali e spiegarle.
"La diffidenza di cui è oggetto lo psicologo che cerchi di spiegare le drammatiche e frequenti notizie di violenza sulle donne deriva dal sospetto che lo sforzo di capire scivoli insensibilmente nella giustificazione", scrive Fornaro. Spiegare e giustificare sono due cose differenti, come giudicare e discernere. Così il compito rischioso a cui mi appresto è quello di comprendere, e non giustificare, come dei maschi possano essere indotti a fare violenza contro le donne ...Tale punto di vista è stato bene esposto anche da Silvia Bonino, ordinario di Psicologia dello sviluppo dell'Università di Torino, nel numero 239 della stessa rivista, che scrive: "le violenze commesse dagli uomini sulle donne sono di tipo diverso, sia per qualità che per gravità, e chiamano in causa processi psicologici differenti e articolati, che spesso si potenziano l'un l'altro.
La Bonino, per rendere ragione della complessità del fenomeno, propone un'analisi differenziata di alcune principali categorie di violenze: la violenza sessuale, la violenza nella coppia, e quella, di cui sempre più spesso si parla nei mezzi di comunicazione, la violenza dopo la rottura o la fine di una relazione.
"Tra le spiegazioni offerte dall'autrice, scrive Fornaro, talune meritano una sottolineatura, [...] a partire dal tema della violenza, per lo più psicologica, della donna sull'uomo, un tema comprensibilmente negletto a fronte dei gravissimi fatti di violenze fisiche perpetrati dall'uomo".
Mi viene in mente un'esperienza, vissuta personalmente qualche anno fà, durante un laboratorio intensivo di teatro dell'oppresso, in un contesto formativo di gruppo in cui era prevalente la presenza femminile. In quell'occasione si scelse di lavorare sul tema della violenza di una donna del sud verso un uomo. Il teatro dell'oppresso è un metodo attivo di esplorazione delle dinamiche comportamentali che permette di mettere in scena temi di natura sociale portando allo scoperto atteggiamenti e opinioni radicate nella cultura contemporanea. In quell'occasione, la mia impressione fu che il gruppo, e in particolare le donne, ebbero grosse difficoltà ad accettare e ad ammettere che un uomo potesse subire delle violenze da parte di una donna, in quel caso da una coppia di donne, moglie e suocera rispettivamente, del mal capitato. Nessun partecipante, in particolare tra le donne, fu in grado di mettere in scena (recitare) il ruolo del marito vessato e nel gruppo serpeggiava un clima di tensione e disagio che fui il primo a far notare. Se dal punto di vista cognitivo il messaggio che arrivava era: "non è giusto, povero uomo", al contrario dal punto di vista emotivo il messaggio sottostante era un altro: "se lo merita, che uomo è se non si sa difendere?". Questo punto fu fondamentale per capire quanto radicati e spesso ingenui sono i nostri punti di vista e pregiudizi sulla realtà dei fatti. In particolare sul ruolo del potere all'interno della coppia e sul concetto di mascolinità e femminilità.
Se è vero che non abbiamo dati quantitativi sicuri, sul piano qualitativo l'ipotesi è che vi sia un incremento motivazionale della violenza sulle donne. E' più che evidente ormai che l'emancipazione femminile ha spaventato il maschio, che si è sentito privato del suo ruolo di capofamiglia. Di chi "porta i pantaloni" in casa. Questo fenomeno ha generato complessi di inferiorità, insicurezze e paure nel maschio contemporaneo sempre più confuso e insicuro sulla sua virilità.
Se la donna si è evoluta a una velocità notevole, l'uomo sentendosi privato del suo ruolo di potere, non ha seguito parallelamente la stessa evoluzione, nascondendo ansia e insicurezza dietro un'atteggiamento difensivo che spesso diventa facilmente offensivo. Come un bambino a cui hai rubato la sua pistola giocattolo e non vuole più giocare, si difende alzando le mani perché non possiede gli strumenti per mediare il conflitto. La fragilità spesso si nasconde proprio dove sembra esserci forza. Il problema quindi è di identità di genere. "Accanto alla questione del genere femminile, sta sorgendo anche una questione di identità di genere maschile" scrive Fornari.
Mentre la donna ha acquisito potere, l'uomo si è sentito togliere quel potere non solo sul piano sociale ma anche nella relazione con il partner. Questo ha innescato delle dinamiche conflittuali, al di là della crisi dei ruoli familiari tradizionali. La figura paterna e il suo importantissimo ruolo nelle dinamiche familiari della società occidentale è stata messa in discussione da una eccessiva importanza data alla figura materna portando una mancanza di equilibrio nella pariteticità dei sessi. Il maschile e il femminile sono infatti i due piatti della bilancia che devono essere sempre equilibrati.
Nel momento in cui l'uomo si è sentito prevaricato, minacciato, giudicato da una potere femminile sempre più presente la reazione alla frustrazione è stata quella, non giustificabile, di reagire con violenza piuttosto che elaborare psicologicamente il vissuto emotivo.
La duplice domanda che ci si pone è: perché l'uomo trova facile passare subito alla violenza piuttosto che affrontare il dialogo, e perché non è ugualmente violento il comportamento femminile nel conflitto? Se è infatti vero che l'uomo è superiormente più forte sul piano fisico, è anche vero che la donna possiede un tipo di violenza morale e psicologica più sottile ma non meno pericolosa. Questo elemento è sufficiente per sfatare il mito che la donna sia meno predisposta all'aggressività dell'uomo e quindi il cosiddetto "sesso debole". La violenza femminile è diversa nella forma: più sottile come abbiamo detto, meno apertamente fisica che quella grossolana e materiale dell'uomo.
Nei recenti episodi di cronaca la prima conclusione a cui si arriva è che la donna sia la vittima "indifesa" e "ingenua" mentre l'uomo il mostro da sbattere in prima pagina. Se è vero che questi episodi vanno puniti e i responsabili arrestati è lecito chiedersi quali sono gli antefatti. Quali complesse dinamiche individuali, di coppia e familiari si attivano e come possiamo prevenirle. Qual'è la gabbia che limita la nostra libertà di amare come essere umani liberi da attaccamenti e obblighi?
Lea Melandri in un articolo apparso sul sito del corriere della sera scrive: "Non possiamo limitarci a richiamare ogni volta la possessività maschile e il dominio che l'uomo si è storicamente attribuito rispetto all'altro sesso, senza dire che, col matrimonio e le convivenze, si passa dalla fase dell'innamoramento a rapporti che richiamano la relazione tra madri e figli, dove la cura e la dedizione di una donna può essere a sua volta sentita come dominio, infantilizzazione e colpevolizzazione dell'altro. E non è necessario che la donna abbia più anni del suo compagno, come in questo caso. È difficile da riconoscere, ma non è la prima volta che dare la morte "libera" paradossalmente da un'angoscia più profonda, che è opporsi, confliggere, sopportare sensi di colpa e responsabilità. Qualcuno ha detto giustamente che è un comportamento infantile pensare a un nuovo inizio, dopo aver fatto il vuoto di legami diventati intollerabili. Il sessismo andrebbe interrogato anche sotto questo aspetto: il prolungamento dell'infanzia che si annida dietro il dominio maschile e che oggi gli uomini scoprono come dipendenza, fragilità, e di conseguenza rancore, vendetta, ritorsione violenta, sia quando la donna cerca di trattenerli sia quando decide di lasciarli.
Questo tipo di violenza quindi si manifesta certamente anche nelle relazioni di coppia, scrive Fornaro, ed è più facilmente esercitata dalla donna rispetto alla violenza fisica, per esempio con forme di umiliazione del partner, specie se di fronte a terzi, con lo svilimento di fronte ai figli o nei discorsi con loro, sono all'ordine del giorno madri che in tribunale accusano i mariti di presunta pedofilia o cercano di togliere la potestà solo per vendetta, escludendo il padre dal rapporto con loro.
Sembra quindi che la donna non sia proprio il "sesso debole" ma anzi che alla sua predisposizione, in media, a una maggiore intuizione psicologica il maschio non sa, a volte, rispondere: né, al meglio con un'adeguata elaborazione psicologica, né tantomeno con le stesse sottigliezze e cattiverie che le donne spesso mettono in atto anche tra di loro. Non resta quindi che la reazione sul piano fisico, dove può ancora prevalere.
Mi accingo a concludere questo articolo invitando donne e uomini a riflettere su questo tipo di dinamiche che favoriscono la violenza maschile, prima di puntare il dito e giudicare situazioni e persone di cui non sappiamo nulla, nonché sul fatto che non sempre la donna è quella vittima innocente, laddove partecipa consapevolmente o inconsapevolmente a un circolo vizioso e una dinamica psicologica di violenza reciproca con un partner che lei stessa ha scelto.
Nella seconda parte dell'articolo parlerò delle ragioni spirituali e animiche per cui spesso attiriamo forme di violenza ed eventi traumatici nelle nostre vite.
tizianando.blogspot.it
NOTA PERSONALE... Mi
trovo d'accordo su un punto con l'autore dell'articolo, e cioè sul
fatto che a volte noi donne usiamo una sottile "cattiveria" per istigare
l'uomo, è un bel articolo, ma si dimentica del fatto che la violenza
sulla donna non è cosa recente, bensì risale a millenni addietro.
Quindi... qualcosa sfugge. La crudeltà dell'uomo verso la donna è un
bagaglio , oserei dire "emozionale" che cresce con lui, la cosa che più
mi sconcerta è che spesso è proprio la donna in quanto madre a dare
l'educazione base al figlio, a questo punto mi vien da pensare che anche
la donna, non ha la capacità di sfuggire allo stereotipo che la
società gli ha inculcato, stereotipo che la vede succube al maschio,
devota al suo volere.
La mia personale visione dei fatti ecco il post:
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