Gurdjeff
era uno stronzo, questo è pacifico, ma i suoi insegnamenti avevano
molto senso. In particolare parliamo oggi del concetto di “centro”.
Occorre fare un po’ di sforzo mentale, un po’ di lavoro, ma alla fine
tutto è molto chiaro.
Incominciamo in modo molto sintetico da cosa ci dice la “teoria”.
Nell’uomo i vari processi trovano un punto di coordinamento in appositi
centri. Esistono un centro intellettivo, uno emotivo, uno motore. Poi ne
esistono altri, quello istintivo, quello sessuale etc. etc. Ma i primi
tre, sono davvero principali nell’uomo come è oggi.
Partiamo dal centro motore: osservarlo non è difficile; basta imparare un movimento che non conosciamo. Andare in bicicletta, ad esempio. All’inizio sembra impossibile, poi divente più semplice, fino a che, ad un certo punto… succede una specie di miracolo e noi diventiamo capaci di andare in bici, cosa che non dimentichiamo più.
Come accade questo? Semplice: il nostro centro intellettivo analizza
il movimento e cerca di riprodurlo. Ad ogni tentativo, quello che
facciamo viene “registrato” in quello che potremmo chiamare centro
motore (la localizzazione fisica esiste, ma non è scopo di questo post).
Ad un certo punto il centro motore prende in mano la situazione; ha,
per così dire, “capito come si fa”. Da quel momento in poi, la complessa
serie di movimenti necessari a stare in sella non deve più passare per
la corteccia cerebrale: è diventata automatica. Il centro motore, in
altre parole, è stato programmato e, per molto tempo, non dimenticherà
più questa sequenza, riproponendola pari pari tutte le volte che si
presenterà l’occasione. Questo meccanismo è alla base di tutte le
scienze fisiche, come ad esempio, la danza, le arti marziali, lo sci e
tante altre attività fisiche che richiedono un’automatizzazione del
movimento come la guida di un auto o di una moto. Anche l’atto del
camminare, prima conquista motoria di una importanza fondamentale nel
bambino, è a carico del centro motore.
Per quanto incredibile possa sembrare, esistono centri analoghi che gestiscono i nostri processi intellettivi ed emotivi. Anche il pensiero viene “educato” (anche se sarebbe meglio dire “condizionato”) e lo stesso vale per le emozioni. Osservare gli eventi che includono questi due centri diventa un po’ più complesso e richiede una certa capacità di distacco e sincerità nei confronti di noi stessi. Ad esempio, avete notato come una canzone può produrre sempre la stessa emozione? Oppure come sia quasi automatico l’insorgere delle stesse emozioni di fronte agli stessi stimoli? Oltre alla questione di risposta automatica insita nella mancanza di consapevolezza dell’essere umano, vi è proprio il meccanismo di funzionamento dei centri implicati.
Quello che però molto spesso non si sa è che ogni centro, è a sua
volta dotato di tre “componenti” che rispecchiano la struttura generale.
Nel centro motore troveranno quindi posto un centro “intellettivo”, uno
“emotivo” ed uno “motorio” vero e proprio.
Lo stesso vale per il centro emotivo.
La prima conseguenza di questo è che le emozioni hanno una loro
componente “motoria” ed una “intellettiva”.
Ad esempio, quando proviamo un’emozione negativa come la rabbia, e non la esprimiamo nel modo corretto, quell’emozione (la rabbia) si troverà comunque ad essere nata ma a non aver trovato il suo corretto canale espressivo. Sceglierà quindi (e qui entra la componente motoria del centro emotivo) il percorso che offre meno resistenza. Tipicamente, andrà ad infilarsi in un organo bersaglio (ad esempio: il fegato), generando un danno più o meno esteso, più o meno grave, in quell’organo che ne è diventato il bersaglio per errore.
Ad esempio, quando proviamo un’emozione negativa come la rabbia, e non la esprimiamo nel modo corretto, quell’emozione (la rabbia) si troverà comunque ad essere nata ma a non aver trovato il suo corretto canale espressivo. Sceglierà quindi (e qui entra la componente motoria del centro emotivo) il percorso che offre meno resistenza. Tipicamente, andrà ad infilarsi in un organo bersaglio (ad esempio: il fegato), generando un danno più o meno esteso, più o meno grave, in quell’organo che ne è diventato il bersaglio per errore.
Il problema è che così facendo, quell’emozione ha creato un
precedente. Ha, per così dire, aperto una strada sbagliata per l’energia
emotiva. Questa strada, con il reiterarsi dell’errore, diventerà sempre
più definita, sempre più chiara, ma, quello che è il maggior danno,
sempre più facile da seguire rispetto a quella corretta. E’ la
componente motoria del centro emotivo che determina questa evoluzione
errata, allo stesso modo in cui un atto meccanico ripetuto, a lungo
andare diventa automatico.
Il risultato, in questo caso, è che a furia di reprimere un
sentimento potente, positivo o negativo che sia, si finisce per generare
una maggior facilità di quell’emozione a fluire nella direzione
sbagliata. Ad un certo punto questa direzione risulterà così semplice da
prendere che le emozioni di quel tipo prenderanno sempre quella
(sbagliata) anziché comportarsi come dovrebbero.
Ecco perchè chi ha un problema di fegato dovuto alla facilità di incazzatura tenderà ad acuirlo sempre più. Ed ecco perchè i problemi fisici derivanti da un’errata disposizone emotiva, ad un certo punto sembrano conoscere una sorta di “impennata”: perchè non siamo più in grado, anche volendo, di far prendere la strada giusta alle nostre emozioni.
A quel punto occorre un grosso lavoro di rieducazione al contrario:
bisognerà cioè intervenire volontariamente nell’espressione emotiva, in
modo da “riprogrammare” la componente motoria del centro emotivo ed
eliminare così la via di minor resistenza profondamente errata che la
nostra psiche ha generato.
Siamo abituati a non manifestare mai la nostra rabbia? Bene,
cominciamo a farlo. Un suggerimento viene ad esempio da Osho, che
suggerisce di prendere un oggetto (ad esempio un cuscino) e, una volta
che ci troviamo da soli, iniziare a sfogare su di esso la nostra
incazzatura. Ma farlo veramente, vivendola appieno, esprimendola a voce
alta, anche gridando, prendendo a botte il cuscino… è un modo.
Anche parlare da soli può servire: vocalizzare i propri pensieri
derivanti da qualcosa che ci ha fatto incazzare è molto importante;
farlo fino a che non ci accorgiamo che stiamo recitando, che quel
pensiero ha perso la sua forza è un modo per evitare che quello stesso
pensiero trovi il modo di infilarsi in un organo così a fondo da
danneggiarlo.
Impariamo che non siamo le nostre emozioni, così come non siamo i nostri pensieri e nemmeno le nostre azioni.
Noi siamo noi.
Il resto è un effetto di noi.
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