Chi ha 50 anni o giù di lì ed è rimasto senza lavoro,
o è cassintegrato e decide di non fare l’assistito dello Stato o della famiglia
troverà tutte le porte chiuse, qualsiasi cosa
decida di fare.
Non esiste libertà di
scelta. Non è possibile dire, ok, decido
di continuare o riprendere gli studi, di prendere una nuova laurea, perché
le università hanno il numero chiuso e non ci sono canali preferenziali per chi
versa in situazioni di emergenza e dimostra la volontà di riqualificarsi.
Il concetto di
riqualificazione è assai basso come livello. L’offerta formativa, quando c’è,
perché i percorsi di politiche attive
del lavoro sono incerti e lenti, è di basso livello, affidata ad agenzie
formative.
Chi ci guadagna da
questa situazione, più che gli allievi dei corsi sono le stesse agenzie. La
formazione professionale non è cambiata nel tempo e i corsi di alto livello e
di qualifica, a detta di chi li ha frequentati, lasciano a desiderare. È un segno di decadenza, non di un paese
che vuole risollevarsi. La cultura
non è vista e incentivata come un fattore di sviluppo, sempre più spesso i
canali che portano all’innalzamento del grado di conoscenze sono otturati, ci
sono pochi posti a disposizione, poche strutture e mezzi. Così scivoliamo
sempre più in basso nelle classifiche mondiali delle università, si pensi che
nelle prime 100 migliori università del mondo nemmeno una è italiana.
Le alternative per chi è avanti con gli anni sono di
accettare, quando ci sono, offerte di lavoro umili e dequalificanti, contratti
temporanei e sottopagati, così i progetti di
vita se ne vanno a benedire, altrimenti si è costretti a emigrare, con tutti i
problemi che comporta ad un adulto con famiglia. Se io decidessi di riscrivermi
all’università per fare l’infermiere o una professione sanitaria, non sarebbe
possibile, impresa ardua. Però i nostri ospedali e cliniche private pullulano
di personale straniero, perché arrivano in Italia con in tasca il titolo,
titolo a cui un italiano volenteroso non può accedere. Così dobbiamo tenerci i
percorsi ridicoli di politiche attive del lavoro, magari un giorno, chi sarà più fortunato, potrà fare l’operaio precario
sottopagato alle dipendenze di un ingegnere straniero in Italia.
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