Il più famoso motore di ricerca del mondo è, ormai da anni, abusato
come propiziatore diagnostico in ambito sanitario. Travisato come ambulatorio
polispecialistico onnisciente, si è meritato a furor di popolo il titolo di
dottore, il Dottor Google.
Sembra che negli Stati Uniti otto persone su 10 affidino alla Rete le preoccupazioni sul proprio stato di salute mentre in Italia, secondo una ricerca del Censis (2012) ben il 32% della popolazione sceglie il web per interpretare sintomi e riconoscere patologie prima di rivolgersi al medico di base o a uno specialista.
Il Dott. Google, semplice, accattivante e gratuito, ha l’ipnotico
talento di rispondere a ogni consulto in modo contraddittorio e dispersivo. Il quesito del paziente riceve
rassicurazioni generiche o indicazioni allarmistiche, col risultato di
confondere i suoi “assistiti” e il rischio che qualcuno di essi pervenga a
auto-diagnosi errate o, peggio ancora, improvvisi cure e rimedi senza prima
interpellare un dottore in carne ed ossa.
Il successo del Dott. Google negli Stati Uniti si deve in parte
all’elevato costo delle consulenze mediche e, in Europa, è forse incoraggiato
alla crisi economica. Un’altra delle possibili cause del fenomeno è l’abitudine ormai
consolidata e generale all’utilizzo del web per reperire ogni genere di beni e
servizi, compresi appunto i servizi sanitari.
Per una parte della popolazione l’accesso online a contenuti medici può diventare un’ossessione vera e propria e strutturarsi in un disturbo psicologico di tipo fobico-ossessivo caratterizzato dalla ricerca continua di informazioni su malattie basata sulla convinzione infondata di essere affetti da una qualche sindrome. Li chiamano “cybercondriaci” e la loro vera patologia è una versione moderna della più conosciuta ipocondria.
In
passato, il malato immaginario ricorreva ai veri medici, oggi, invece, prima di
tutto alimenta e conferma le sue paure facendo continuo ricorso al Dott.
Google, con implicazioni negative per il proprio equilibrio psicologico.
A partire dalla premessa errata di avere una patologia, l’ipocondriaco
cibernetico comincia a cercare sul web con l’ingenuo proposito di sollevarsi
dall’ansia e dalla paura di essere malato. A volte trova effettivamente
informazioni confortanti ma, spinto
dal bisogno di “certezze”, insiste nella navigazione sino a che non si imbatte
in notizie allarmanti e quadri diagnostici che gli confermano la possibilità di
essere affetto da un grave e irrimediabile male.
La crisi psicologica che deriva da questa “pseudo-conferma” induce il cybercondriaco a intensificare e ampliare la ricerca nella speranza di reperire nuovi dati che possano ridurre il crescente senso di vulnerabilità e di morte imminente.
La cybercondria è principalmente focalizzata su tumori, malattie
cronico-degenerative e sindrome da hiv e si manifesta principalmente attraverso
alcuni indicatori:
- la costante consultazione di siti medici e forum riguardanti il disturbo immaginato;
- la tendenza a parlare di continuo e a socializzare i propri timori nelle relazioni faccia a faccia e nei social-network;
- l’attenzione selettiva per le spiegazioni più preoccupanti e drammatiche del sintomo più lieve;
- lo sviluppo di condotte compulsive per la pulizia e l’ordine sia nell’ambito personale che interpersonale, condotte che finiscono per alterare in modo significativo le capacità relazionali e la libertà d’azione della persona.
A tali indicatori, si aggiunge una vasta costellazione di sintomi psicologici e psico-somatici, questi ultimi serviranno a giustificare il sempre più accorato e incontenibile ricorso al Dottor Google.
La
risposta alla cybercondria è la psicoterapia che in tempi brevi può
depontenziare il disturbo, neutralizzare i sintomi e aiutare la persona a
individuare e interrompere gli schemi psicologici alla base della sua
sofferenza.
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