Il presente è ciò che conta. Sembrano
pensarla così le “Millennials”, le giovani donne tra i 30 e i 40 anni
che investono tempo ed energie nella loro realizzazione personale e
lavorativa di oggi, mettendo in secondo piano matrimonio e figli di
domani. Una delle tante conseguenze della precarietà, o una vera e
propria scelta esistenziale?
L’indipendenza, prima di tutto.
Economica, ma anche affettiva. Il che non significa per forza rinunciare
a sesso e affetti: il primo può esserci anche al di fuori di una
relazione “tradizionale”, i secondi arrivano soprattutto dalla “famiglia
allargata”, in cui rientra, accanto a quella d’origine, anche una fitta
rete di conoscenze e amicizie.
Dinamiche, propositive, autonome, colte e con un forte senso pratico. E spesso, sì, “sole” o meglio “single”: ancora in cerca di un compagno per la vita (o per lo meno di una presenza sentimentale stabile al loro fianco) e molto impegnate a realizzarsi in ambito professionale, a maggior ragione oggi che la precarietà la fa da padrone un po’ ovunque, anche per mantenersi senza per forza appoggiarsi a qualcuno. Ma non per questo tristi o spente. Anzi: hanno vite piene, intense, ricche di molte esperienze lavorative, sociali e culturali.
Ecco un primo sguardo alle cosiddette “Millennials”, giovani donne tra i 30 e i 40 anni, appartenenti alla “Generazione Y” o “Millennium”, appunto: nate alla fine del secolo scorso, mostrano un forte cambiamento rispetto alle loro madri, zie e sorelle maggiori in particolare per quanto riguarda il rapporto con la famiglia e la maternità. Obiettivi che non sembrano essere per loro prioritari come lo erano, magari, per i loro genitori e i coetanei di questi.
Dinamiche, propositive, autonome, colte e con un forte senso pratico. E spesso, sì, “sole” o meglio “single”: ancora in cerca di un compagno per la vita (o per lo meno di una presenza sentimentale stabile al loro fianco) e molto impegnate a realizzarsi in ambito professionale, a maggior ragione oggi che la precarietà la fa da padrone un po’ ovunque, anche per mantenersi senza per forza appoggiarsi a qualcuno. Ma non per questo tristi o spente. Anzi: hanno vite piene, intense, ricche di molte esperienze lavorative, sociali e culturali.
Ecco un primo sguardo alle cosiddette “Millennials”, giovani donne tra i 30 e i 40 anni, appartenenti alla “Generazione Y” o “Millennium”, appunto: nate alla fine del secolo scorso, mostrano un forte cambiamento rispetto alle loro madri, zie e sorelle maggiori in particolare per quanto riguarda il rapporto con la famiglia e la maternità. Obiettivi che non sembrano essere per loro prioritari come lo erano, magari, per i loro genitori e i coetanei di questi.
“Vorresti un figlio e/o ti sposerai nei
prossimi tre anni?”, è stato chiesto nell’ambito di un recente “Rapporto
giovani” dell’Istituto Toniolo di Milano. Ebbene, oltre il 60% delle
intervistate tra i 25 e i 29 anni (considerata la classica “età da
marito” e in certi casi già da “primipara attempata”) non ha avuto
esitazione a rispondere un “No” deciso.
Le motivazioni? Tutto parte dalla consapevolezza, sempre più forte, che… “del doman non v’è certezza”, per citare un verso famoso. Si può agire con una certa padronanza di sé, seppur in mezzo a varie difficoltà materiali e relazionali, solo nel presente, mentre risulta difficile programmare il domani, con un futuro pieno di numerose incognite. Soprattutto barcamenandosi tra contratti a termine: secondo l’Istat, circa il 60% dei lavoratori giovani, quando termina un’esperienza precaria, passa a un’altra ugualmente “a tempo” (spesso meno di un anno…); uno su cinque non trova nemmeno un nuovo impiego.
Tra debolezze contrattuali e stipendi bassi, negli anni è salita l’età media delle italiane che partoriscono il primo figlio: 31,4 anni nel 2012, quando nel 1995 non arrivava neppure ai 30. E il fenomeno appare ancora più diffuso nel nostro Paese: un quarto delle donne nella Penisola arriva al termine dell’età fertile senza prole, contro il 14% delle americane e il 10% delle francesi. Quasi un paradosso, visto che da sempre, nel mondo, l’italianità è anche sinonimo di famiglia numerosa, unita e piena di calore.
Certo, l’alta percentuale di donne senza figli pesa sulla già evidente crisi demografica. Attualmente, sempre in base a dati Istat, gli over 65 sono circa 150 ogni 100 ragazzi sotto i 14 anni; continuando di questo passo, entro il 2050 il rapporto sarà di 263 contro 100.
L’affermazione lavorativa, si diceva, strettamente legata alle scarse possibilità economiche (tanto che, accanto alle giovani donne che si spostano dai luoghi d’origine e attraversano pure mari e oceani per inseguire la carriera, ce ne sono tante altre che restano a casa dei propri genitori protraendo lo status di figlie). Tuttavia, forse, ci sono altri aspetti da considerare che rendono più articolato il fenomeno.
Infatti, tra i più accaniti sostenitori del “movimento childfree”, che non solo non vogliono propri figli, ma mal sopportano in generale i bambini anche in luoghi pubblici o in vacanza, e l’atteggiamento conservatore di chi stigmatizza socialmente le donne che (ancora?) non hanno vissuto la prima gravidanza, in mezzo c’è una sorta di limbo, di zona grigia popolata da coloro che non pensano attualmente a mettere al mondo una nuova vita, ma non lo escludono neanche a priori. Vero che, a livello biologico, il genere femminile non può procreare a qualsiasi età anagrafica. Ma forse il punto è proprio questo: per loro, diventare madri sarebbe bellissimo, ma non è fondamentale.
“Sono gli altri che con le loro domande e i loro discorsi mi fanno pensare alla maternità”, spiega Michela, quasi 35 anni, formatrice aziendale single e ancora in casa con i suoi. “Il contratto a tempo indeterminato è arrivato solo qualche mese fa. Tuttavia sono serena: ho sempre avuto tempo e spazi per finire di studiare con calma, trovare il mio percorso professionale, frequentare le mie amicizie, fare nuovi incontri e viaggiare. Un figlio? Mi sono posta il quesito di recente, a un controllo ginecologico: la dottoressa mi ricordava che, se lo volessi, non dovrei aspettare troppo tempo… Ma io non sento tutta questa urgenza. Penso che molto dipenderà dall’uomo che sceglierò e avrò al mio fianco, in base anche ai suoi desideri. E se quest’ultimo avrà già dei figli nati da precedenti relazioni, non avrei problemi ad accettare la situazione. Anzi, in un certo senso mi piacerebbe avere a che fare con bambini non troppo piccoli o ragazzi già cresciuti: non mi sento troppo portata per preparare pappe, bagnetti, cambi di pannolino e pianti notturni….!”.
“Per me l’importante è trovare un compagno serio e affidabile, ma di cui davvero innamorarmi, ricambiata”, commenta Viola, scrittrice freelance di 32 anni, alle prese con un mutuo in una città che non è la sua e collaborazioni con magazine, radio e Tv poco remunerative. “Dover portare avanti due o tre lavori di sicuro non aiuta nella ricerca! E neanche a tenersi stretto qualcuno di speciale, nel caso lo incontrassi… Ma ho fatto talmente tanti sacrifici, anche emotivi, per arrivare ad arricchire il mio curriculum in attesa del “colloquio-svolta””, aggiunge, “che non intenderei buttare tutto all’aria una volta conquistato faticosamente. Mi spiacerebbe se fosse ormai troppo tardi, quando provassi a rimanere incinta, ma un figlio, per me, rappresenta il completamento di un’unione. Che ha un suo significato importante a prescindere, e, almeno nel momento presente, non la vivrei come un’ossessione”.
Le motivazioni? Tutto parte dalla consapevolezza, sempre più forte, che… “del doman non v’è certezza”, per citare un verso famoso. Si può agire con una certa padronanza di sé, seppur in mezzo a varie difficoltà materiali e relazionali, solo nel presente, mentre risulta difficile programmare il domani, con un futuro pieno di numerose incognite. Soprattutto barcamenandosi tra contratti a termine: secondo l’Istat, circa il 60% dei lavoratori giovani, quando termina un’esperienza precaria, passa a un’altra ugualmente “a tempo” (spesso meno di un anno…); uno su cinque non trova nemmeno un nuovo impiego.
Tra debolezze contrattuali e stipendi bassi, negli anni è salita l’età media delle italiane che partoriscono il primo figlio: 31,4 anni nel 2012, quando nel 1995 non arrivava neppure ai 30. E il fenomeno appare ancora più diffuso nel nostro Paese: un quarto delle donne nella Penisola arriva al termine dell’età fertile senza prole, contro il 14% delle americane e il 10% delle francesi. Quasi un paradosso, visto che da sempre, nel mondo, l’italianità è anche sinonimo di famiglia numerosa, unita e piena di calore.
Certo, l’alta percentuale di donne senza figli pesa sulla già evidente crisi demografica. Attualmente, sempre in base a dati Istat, gli over 65 sono circa 150 ogni 100 ragazzi sotto i 14 anni; continuando di questo passo, entro il 2050 il rapporto sarà di 263 contro 100.
L’affermazione lavorativa, si diceva, strettamente legata alle scarse possibilità economiche (tanto che, accanto alle giovani donne che si spostano dai luoghi d’origine e attraversano pure mari e oceani per inseguire la carriera, ce ne sono tante altre che restano a casa dei propri genitori protraendo lo status di figlie). Tuttavia, forse, ci sono altri aspetti da considerare che rendono più articolato il fenomeno.
Infatti, tra i più accaniti sostenitori del “movimento childfree”, che non solo non vogliono propri figli, ma mal sopportano in generale i bambini anche in luoghi pubblici o in vacanza, e l’atteggiamento conservatore di chi stigmatizza socialmente le donne che (ancora?) non hanno vissuto la prima gravidanza, in mezzo c’è una sorta di limbo, di zona grigia popolata da coloro che non pensano attualmente a mettere al mondo una nuova vita, ma non lo escludono neanche a priori. Vero che, a livello biologico, il genere femminile non può procreare a qualsiasi età anagrafica. Ma forse il punto è proprio questo: per loro, diventare madri sarebbe bellissimo, ma non è fondamentale.
“Sono gli altri che con le loro domande e i loro discorsi mi fanno pensare alla maternità”, spiega Michela, quasi 35 anni, formatrice aziendale single e ancora in casa con i suoi. “Il contratto a tempo indeterminato è arrivato solo qualche mese fa. Tuttavia sono serena: ho sempre avuto tempo e spazi per finire di studiare con calma, trovare il mio percorso professionale, frequentare le mie amicizie, fare nuovi incontri e viaggiare. Un figlio? Mi sono posta il quesito di recente, a un controllo ginecologico: la dottoressa mi ricordava che, se lo volessi, non dovrei aspettare troppo tempo… Ma io non sento tutta questa urgenza. Penso che molto dipenderà dall’uomo che sceglierò e avrò al mio fianco, in base anche ai suoi desideri. E se quest’ultimo avrà già dei figli nati da precedenti relazioni, non avrei problemi ad accettare la situazione. Anzi, in un certo senso mi piacerebbe avere a che fare con bambini non troppo piccoli o ragazzi già cresciuti: non mi sento troppo portata per preparare pappe, bagnetti, cambi di pannolino e pianti notturni….!”.
“Per me l’importante è trovare un compagno serio e affidabile, ma di cui davvero innamorarmi, ricambiata”, commenta Viola, scrittrice freelance di 32 anni, alle prese con un mutuo in una città che non è la sua e collaborazioni con magazine, radio e Tv poco remunerative. “Dover portare avanti due o tre lavori di sicuro non aiuta nella ricerca! E neanche a tenersi stretto qualcuno di speciale, nel caso lo incontrassi… Ma ho fatto talmente tanti sacrifici, anche emotivi, per arrivare ad arricchire il mio curriculum in attesa del “colloquio-svolta””, aggiunge, “che non intenderei buttare tutto all’aria una volta conquistato faticosamente. Mi spiacerebbe se fosse ormai troppo tardi, quando provassi a rimanere incinta, ma un figlio, per me, rappresenta il completamento di un’unione. Che ha un suo significato importante a prescindere, e, almeno nel momento presente, non la vivrei come un’ossessione”.
Ludmila, attrice 29enne di origine polacca da parte di madre, ma
cresciuta in Italia, non nega che si vivano intimamente anche forti
contraddizioni: “Sto con il mio fidanzato, più grande di me di una
decina d’anni, da due, ormai. Sono parecchio combattuta: da un lato so
che non mi basta stare in coppia per sentirmi completamente appagata.
Dall’altro, però, il mio cammino artistico mi ha sempre portato in giro,
anche all’estero… Diventa difficile, a volte, programmare un weekend,
figuriamoci pensare a stare ferma nove mesi più i primi anni di vita di
un bimbo. Vorrebbe dire rinunciare alla carriera da professionista – una
volta usciti “dal giro”, rientrare è davvero complicato… – e non sono
pronta per questo. Ho ancora voglia di ottenere nuove soddisfazioni e a
tal fine l’impegno da parte mia deve essere totale”.
Insomma, come afferma anche la psicologa Maria Rita Parsi – tra i cui libri figura “Single per sempre. Storie di donne liberi e felici”, Mondadori, 2007 – si tratta di nuove giovani donne consapevoli di se stesse e del proprio potenziale, pronte a investimenti e rinunce pur di concretizzarlo. Anche perché, ricorda la Parsi, si tratta spesso di persone che hanno visto da piccole, nelle loro famiglie, la propria madre sacrificarsi per accudire, secondo i canoni tradizionali della società, marito e figli o hanno vissuto storie di separazioni, divorzi, nascite o acquisizioni di altri fratelli e sorelle con cui hanno in comune solo un genitore.
Denise, poco più che trentenne, esperta di public relations, rientra in questa casistica e, a sua volta, sta con un uomo divorziato che aveva già due figli. “A volte vorrei che mi chiedesse di sposarlo o mi proponesse di avere un bimbo tutto nostro. Ma già ora, che entrambi saltiamo continuamente da un ambiente lavorativo a un altro, fatico a gestire tutto… non oso pensare se restassi incinta! E poi, se rifletto meglio, capisco che i miei improvvisi desideri di progettualità vorrebbero colmare, idealmente, le mancanze di sicurezza e affetto che ho avuto da bambina”.
Se demografi e studiosi universitari sono preoccupati per l’impatto che il fenomeno delle “Millennials”, senza mariti né prole, potrebbero avere sulla società, con sempre più anziani e, di conseguenza, scarso rinnovo generazionale; e se aumentano esponenzialmente i “nonni mancati”, genitori pieni di rammarico e disapprovazione nei confronti di figli che non sembrano intenzionati a dare loro dei nipotini, le trentenni di oggi appaiono meno ancorate ad alcune sicurezze e cliché, ma anche più proattive nelle loro esistenze e in quelle di chi le circonda.
Senza contare che, pur in assenza di una puntuale pianificazione di vita di coppia, tutto può evolversi da un momento all’altro: non solo la possibilità di stare insieme, ma anche del modo in cui si vive il rapporto. “Non ho mai sognato di avere figli, anzi”, spiega Raffaella, agente commerciale di 36 anni, da poco fidanzata “a distanza” con un coetaneo conosciuto in Rete su un forum di appassionati sportivi. “Prima, quando andavo in giro, come m’infastidivano pianti e urla di “mocciosi”!”, scherza. Forse condizionata anche da un’infanzia poco serena. Ora, però, che una delle sue migliori amiche è diventata madre, vedendo la sua felicità e tenendo in braccio il piccolo di cui è madrina, qualcosa sembra essere cambiato. “Non sono più sicura di non voler mettere al mondo un bebé. Con Carlo, il mio amore, ogni tanto capita il discorso e lo affrontiamo tutti e due serenamente, in attesa di poter andare a convivere entrambi nella stessa città”.
Né lavoro né soldi, dunque, né retaggi passati: forse la vera chiave di volta per una profonda trasformazione, anche in questi ambiti, è un cuore sorridente e appagato. Pronto ad accogliere il futuro, pieno di incertezze ma anche speranze, con apertura ed entusiasmo.
Insomma, come afferma anche la psicologa Maria Rita Parsi – tra i cui libri figura “Single per sempre. Storie di donne liberi e felici”, Mondadori, 2007 – si tratta di nuove giovani donne consapevoli di se stesse e del proprio potenziale, pronte a investimenti e rinunce pur di concretizzarlo. Anche perché, ricorda la Parsi, si tratta spesso di persone che hanno visto da piccole, nelle loro famiglie, la propria madre sacrificarsi per accudire, secondo i canoni tradizionali della società, marito e figli o hanno vissuto storie di separazioni, divorzi, nascite o acquisizioni di altri fratelli e sorelle con cui hanno in comune solo un genitore.
Denise, poco più che trentenne, esperta di public relations, rientra in questa casistica e, a sua volta, sta con un uomo divorziato che aveva già due figli. “A volte vorrei che mi chiedesse di sposarlo o mi proponesse di avere un bimbo tutto nostro. Ma già ora, che entrambi saltiamo continuamente da un ambiente lavorativo a un altro, fatico a gestire tutto… non oso pensare se restassi incinta! E poi, se rifletto meglio, capisco che i miei improvvisi desideri di progettualità vorrebbero colmare, idealmente, le mancanze di sicurezza e affetto che ho avuto da bambina”.
Se demografi e studiosi universitari sono preoccupati per l’impatto che il fenomeno delle “Millennials”, senza mariti né prole, potrebbero avere sulla società, con sempre più anziani e, di conseguenza, scarso rinnovo generazionale; e se aumentano esponenzialmente i “nonni mancati”, genitori pieni di rammarico e disapprovazione nei confronti di figli che non sembrano intenzionati a dare loro dei nipotini, le trentenni di oggi appaiono meno ancorate ad alcune sicurezze e cliché, ma anche più proattive nelle loro esistenze e in quelle di chi le circonda.
Senza contare che, pur in assenza di una puntuale pianificazione di vita di coppia, tutto può evolversi da un momento all’altro: non solo la possibilità di stare insieme, ma anche del modo in cui si vive il rapporto. “Non ho mai sognato di avere figli, anzi”, spiega Raffaella, agente commerciale di 36 anni, da poco fidanzata “a distanza” con un coetaneo conosciuto in Rete su un forum di appassionati sportivi. “Prima, quando andavo in giro, come m’infastidivano pianti e urla di “mocciosi”!”, scherza. Forse condizionata anche da un’infanzia poco serena. Ora, però, che una delle sue migliori amiche è diventata madre, vedendo la sua felicità e tenendo in braccio il piccolo di cui è madrina, qualcosa sembra essere cambiato. “Non sono più sicura di non voler mettere al mondo un bebé. Con Carlo, il mio amore, ogni tanto capita il discorso e lo affrontiamo tutti e due serenamente, in attesa di poter andare a convivere entrambi nella stessa città”.
Né lavoro né soldi, dunque, né retaggi passati: forse la vera chiave di volta per una profonda trasformazione, anche in questi ambiti, è un cuore sorridente e appagato. Pronto ad accogliere il futuro, pieno di incertezze ma anche speranze, con apertura ed entusiasmo.
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