Facebook è ormai una protesi della vita reale, ma non può sostituirsi
a essa soprattutto sugli aspetti motivi. La vita virtuale nasconde dei
pericoli, perché riduce tutto a un click. È più facile, allarmare o
coalizzare il dissenso. Difficile costruire davvero qualcosa...
Su Facebook non c'è empatia, è inutile raccontarsela. Quella
capacità un po' magica di entrare in connessione, penetrare nei
sentimenti dell'altro, saperli ascoltare, esserci con il corpo e con la
mente è esclusa dai social network. In fondo è quello che ognuno cerca
costantemente nella vita, come nei post e nelle chat online. Ma su
Facebook si crea un meccanismo perverso che ci rende tutti un po'
dipendenti, perché la piena empatia sul pianeta virtuale è un fenomeno
raro e invisibile. E così questa frustrazione continua ci rende come dei
dannati di un girone dantesco alla ricerca di nuove condivisioni, nuovi
contatti, nuove fantasie, che non si appagano mai.
Come commentano gli intellettuali più seriosi su Facebook c'è già troppo poco spazio per la riflessione. Si può ottenere velocemente un mi piace, magari sparandola grossa, con due pallottole che funzionano sempre bene: l'allarmismo e il dissenso. Con questi due strumenti si ha la garanzia di attirare più pubblico, lo sappiamo bene noi giornalisti, quando scriviamo i titoli. E quando pubblichiamo gli articoli su Facebook, ma anche su Twitter o Linkedin che sia. Anch'io se fossi a caccia di voti o di click avrei dovuto scegliere un altro titolo per questo post, tipo "Facebook fa male al cuore" o qualcosa del genere. Ma stavolta mi sono contenuto. La sensazione che ho è che quando pubblico qualcosa di più ragionato, interessi poco ai miei cosiddetti amici.
Beppe Grillo e il suo entourage questo meccanismo l'hanno capito bene, e infatti sono il movimento politico che raccoglie più adesioni sul web, soprattutto da quelli, come me, che passano più tempo davanti allo schermo. Non ho critiche da esprimere a riguardo. Mi dispiace solo il fatto che su Facebook non si riesca a costruire abbastanza, intossicandoci di immagini e parole. Siamo tutti capaci di firmare contro qualcosa, aderire a una protesta, oppure esibirsi nell'effimero, ma è più difficile produrre idee, senza essere disturbati da qualche rutto o schiamazzo virtuale.
Ma questo in fondo è lo specchio di una società e non dovrei lamentarmi. Anzi sono convinto che questo strumento si possa usare bene, per informarsi, connettersi, scambiare informazioni. Ormai è una protesi artificiale della nostra vita. Ma per favore non scambiate questo braccio di plastica per la vita vera, quella vissuta, fatta di gesti, sguardi timidi, calorosi abbracci o emozioni che gorgogliano nello stomaco. Facebook ci mostra sempre e solo la faccia, a volte le parti basse. Non per niente si chiama Face-book.
Quello che abbiamo dentro ha bisogno di altri canali. Provate Soulbook. PS Non vi lamentate se il link non funziona :-)
Come commentano gli intellettuali più seriosi su Facebook c'è già troppo poco spazio per la riflessione. Si può ottenere velocemente un mi piace, magari sparandola grossa, con due pallottole che funzionano sempre bene: l'allarmismo e il dissenso. Con questi due strumenti si ha la garanzia di attirare più pubblico, lo sappiamo bene noi giornalisti, quando scriviamo i titoli. E quando pubblichiamo gli articoli su Facebook, ma anche su Twitter o Linkedin che sia. Anch'io se fossi a caccia di voti o di click avrei dovuto scegliere un altro titolo per questo post, tipo "Facebook fa male al cuore" o qualcosa del genere. Ma stavolta mi sono contenuto. La sensazione che ho è che quando pubblico qualcosa di più ragionato, interessi poco ai miei cosiddetti amici.
Beppe Grillo e il suo entourage questo meccanismo l'hanno capito bene, e infatti sono il movimento politico che raccoglie più adesioni sul web, soprattutto da quelli, come me, che passano più tempo davanti allo schermo. Non ho critiche da esprimere a riguardo. Mi dispiace solo il fatto che su Facebook non si riesca a costruire abbastanza, intossicandoci di immagini e parole. Siamo tutti capaci di firmare contro qualcosa, aderire a una protesta, oppure esibirsi nell'effimero, ma è più difficile produrre idee, senza essere disturbati da qualche rutto o schiamazzo virtuale.
Ma questo in fondo è lo specchio di una società e non dovrei lamentarmi. Anzi sono convinto che questo strumento si possa usare bene, per informarsi, connettersi, scambiare informazioni. Ormai è una protesi artificiale della nostra vita. Ma per favore non scambiate questo braccio di plastica per la vita vera, quella vissuta, fatta di gesti, sguardi timidi, calorosi abbracci o emozioni che gorgogliano nello stomaco. Facebook ci mostra sempre e solo la faccia, a volte le parti basse. Non per niente si chiama Face-book.
Quello che abbiamo dentro ha bisogno di altri canali. Provate Soulbook. PS Non vi lamentate se il link non funziona :-)
di Gabriele Bindi
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