Anche in presenza di un elettroencefalogramma piatto,
l'ippocampo, una struttura profonda del cervello, può avere un'attività
residua. La scoperta non mette a rischio la validità dei criteri con
cui è stabilita la morte cerebrale e può portare a nuove strategie
terapeutiche che agevolino la ripresa di quei pazienti che sono portati
in uno stato di coma artificiale per facilitare il recupero di danni al
cervello.
[Articolo di Le Scienze] La frase “ha un elettroencefalogramma piatto” è considerata sinonimo di assenza di attività cerebrale.
Ora però uno studio effettuato all’Università di Montreal e pubblicato su PLoS ONE ha dimostrato che questo non è sempre vero.
Florin Amzica e colleghi hanno scoperto che in caso di
elettroencefalogramma piatto è possibile che siano presenti segnali, che
i ricercatori hanno chiamato complessi ν (o complessi Nu), generati a livello della formazione ippocampale.
Amzica, che ha diretto lo studio, ha sottolineato che questa scoperta
non mette a rischio la validità degli attuali criteri per stabilire la
morte di una persona, basati appunto sull’elettroencefalogramma:
“Le persone che hanno deciso di ‘staccare la spina‘ a un
parente in stato di morte cerebrale non devono preoccuparsi o dubitare
del proprio medico. Gli attuali criteri per la diagnosi di morte
cerebrale sono estremamente rigorosi e prevedono nel caso di incidenti,
ictus e simili anche la prova di un danno cerebrale strutturale
irreversibile”.
L’interesse principale della scoperta, ha proseguito il ricercatore,
riguarda il suo potenziale terapeutico di neuroprotezione. Dopo un
trauma, alcuni pazienti sono in condizioni così gravi che sono portati
deliberatamente dai medici in uno stato di coma artificiale per
facilitare il recupero di eventuali danni cerebrali.
Lo studio ha preso il via dall’osservazione che in un paziente in
coma anossico profondo in cura con potenti farmaci antiepilettici
l’elettroencefalogramma registrava impulsi che i medici non riuscivano a
spiegare.
Per capire quale fosse l’origine di questi segnali i ricercatori
hanno provocato in alcune cavie di laboratorio uno stato di coma
profondo, ma reversibile, fino a quando non hanno ottenuto un
elettroencefalogramma piatto, che è associato con l’assenza di attività
della corteccia cerebrale, la parte del cervello che controlla tutte le
facoltà mentali superiori.
Allo stesso tempo, i ricercatori hanno monitorato sia la corteccia
sia le parti più profonde del cervello delle cavie grazie ad alcuni
elettrodi. In questo modo Amzica e colleghi hanno osservato un’attività
cerebrale sotto forma di oscillazioni generate nell’ippocampo, la parte
del cervello responsabile della memoria e dei processi di apprendimento.
In alcune situazioni, queste oscillazioni, mai rilevate prima,
potevano trasmettersi alla corteccia, producendo segnali uguali a quelli
osservati nel paziente in coma anossico.
I ricercatori hanno anche scoperto che “l’ippocampo può inviare
ordini al comandante in capo del cervello, la corteccia”, un dato di
estremo interesse che può portare a strategie terapeutiche di grande
beneficio per i pazienti.
“Sappiamo che un organo o un muscolo che rimane inattivo per lungo
tempo alla fine si atrofizza. E’ plausibile che lo stesso valga per un
cervello tenuto a lungo in uno stato corrispondente a un
elettroencefalogramma piatto. Un cervello inattivo che esce da un coma
prolungato può essere in condizioni peggiori di un cervello che, grazie
ai complessi ν ha avuto un minimo di attività.”
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