Il nostro vivere e il nostro sapere si basano per lo più su norme e
precetti silenziosamente accettati. Sostanzialmente, viviamo una vita
assimilando delle credenze che non sono scaturite da nessun nostro
pensiero, da nessuna nostra esperienza diretta, ma che ci vengono
ripetutamente imposte dalla società, dalla famiglia, dalla scuola, dal
contesto mediatico. Ci comportiamo similmente ad un animale domestico
che non si ribella al guinzaglio poiché è una pratica che sperimenta da
sempre e che pertanto considera naturale. Tutto avviene solo per cieca
fede, così accettiamo che qualcun’altro pensi per noi, che ci dia una
direzione e una certa impostazione e, in qualsiasi ambito, una
condizione diviene per noi effettiva proprio perché consensuale.
“Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità” (Joseph Goebbels)
Per effetto di questo pragmatismo intellettuale, persiste nel
pensiero occidentale un’ideologia che proverebbe la presenza dell’uomo a
prescindere da un Creatore, da un “sommo progettista”, che ha
organizzato tutta la vita nell’universo ma, analizzando la questione con
lucida attenzione, è possibile comprendere che, nonostante un simile
modello possa sembrare attendibile e per certi aspetti conveniente,
restano comunque degli interrogativi esistenziali che la sola scienza
non riesce ancora a soddisfare.
La teoria dell’evoluzione tanto caldeggiata dal pensiero contemporaneo,
è una teoria che miscela altre teorie e secondo cui saremmo stati
originati da un’incredibile esplosione di materia che avrebbe generato
le potenzialità creative che hanno dato vita a tutto ciò che conosciamo,
senza un disegno preordinato ma solo grazie a leggi fisiche e chimiche.
L’essere umano sarebbe quindi stato lentamente prodotto da un “brodo”
popolato da resistenti batteri che via via si sono specializzati per
esigenze individuali fino a creare tutte le specie esistenti.
NON DIMENTICHIAMO DIO
Benché sia ormai considerata blasfemia mettere in discussione tale
visione, ora, avendo milioni di anni di “storia evoluzionistica” a
disposizione, sarebbe bene che la scienza spiegasse per quale motivo
tutti i generi esistenti, malgrado siano stati interessati nel tempo da
svariate mutazioni, sono sempre restati all’interno della propria linea
filetica continuando a reiterare i comportamenti istintivi tipici di
quella razza. In sintesi, e questo è davvero riscontrabile da tutti, un
volatile è sempre stato un volatile e si è sempre comportato da volatile
e, allo stesso modo, un primate è sempre stato un primate e si comporta
ancora oggi da primate. Rammentiamo che adattamento ambientale non
significa evoluzione. Mutare la forma di un becco, di un polmone, di una
pinna, non fanno di un animale un’altro animale.
Se l’uomo si fosse realmente evoluto da una scimmia o da un koala,
anch’esso con cinque dita e DNA simile, come mai non disponiamo di
reperti che spiegano il famoso “anello mancante”? Come mai i primati
hanno sviluppato le attuali caratteristiche in svariati milioni di anni
mentre noi siamo divenuti in poco più di sessanta mila anni esseri
differentemente intelligenti, dotati di una coscienza qualitativamente
diversa? E’ davvero una natura imperfetta che ha dato casualmente luogo a
questo paradosso?
un raro esempio di primate evoluto
Dal punto di vista scientifico, con le scoperte della fisica
quantistica e della moderna biologia, ci stiamo avvicinando a un nuovo
modello di pensiero (si vedano ad esempio la Teoria M del fisico Edward Witten o quella della risonanza dei campi morfici del biologo Rupert Sheldrake)
ma, anche se queste dottrine forniscono importanti tasselli per
comporre una visione più completa, la soluzione al mistero della
“creazione” non è ancora così a portata di mano e sarebbe per certi
versi più plausibile accettare con umiltà l’idea di essere stati
concepiti intelligentemente e con uno scopo, come tutto il resto da cui
siamo apparentemente differenziati. Se non riusciamo a definire le
sembianze del Creatore o a spiegarne le finalità, ciò non ci autorizza a
respingerne l’esistenza o a ignorare l’ordine con cui regola le cose.
Antiche filosofie ci raccontano di una forza amorevole che tutto
sovrintende e alla quale è possibile sintonizzarsi, una forza che non ha
tempo e che opera da dentro la natura stessa, permeando e creando
universi, esseri e cose. Sono solo aneddoti fantasiosi che i popoli si
tramandano da millenni con l’unico scopo di intrattenere i posteri,
oppure facciamo realmente parte di un maestoso piano che non abbiamo
ancora interamente codificato? La trama inevitabilmente si infittisce.
Mistici e maestri spirituali di tutto il mondo ci hanno più volte
confermato che la “separazione” e il “controllo” sono un’illusione, che
tutto è Uno e nulla in realtà muore ma si trasforma attraverso cicli di
esperienza. Di conseguenza, l’intero universo tenderebbe all’equilibrio e
sarebbe coeso da una coscienza superiore che ne armonizza ogni singolo,
impercettibile moto. Un’interdipendenza totale dove qualsiasi cosa
esistente è importante e ha un significato, non solo logico o biologico.
Tutto ciò lascia intendere con un certo sollievo che il solo fatto di
esistere implica l’appartenenza ad un progetto che possiamo arrivare a
comprendere.
Qualcuno potrebbe dire che certe nostre tendenze comportamentali
derivano solo dal retaggio del nostro cervello o da informazioni
registrate e tramandate fisiologicamente dal DNA di una generazione a
quella successiva per questioni legate alla mera sopravvivenza della
specie. Ma siamo certi che sia tutto qui? L’unica cosa certa è che siamo
incredibilmente complessi e che, per quanto gli esperti si prodighino a
semplificare, descrivere, nomenclare, sezionare, tuttora permangono
molte lacune sulla nostra vera natura.
QUALE MENTE UTILIZZIAMO?
La necessità di fede nell’appartenenza a qualcosa di più grande e la
ricerca delle cause della nostra esistenza, che siano giustificate da
un’ideologia o dalla presenza di un Creatore, sono fattori innati che da
sempre ci inducono a cercare un senso più profondo nella nostra vita e a
cui istituzioni scientifiche e religiose hanno tentato di dare
un’interpretazione il più possibile credibile e digeribile.
Gli studi di MacLean sulla costituzione del cervello hanno recentemente determinato il concetto di “Cervello Trino”
o “tripartito”, una sorta di triade di cervelli che agirebbe in
sinergia determinando qualsiasi pensiero, emozione e aspirazione, nonché
la sede dell’individualità cosciente. In base a questi studi subiamo
gli impulsi di un sistema mentale eterogeneo che si è strutturato nel
tempo in rapporto ad esigenze specifiche. Ma questi sono solo aspetti
funzionali del nostro essere.
Ci siamo mai chiesti chi ascolta e controlla la voce della nostra
mente? Chi osserva i nostri sogni quando dormiamo? In quale processo
mentale realmente si identifica la nostra individualità quando siamo
coscienti?
LA STRUTTURA DEI TRE SE’
le interazioni dei tre Sé
Essere connessi ad un certo tipo di mente, come ad esempio quella subconscia o quella conscia, può essere utile per assicurarci la riproduzione, la sopravvivenza o la soluzione ad un problema pratico ma non può proteggerci dagli effetti determinati dalla qualità delle nostre azioni o dei nostri pensieri, né può condurci alla vera evoluzione che in breve consiste nel giungere ad una connessione stabile con una mente più saggia ed avanzata (mente superconscia) che potremmo intendere come l’ambasciatrice della nostra “parte divina”, quel frammento di coscienza universale che sceglie di fare esperienza di se stesso in questo mondo, che si auto contempla perfezionandosi, vita dopo vita.
Traduce, in buona sostanza, le istruzioni di quella che normalmente
chiamiamo “anima” e viene spesso definita “voce del cuore” o della
“coscienza” poiché incorpora e trasmette virtù come la compassione, la
pazienza, l’amore, il perdono. Ma quella di assegnargli un nome è più
una convenzione umana che una reale necessità. Tuttavia, il termine più
adeguato per definire una simile risorsa, in quanto evoca la sua
corretta collocazione rispetto all’insieme corpo-mente-anima, è Sé
Superiore. Questo Sé sa di noi ogni cosa, compreso il nostro futuro che,
variando continuamente in funzione delle nostre scelte e dell’intensità
dei nostri pensieri, rappresenta solo una potenzialità e non è mai
predeterminato.
Diventa un potente alleato quando ci poniamo in una modalità di
osservazione, quando percepiamo la vita nel momento presente scevri da
qualsiasi credenza indotta, ed è la sola “voce” a cui credere e che può
guidarci verso il progresso spirituale. Va distinto dal Sé Inferiore
(mente subconscia, gestita dall’emisfero destro) che raccoglie e invia
dati in modo irrazionale (come istinti, paure, pulsioni, capacità
artistiche, ricordi ancestrali, archetipi) e dal Sé Intermedio (mente
conscia, gestita dall’emisfero sinistro) che si limita a filtrare
razionalmente i flussi di informazioni che gli pervengono da ambo le
parti.
I POTERI DEL SE’ SUPERIORE
Dobbiamo pertanto riconoscere la presenza di una “mente illuminata”,
in apparenza disgiunta dal corpo fisico, che comunica con l’altra parte
del “velo” stabilendo i compiti e gli scopi più elevati dell’essere. Una
mente le cui manifestazioni non sono frutto di elaborazioni come negli
altri casi ma scaturiscono dall’accesso al sapere più raffinato, sapere
che non è determinato dall’ambiente fisico in cui vive il corpo ma dalla
comunicazione sottile con una dimensione le cui informazioni di grado
superiore sono immediatamente assimilabili e possono alterare e
incrementare la nostra percezione di realtà. Persino noti uomini di
scienza, per definizione in contrasto con la sfera metafisica, si sono
serviti di questo sapere per ricavarne veri e propri “lampi di genio”.
Nel momento in cui siamo allineati alla sua saggezza viviamo nel “qui
ed ora”, liberiamo noi stessi dalle interpretazioni delle altre menti,
manipolabili e conflittuali, e ci avviciniamo al nostro vero scopo, ma
quando ciò non accade, quando non siamo in pace con noi stessi, le
informazioni che ci invia vengono respinte o male interpretate e prima o
poi ci assale un senso di insoddisfazione e di latente disagio che
puntualmente tentiamo di soffocare con le false euforie di un ego
ipertrofico.
Questa particolare guida, che è molto simile ad un “custode
interiore”, comunica con noi attraverso intuizioni, visioni e
sensazioni e con esse ci spinge a immaginare e realizzare un determinato
percorso o un determinato accadimento. Tuttavia, se ritiene opportuno
“detergere” il nostro essere da inutili e persistenti sovrastrutture,
può anche indurci a consegnarci al dolore della solitudine, della
disperazione o della malattia facendo emergere i difetti e le debolezze
di cui vuole renderci coscienti. Ha un’unica richiesta, che le si dia
ascolto in modo sempre più stabile fino ad una connessione pressoché
permanente.
Qualcuno chiamerebbe il raggiungimento di un simile stato
“illuminazione” attribuendolo solitamente a pochi eletti ma in realtà
dovrebbe essere la vera e unica condizione in cui tutti dovrebbero
esistere. Ciò che ci preclude questa condizione sono quelle connessioni
ad altre parti di noi che allo stato attuale si sono sviluppate oltre il
dovuto e che una minoranza del genere umano sta pilotando per
asservirci, ostacolando la nostra libertà e il nostro potere.
E’ TEMPO DI CAMBIARE
Quanto appena detto ci fa capire che la realtà, come la definiamo,
dipende essenzialmente da come decidiamo di interagire con essa, in
altre parole, dalla modalità in cui ci poniamo mentre focalizziamo i
nostri intenti. Utilizzare lo “strumento” giusto è essenzialmente solo
questione di pratica e maturità. Dedicarsi alla riconquista del nostro
Sé autentico non ci distoglierebbe dalla vita sociale o familiare per
come la intendiamo, anzi, ci permetterebbe di vedere con più chiarezza
chi siamo e dove stiamo andando.
Sebbene in ogni epoca non siano mancate delle eccezioni, siamo sempre
stati connessi alla parte di noi più utile e funzionale al ciclo di cui
facciamo esperienza. Perciò, se agli albori della nostra storia,
similmente ad un’infanzia, ha predominato la nostra parte istintiva ed
emotiva e successivamente, in epoche più mature, quella razionale e
intellettuale, ora è il tempo di connettersi alla nostra “saggezza
interiore” per trasformare la nostra vita in qualcosa di più elevato.
Ricordiamoci chi siamo, della nostra natura divina. Non siamo automi
difettosi e nemmeno schiavi come qualcuno vorrebbe farci credere ma
esseri “spirituali” estremamente potenti. Quel Creatore, di cui spesso
abbiamo alterato gli insegnamenti, ci lasciò a suo tempo una parte di sé
ma anche la possibilità di scegliere, di usare il nostro libero
arbitrio, per ricordare la “strada di casa” e ricongiungerci
consapevolmente alla sorgente primaria che esso stesso rappresenta dopo
un congruo periodo di esperienza. Sta a noi far si che questa esperienza
sia la più edificante e piacevole possibile, sta a noi decidere che
modalità sperimentare. Dunque meditiamo su
ciò che siamo: esseri passivi, incapaci di guadagnarsi la libertà,
oppure esseri consapevoli che determinano il loro destino?
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