L’ecologia per come la intendiamo, pur con tutte le migliori
intenzioni, rimane una categoria concettuale di natura antropocentrica
che tende a separare anziché ad unire. Visioni autenticamente ecologiche
come quella dell’ecologia profonda percepiscono invece la Vita come una
e indivisibile, ed in quest’ottica l’uomo non gode di nessun
particolare privilegio sul pianeta. Per quanto a noi lontana è forse
questa l’unica strada efficace per cambiare davvero qualcosa nel nostro
rapporto con la Terra e con noi stessi.
Alla base dello schema di pensiero che appartiene al nostro bagaglio
culturale c’è una visione della vita a beneficio dell’uomo (visione
antropocentrica) e quella di un mondo “da migliorare”. Una visione
antropocentrica della Vita che considera tutto in funzione dell’essere
umano, tende naturalmente a identificarsi con un non meglio precisato
“progresso” e quindi con un altrettanto non meglio precisato
“miglioramento”. Questa visione, pur in innumerevoli varianti, è
generalmente orientata a un fine (il miglioramento appunto) e appartiene
alle tre grandi religioni monoteiste (ma non solo) e con ciò riguarda
una grossa fetta della popolazione mondiale. Date le premesse essa
mostra inevitabilmente uno spiccato sottofondo materialista e ancorché
in taluni casi si adoperi per salvare la “Natura”, poiché la considera
un qualcosa al servizio della nostra specie mantiene nei suoi confronti
un atteggiamento di sopraffazione.
I vari drammi che stiamo vivendo, di cui quello ambientale è solo il più evidente, sono dunque inevitabili con queste premesse culturali e soprattutto con il potere tecnico che queste premesse hanno portato.
La proiezione sul mondo di una mentalità autenticamente ecologica è completamente differente. Il mondo “è” già semplicemente perché esiste e con ciò assurdo pensare di migliorarlo; semmai bisogna lasciarlo come lo abbiamo trovato. In quest’ottica le società tradizionali tendono sempre al mantenimento di ciò che “è” e non al suo “miglioramento”. Ciò è reso possibile da uno schema di pensiero che possiamo definire ecocentrico o anche cosmocentrico. Secondo questa mentalità pensare che l’essere umano, che non è che uno degli infiniti fili della tela della Vita, possa incidere su di questa, è inconcepibile.
Questa visione naturocentrica/cosmocentrica garantisce una omeostasi, cioè una stabilità ed un equilibrio dell’ecosistema. Proprio grazie ad essa le comunità di cacciatori-raccoglitori si identificano totalmente con l’ambiente circostante (si considerano essi stessi ambiente) e riescono quindi meglio di qualunque altra società a mantenere un ecosistema sano.
Alla base dei costumi, comportamenti e abitudini dei popoli nativi risiede dunque in genere l’importanza assoluta di garantire il più possibile l’ordine naturale; essi percepiscono intimamente che qualunque alterazione del mondo è in realtà un’alterazione di sé stessi.
In ere più moderne il “Tao” cinese esprime concetti molto simili. Il Tao mostra la “Via” indicando ciò che è giusto nell’universo, ivi inclusi i rapporti tra uomini, tra uomini e animali, tra uomini e spiriti, ecc. (mentre tutti gli altri rapporti sono “scorretti, anormali, innaturali”). Simili visioni filosofiche appartengono anche al concetto buddhista del “Dharma” nonché a quello vedico della “Rita”. Anche qui, viene indicata la retta “Via” per il mantenimento dell’ordine cosmico. Ma queste concettualizzazioni, per quanto valide, sono già un prodotto della civiltà e con ciò rimangono, almeno in parte, concettualizzazioni.
La mercificazione dell’esistente e lo sviluppo economico, che sono il tratto distintivo delle società moderne, si situano com’è facile intuire in una posizione diametralmente opposta a quella delle società tradizionali e native. Questa mercificazione si esplicita in maniera fattiva nella sostituzione del vivente con l’artificiale (cioè il non-vivente), nella sostituzione della biosfera con la tecnosfera. La distruzione è insita nel programma del moderno sistema produttivista.
La sola strada percorribile se vogliamo salvare la Terra e con ciò anche noi stessi, va dunque inevitabilmente nella direzione di un cambiamento di paradigma del nostro pensiero, cambiamento che viene ben riassunto nei cardini portanti del movimento dell’ecologia profonda, il primo dei quali è considerare come degna di valore la vita di tutti gli esseri senzienti. In quest’ottica l’azione forse più efficace che possiamo compiere è diffondere informazioni e mettere in dubbio idee preconcette che vengono comunemente accettate in modo acritico solo perché respirate fin dalla nascita; queste idee sono considerate ovvie, ma sono semplicemente imposte dalla cultura dominante. I cambiamenti portati da un cambio “filosofico” sono meno appariscenti ma molto più efficaci.
Da questa diversa visione della vita potranno poi seguire azioni che tenderanno a “ricostruire” l’ambiente naturale piuttosto che a distruggerlo. O, per essere più precisi, a lasciare che l’ambiente naturale semplicemente “sia” affinché possa “ricostruirsi” da sé. Perché l’altra grande malattia dell’Occidente, quella del “fare” (anche quando è a fin di bene e con le migliori intenzioni), è un credo duro a morire. Per la cultura occidentale pare quasi che se l’uomo non “fa”, la Vita non va avanti. Ma è l’esatto opposto. Come diceva infatti Lao-Tze, “senza fare nulla, non c’è nulla che non venga fatto”. Basterebbe capirlo.
I vari drammi che stiamo vivendo, di cui quello ambientale è solo il più evidente, sono dunque inevitabili con queste premesse culturali e soprattutto con il potere tecnico che queste premesse hanno portato.
La proiezione sul mondo di una mentalità autenticamente ecologica è completamente differente. Il mondo “è” già semplicemente perché esiste e con ciò assurdo pensare di migliorarlo; semmai bisogna lasciarlo come lo abbiamo trovato. In quest’ottica le società tradizionali tendono sempre al mantenimento di ciò che “è” e non al suo “miglioramento”. Ciò è reso possibile da uno schema di pensiero che possiamo definire ecocentrico o anche cosmocentrico. Secondo questa mentalità pensare che l’essere umano, che non è che uno degli infiniti fili della tela della Vita, possa incidere su di questa, è inconcepibile.
Questa visione naturocentrica/cosmocentrica garantisce una omeostasi, cioè una stabilità ed un equilibrio dell’ecosistema. Proprio grazie ad essa le comunità di cacciatori-raccoglitori si identificano totalmente con l’ambiente circostante (si considerano essi stessi ambiente) e riescono quindi meglio di qualunque altra società a mantenere un ecosistema sano.
Alla base dei costumi, comportamenti e abitudini dei popoli nativi risiede dunque in genere l’importanza assoluta di garantire il più possibile l’ordine naturale; essi percepiscono intimamente che qualunque alterazione del mondo è in realtà un’alterazione di sé stessi.
In ere più moderne il “Tao” cinese esprime concetti molto simili. Il Tao mostra la “Via” indicando ciò che è giusto nell’universo, ivi inclusi i rapporti tra uomini, tra uomini e animali, tra uomini e spiriti, ecc. (mentre tutti gli altri rapporti sono “scorretti, anormali, innaturali”). Simili visioni filosofiche appartengono anche al concetto buddhista del “Dharma” nonché a quello vedico della “Rita”. Anche qui, viene indicata la retta “Via” per il mantenimento dell’ordine cosmico. Ma queste concettualizzazioni, per quanto valide, sono già un prodotto della civiltà e con ciò rimangono, almeno in parte, concettualizzazioni.
La mercificazione dell’esistente e lo sviluppo economico, che sono il tratto distintivo delle società moderne, si situano com’è facile intuire in una posizione diametralmente opposta a quella delle società tradizionali e native. Questa mercificazione si esplicita in maniera fattiva nella sostituzione del vivente con l’artificiale (cioè il non-vivente), nella sostituzione della biosfera con la tecnosfera. La distruzione è insita nel programma del moderno sistema produttivista.
La sola strada percorribile se vogliamo salvare la Terra e con ciò anche noi stessi, va dunque inevitabilmente nella direzione di un cambiamento di paradigma del nostro pensiero, cambiamento che viene ben riassunto nei cardini portanti del movimento dell’ecologia profonda, il primo dei quali è considerare come degna di valore la vita di tutti gli esseri senzienti. In quest’ottica l’azione forse più efficace che possiamo compiere è diffondere informazioni e mettere in dubbio idee preconcette che vengono comunemente accettate in modo acritico solo perché respirate fin dalla nascita; queste idee sono considerate ovvie, ma sono semplicemente imposte dalla cultura dominante. I cambiamenti portati da un cambio “filosofico” sono meno appariscenti ma molto più efficaci.
Da questa diversa visione della vita potranno poi seguire azioni che tenderanno a “ricostruire” l’ambiente naturale piuttosto che a distruggerlo. O, per essere più precisi, a lasciare che l’ambiente naturale semplicemente “sia” affinché possa “ricostruirsi” da sé. Perché l’altra grande malattia dell’Occidente, quella del “fare” (anche quando è a fin di bene e con le migliori intenzioni), è un credo duro a morire. Per la cultura occidentale pare quasi che se l’uomo non “fa”, la Vita non va avanti. Ma è l’esatto opposto. Come diceva infatti Lao-Tze, “senza fare nulla, non c’è nulla che non venga fatto”. Basterebbe capirlo.
di Andrea Bizzocchi
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