Stampa libera? E chi se la ricorda? Nell’era del post-berlusconismo, ossia nell’era del renzismo, la faccia giovane di Berlusconi, la stampa continua peggio che mai il suo percorso di appiattimento sulle posizioni di governo. Il soccorso mediatico a chi vince è sempre più forte e vergognoso. Ora poi che viviamo tempi di governi non scelti dai cittadini e che rappresentano gli schieramenti che in campagna elettorale erano avversari, giornali e televisioni non possono più permettersi il lusso (sempre che l’abbiano mai fatto) di criticare chi governa.
È tutto molto soft, molto patinato, niente inchieste e molta cronaca nera, per tenere la popolazione sotto un costante bisogno di protezione e una paura di fondo.
Certe notizie faticano a conquistare le prime pagine dei giornali o i titoli di testa dei TG. Sono impopolari per i governi che sostengono. È di ieri la notizia che il governo si appresterebbe (anche questo ci prova) a mettere mano sulle indennità dei disabili. Bell’esempio di giustizia sociale.
Non si sente molto parlare di recupero dell’evasione, sebbene ci sarebbe molto da dire, soprattutto sul fatto che circa il 90% dell’evasione accertata e reale non viene recuperata.
Un bel premio a chi ha evaso le tasse e i tributi, un premio che si chiede di far pagare alle fasce più deboli della società. Lo sa Renzi o il suo entourage, che cosa significa essere disabili?
Come cambia la vita di una famiglia che deve accudire un disabile, sia esso fisico o psichico? Io credo proprio di no. Questa distanza siderale dalla realtà, cosa di cui il neo non eletto Presidente del Consiglio parla, ma che non credo che conosca, sebbene reduce dall’esperienza di sindaco, è l’imprinting che hanno ricevuto tutti i nuovi politici, siano essi anagraficamente giovani o meno giovani, siano essi un Letta o un Monti o chiunque altro abbia calcato le scene da 20 anni a questa parte.
Essere disabili significa capire quanto sia importante l’aiuto reciproco in una società, quanto incida sulla personalità il rendersi conto di dover dipendere da qualcun altro per svolgere i compiti più semplici, e quanto anche possa arricchire l’anima l’apprezzare le cose semplici della vita e il poterle condividere con chi ci è a fianco. Camminare, vedere, sentire, parlare, riuscire a mangiare e lavarsi senza aiuto, sono cose naturali e semplici, ma non sono cose scontate. Le si apprezza quando non le abbiamo più. Fare queste cose semplici ha un prezzo che i più non si possono permettere e che il Governo pare abbia intenzione di non voler sostenere. È come se durante un naufragio, anziché far scendere dalla nave prima donne, vecchi e bambini, le scialuppe se le accaparrassero i marinai più nerboruti. L’Italia affonda e continuerebbe a pagare il prezzo più alto la parte più debole della popolazione.
Non è vendendo 100 auto blu o la portaerei Garibaldi, che si da un segno di giustizia sociale.
È riequilibrando gli scompensi, aiutando chi è debole e perseguendo chi non pagando le tasse impedisce allo Stato di eliminare le barriere che impediscono ai deboli di sentirsi parte di questa società, così come scritto nella Costituzione.
Se sono sacrifici, che lo siano prima di tutto per chi non ne ha mai fatti, politici ed evasori, caste di privilegiati e di intoccabili. L’Italia ha bisogno di questi segnali e non di slide e spot pubblicitari.
È tutto molto soft, molto patinato, niente inchieste e molta cronaca nera, per tenere la popolazione sotto un costante bisogno di protezione e una paura di fondo.
Certe notizie faticano a conquistare le prime pagine dei giornali o i titoli di testa dei TG. Sono impopolari per i governi che sostengono. È di ieri la notizia che il governo si appresterebbe (anche questo ci prova) a mettere mano sulle indennità dei disabili. Bell’esempio di giustizia sociale.
Non si sente molto parlare di recupero dell’evasione, sebbene ci sarebbe molto da dire, soprattutto sul fatto che circa il 90% dell’evasione accertata e reale non viene recuperata.
Un bel premio a chi ha evaso le tasse e i tributi, un premio che si chiede di far pagare alle fasce più deboli della società. Lo sa Renzi o il suo entourage, che cosa significa essere disabili?
Come cambia la vita di una famiglia che deve accudire un disabile, sia esso fisico o psichico? Io credo proprio di no. Questa distanza siderale dalla realtà, cosa di cui il neo non eletto Presidente del Consiglio parla, ma che non credo che conosca, sebbene reduce dall’esperienza di sindaco, è l’imprinting che hanno ricevuto tutti i nuovi politici, siano essi anagraficamente giovani o meno giovani, siano essi un Letta o un Monti o chiunque altro abbia calcato le scene da 20 anni a questa parte.
Essere disabili significa capire quanto sia importante l’aiuto reciproco in una società, quanto incida sulla personalità il rendersi conto di dover dipendere da qualcun altro per svolgere i compiti più semplici, e quanto anche possa arricchire l’anima l’apprezzare le cose semplici della vita e il poterle condividere con chi ci è a fianco. Camminare, vedere, sentire, parlare, riuscire a mangiare e lavarsi senza aiuto, sono cose naturali e semplici, ma non sono cose scontate. Le si apprezza quando non le abbiamo più. Fare queste cose semplici ha un prezzo che i più non si possono permettere e che il Governo pare abbia intenzione di non voler sostenere. È come se durante un naufragio, anziché far scendere dalla nave prima donne, vecchi e bambini, le scialuppe se le accaparrassero i marinai più nerboruti. L’Italia affonda e continuerebbe a pagare il prezzo più alto la parte più debole della popolazione.
Non è vendendo 100 auto blu o la portaerei Garibaldi, che si da un segno di giustizia sociale.
È riequilibrando gli scompensi, aiutando chi è debole e perseguendo chi non pagando le tasse impedisce allo Stato di eliminare le barriere che impediscono ai deboli di sentirsi parte di questa società, così come scritto nella Costituzione.
Se sono sacrifici, che lo siano prima di tutto per chi non ne ha mai fatti, politici ed evasori, caste di privilegiati e di intoccabili. L’Italia ha bisogno di questi segnali e non di slide e spot pubblicitari.
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