I “Vaccini” “contro” il Coronavirus: un salto nel buio?
Davide Suraci
Messi alle strette dalla pandemia da Coronavirus, i laboratori di ricerca in tutto il mondo stanno adottando almeno tre tipi di biotecnologie per “realizzare” un “vaccino” in grado di prevenire il diffondersi di questo virus.
Messi alle strette dalla pandemia da Coronavirus, i laboratori di ricerca in tutto il mondo stanno adottando almeno tre tipi di biotecnologie per “realizzare” un “vaccino” in grado di prevenire il diffondersi di questo virus.
1) Vaccini a virus interi vivi, attenuati o uccisi
Le
tecnologie finora adottate per produrre i vaccini devono affrontare un problema
quantomai attuale e non ancora risolto: il cosìddetto “immunopotenziamento”, ossia l'eccessiva risposta immunitaria indotta, conseguente alla
somministrazione del vaccino. In sostanza, si tratta di una
risposta immunitaria spropositata indotta dai vaccini stessi che, in caso di
infezione, anziché prevenire la patologia, la acutizzano distruggendo i tessuti
del soggetto vaccinato. È già successo anni fa con i primissimi tentativi di
elaborare dei vaccini contro la
SARS e non è certo che questo problema non si ripresenti
nello sviluppo di eventuali vaccini «contro»
il Coronavirus. La prima «strada» che i ricercatori hanno tentato di percorrere è
stata quella dei vaccini a virus interi vivi attenuati oppure disattivati. I
primi, pur essendo immunogenici, tendono però a indurre immunopotenziamento. Il rischio è che qualche decisore
politico-lobbistico li immetta nell'uso clinico senza prima aver fatto degli
accuratissimi studi di sicurezza, efficacia ed efficienza.
2) Vaccini a sub-unità
2) In epoca più recente, l'attenzione dei
ricercatori si è spostata sui vaccini costituiti da sub-unità (piccole
parti del virus), vale a dire dalla proteina-spike
(glicoproteina S). È la
glicoproteina S (con cui il virus si lega
al recettore cellulare epiteliale polmonare), quella che determina la specificità del virus per gli epiteli
dell'apparato respiratorio. Queste sub-unità, legandosi agli
epiteli polmonari, dovrebbero
indurre la produzione di anticorpi. Anche in questo caso, la proteina-spike induce l'indesiderato
effetto dell'immunopotenziamento. Tentativi
di ridurre le dimensioni della proteina-spike per ridimensionare gli effetti
dell'immunopotenziamento, sono in corso tutt'ora.
[Centers
for Disease Control and Prevention (CDC)] — Morfologia ultrastrutturale del
SARS-CoV-2. Glicoproteine S (in colore magenta) . Credit: https://phil.cdc.gov/Details.aspx?pid=23312]
3) Vaccini a DNA e vaccini a RNA
Negli
ultimi anni abbiamo parlato discretamente di vaccini a DNA e vaccini a RNA, evidenziando il fatto
che, trattandosi di vaccini recanti
frazioni di DNA/RNA che vengono incorporati nel genoma delle cellule
immunitarie dell'ospite,
il soggetto viene
trasformato in un organismo OGM (Organismo Geneticamente Modificato).
In altri termini, non viene stimolata la risposta immunitaria del soggetto da proteggere iniettandogli semplicemente degli antigeni (più o meno adiuvati con alluminio od altri adiuvanti) oppure delle proteine spike, ma si modificano le cellule immunitarie del soggetto preposte alla risposta immunitaria specifica inducendole a produrre direttamente delle proteine virali specifiche (antigeni) verso un determinato patogeno.
Nei vaccini a DNA la sintesi
dell'antigene la fanno le cellule umane…
|
Il punto
di partenza per la realizzazione di vaccini di questo tipo è la proteina spike
del virus della SARS dalla quale i ricercatori stanno tentando di estrarre la
frazione più piccola e in grado di fornire una maggiore immunogenicità
legandosi al recettore delle cellule epiteliali umane e inducendole a produrre
anticorpi.
A detta degli esperti, questa soluzione dovrebbe sollecitare un buon grado di protezione, tuttavia ci chiediamo quale tipo di immunità potrebbe fornire un vaccino di questo tipo contro un virus che muta in continuazione (circa ogni 15 giorni).
Sottolineando il fatto che la famiglia dei Coronavirus tende a
diventare sempre più eterogenea per effetto del suo elevato grado di mutazione,
ci chiediamo:
quanti tipi di vaccini sarà necessario produrre, prevedibilmente, per far fronte ogni volta a a questo oppure a quell'altro ceppo?E poi, stante ancora l'elevato tasso di variabilità del virus, come fare a prevedere ogni volta la combinazione ottimale di ceppi da inserire nelle diverse versioni stagionali dei vaccini?Considerato che sarà sicuramente necessario procedere a dei richiami annuali a causa dell'elevato tasso di variabilità del virus, è lecito chiedersi quale tipo di problemi potrebbero derivare dal transfer aggiuntivo, annuale, di nuove codifiche (una sorta di aggiornamento del software genetico dell'ospite) della proteina spike all'interno del genoma delle cellule immunitarie dell'ospite?
Davide
Suraci
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