sabato 11 aprile 2020

I “Vaccini” “contro” il Coronavirus: un salto nel buio?

I “Vaccini” “contro” il Coronavirus: un salto nel buio?

Davide Suraci 
Messi alle strette dalla pandemia da Coronavirus, i laboratori di ricerca in tutto il mondo stanno adottando almeno tre tipi di biotecnologie per “realizzare” un “vaccino” in grado di prevenire il diffondersi di questo virus.

1) Vaccini a virus interi vivi, attenuati o uccisi

Le tecnologie finora adottate per produrre i vaccini devono affrontare un problema quantomai attuale e non ancora risolto: il cosìddetto immunopotenziamento”, ossia l'eccessiva risposta immunitaria indotta, conseguente alla somministrazione del vaccino. In sostanza, si tratta di una risposta immunitaria spropositata indotta dai vaccini stessi che, in caso di infezione, anziché prevenire la patologia, la acutizzano distruggendo i tessuti del soggetto vaccinato. È già successo anni fa con i primissimi tentativi di elaborare dei vaccini contro la SARS e non è certo che questo problema non si ripresenti nello sviluppo di eventuali vaccini «contro» il Coronavirus. La prima «strada» che i ricercatori hanno tentato di percorrere è stata quella dei vaccini a virus interi vivi attenuati oppure disattivati. I primi, pur essendo immunogenici, tendono però a indurre immunopotenziamento. Il rischio è che qualche decisore politico-lobbistico li immetta nell'uso clinico senza prima aver fatto degli accuratissimi studi di sicurezza, efficacia ed efficienza.

2) Vaccini a sub-unità

2) In epoca più recente, l'attenzione dei ricercatori si è spostata sui vaccini costituiti da sub-unità (piccole parti del virus), vale a dire dalla proteina-spike (glicoproteina S). È la glicoproteina S (con cui il virus si lega al recettore cellulare epiteliale polmonare), quella che determina la specificità del virus per gli epiteli dell'apparato respiratorio. Queste sub-unità, legandosi agli epiteli polmonari, dovrebbero indurre la produzione di anticorpi. Anche in questo caso, la proteina-spike induce l'indesiderato effetto dell'immunopotenziamento. Tentativi di ridurre le dimensioni della proteina-spike per ridimensionare gli effetti dell'immunopotenziamento, sono in corso tutt'ora.
[Centers for Disease Control and Prevention (CDC)] — Morfologia ultrastrutturale del SARS-CoV-2. Glicoproteine S (in colore magenta) . Credit: https://phil.cdc.gov/Details.aspx?pid=23312]

3) Vaccini a DNA e vaccini a RNA

Negli ultimi anni abbiamo parlato discretamente di vaccini a DNA e vaccini a RNA, evidenziando il fatto che, trattandosi di vaccini recanti frazioni di DNA/RNA che vengono incorporati nel genoma delle cellule immunitarie dell'ospite, il soggetto viene trasformato in un organismo OGM (Organismo Geneticamente Modificato).
In altri termini, non viene stimolata la risposta immunitaria del soggetto da proteggere iniettandogli semplicemente degli antigeni (più o meno adiuvati con alluminio od altri adiuvanti) oppure delle proteine spike, ma si modificano le cellule immunitarie del soggetto preposte alla risposta immunitaria specifica inducendole a produrre direttamente delle proteine virali specifiche (antigeni) verso un determinato patogeno.

Nei vaccini a DNA la sintesi dell'antigene la fanno le cellule umane…
Il punto di partenza per la realizzazione di vaccini di questo tipo è la proteina spike del virus della SARS dalla quale i ricercatori stanno tentando di estrarre la frazione più piccola e in grado di fornire una maggiore immunogenicità legandosi al recettore delle cellule epiteliali umane e inducendole a produrre anticorpi.
A detta degli esperti, questa soluzione dovrebbe sollecitare un buon grado di protezione, tuttavia ci chiediamo quale tipo di immunità potrebbe fornire un vaccino di questo tipo contro un virus che muta in continuazione (circa ogni 15 giorni).
Sottolineando il fatto che la famiglia dei Coronavirus tende a diventare sempre più eterogenea per effetto del suo elevato grado di mutazione, ci chiediamo:
quanti tipi di vaccini sarà necessario produrre, prevedibilmente, per far fronte ogni volta a a questo oppure a quell'altro ceppo?
E poi, stante ancora l'elevato tasso di variabilità del virus, come fare a prevedere ogni volta la combinazione ottimale di ceppi da inserire nelle diverse versioni stagionali dei vaccini?

Considerato che sarà sicuramente necessario procedere a dei richiami annuali a causa dell'elevato tasso di variabilità del virus, è lecito chiedersi quale tipo di problemi potrebbero derivare dal transfer aggiuntivo, annuale, di nuove codifiche (una sorta di aggiornamento del software genetico dell'ospite) della proteina spike all'interno del genoma delle cellule immunitarie dell'ospite?
Davide Suraci

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