mercoledì 16 settembre 2015

I media vendono morte in diretta!

Non devi sapere che i media vendono morte in diretta. Tutelati dal loro pericoloso neuromarketing!

La violenza è pubblicizzata sulle pagine dei giornali, esposta nei telegiornali televisivi, nei film, nei media elettronici. E’ il prodotto di consumo più venduto al mercato dell’orrido.

Sono più importanti i “like” sui social media, i click di un video efferato che qualsiasi altro contenuto culturale.

L’omicidio, l’esecuzione in diretta sono il macabro pasto di chi si nutre della morte degli altri.

Ma cosa stiamo imparando? Cosa ti stanno inculcando i media? La violenza è divenuta il pane quotidiano elargito alla mensa dei network.

Che sarebbe una prima pagina senza tragedie, omicidi, stupri, stragi, senza "le immagini che seguono potrebbero urtare la vostra sensibilità". Ok e se allora possono urtare perchè le inserite? Forse perchè la violenza è virale specie per i giovanissimi? E questa sarebbe educazione sociale?

Questo mercato di morte sta facendoci accettare la violenza come un ingrediente normale della nostra vita. Metto in discussione questa terribile consuetudine!

I media ci stanno obbligando alla normalizzazione del sadismo, alla assuefazione dall’omicidio, alla dipendenza dalla morte in diretta.

Quante  volte ti sei chiesto: ”questo filmato non mi fa bene, non lo clicco”, e poi ci sei cascato compulsivamente e lo hai guardato fino all’ultimo.

La vittima viene annientata, la polizia uccide stranamente sempre uomini di colore, la violenza sulle donne è uno scoop che fa vendere meglio. Certo se si unisce la violenza al sesso il prodotto è ancora più virale.

Ricordo la scena iniziale di Basic Istinct, dove Sharon Stone pugnala la vittima realizzando la pietra filosofale dell’erotismo: il sesso unito alla morte.

Che dire delle mattanze siriane in diretta? Quanti hanno cliccato l’esecuzione della povera giornalista Alison Parker e del suo cameramen Adam Ward?

La violenza televisiva colpisce i giovani di tutte le età, di entrambi i sessi, di tutti i livelli socio-economici. Coinvolge tutti i livelli di intelligenza realizzando un potentissimo neuromarketing. Il 45% dei ragazzi è a favore della violenza-social, la apprezza, così ha risposto un campione di 1000 intervistati su skuola.net. Dicono che l'informazione è libera e non può essere censurata.  


Nessuno pensa che la violenza-prodotto di consumo crea dei danni permanenti nella profondità della nostra biologia e del nostro spirito. Tutto è lecito finchè non nuoce alla collettività. Ma questo sfugge ai ragazzini che sempre più mancano di empatia e sono indifferenti ed anzi compiaciuti dalle sofferenze degli altri. Il fine è un rito collettivo di condivisione mediatica dell'orrore, uno spamming ai propri contatti, una enorme sadica play-station sociale.

La violenza diviene un virale prodotto di consumo e di istigazione con un prezzo e uno share.
 
Lo psicopatico emula i suoi predecessori. Le armi le trova facilmente. Ora occorre rendere  più scenografico e creativo il suo crimine. Pensa ai copione, ai dettagli, alla sceneggiatura, al suo account, alla social-pubblicizzazione.


L'io del killer si dilata e diviene grandioso nella paranoia di morire facendosi esplodere con una cintura di tritolo o meglio nel suicidio-strage colossal del disastro della Germanwings.

Una immagine, una sequenza viene immagazzinata negli archivi del nostro cervello e può attivare una suggestione post-ipnotica che incita a replicare la violenza e l'autoviolenza.

Le immagini, i video violenti e che espongono la morte invadono il nostro sistema nervoso centrale. Si attivano le amigdale centraline della rabbia e dell’odio (Blair 2006), (White SF 2014).

Innestati su disturbi antisociali di personalità (APD) questi macabri nutrienti visivi istigano potenziali killer psicopatici.

Strano che la mia voce nel deserto si erga solitaria, mentre nessun media si sognerebbe mai di porsi una autocritica che distruggerebbe un mercato economico fertile: quello della esposizione della morte.
Buona Vita Angelo Bona

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