Riflessioni scritte in fretta, tra un telefonino, internet, e la sensazione che per la fretta, rischiamo di perderci la vita.
Il termine fretta, deriva dal latino frictare; è la necessità o il
desiderio di fare presto, che si traduce nella rapidità nei movimenti e
negli atti, nella nostra vita quotidiana.
Quanto bisogno abbiamo di avere fretta? O meglio, quanto siamo condizionati dalla velocità imposta nella nostra quotidianità?
Quanto bisogno abbiamo di avere fretta? O meglio, quanto siamo condizionati dalla velocità imposta nella nostra quotidianità?
Di certo la contemporaneità non è nel momento presente, ma in un
ritmo in cui il qui e ora cede il passo ad un futuro fatto di nuove app,
di sempre nuovi cambiamenti sociali e culturali che si consumano nel
giro di pochi mesi, giorni, ore, di trastulli tecnologici all’ultima
moda che non possiamo non avere, ma che stringi stringi sono
assolutamente ininfluenti sul nostro benessere.
Il più è avere il tempo di accorgersene, non è facile mettere ordine
in una corrente sempre più incalzante, dove ogni istante sembra essere
già un passo indietro rispetto alla presunta necessità di essere
connessi, di sapere cose e di rimanere in un flusso che ci esilia dalla
concreta realtà, limitando sempre di più la socialità fisica, vera,
reale.
In questo calderone è abbastanza normale sopravvivere
addormentandosi, o lobotomizzandosi con quelle armi di menomazione di
massa chiamate social network, cimici che ci auto somministriamo
costantemente, immense banche dati in cui si consumano sperimentazioni
sugli utenti e dove tanto per divertirci, immettiamo di buon grado
informazioni personali facendo test o cercando di essere celebrati
pubblicamente.
La folle presunzione che si possa costantemente sfruttare in modo
irrispettoso l’ambiente, la logica di consumo simile a quella che
potrebbe avere un branco di cavallette e lo stile di vita che ci è stato
imposto dopo anni e anni di manipolazioni mediatiche è simile ad una
svilente catena di montaggio che ci risucchia come fossimo dei tubetti
di dentifricio.
Il disagio indotto dalla celerità imposta alla nostra società è
evidente, basta fermarsi pochi istanti ed osservare ciò che ci circonda,
sembra semplice vero? Purtroppo non lo è, per farlo veramente dobbiamo
essere qui e ora con tutto noi stessi e non giudicare quello che
vediamo, ma semplicemente osservare quanto siamo assorbiti dai telefoni,
dal traffico, da internet, dalla necessità di dover correre in auto, e
dall’esigenza di fare tante, troppe cose.
Potremmo anche accorgerci di quanto facciamo fatica, dalla fretta, ad
ascoltare chi abbiamo davanti, e stupirci con gioia che di pagare un
prezzo per “fare carriera”, per essere qualcuno in una stupida scala
sociale simile ad una serie tv made in USA non ci importa nulla, e
questo da sempre. Oppure, che se abbiamo l’aspirazione di diventare un
leader, è perché vogliamo fare qualcosa per gli altri, non per
calpestare con veloce efficienza chiunque troviamo sulla nostra strada.
Sarebbe quasi divertente poi, con un foglio e una matita, scrivere le
nostre attività giornaliere per capire quanto riusciamo a prenderci
cura di noi stessi e dei nostri cari. Partendo dalle cose semplici,
potremmo fare un bilancio sul nostro stato di salute fisica e mentale
valutando come stiamo in questo momento, qui e ora. Inoltre, trovandone
il tempo, potremmo osservare se ci alimentiamo in modo corretto, se
dormiamo bene, oppure se il nostro orologio biologico è in punto, se
siamo stanchi, disorientati e quanto tempo effettivamente abbiamo da
dedicare ai nostri interessi.
Progresso non sempre è sinonimo di evoluzione, in questo caso, lo è
forse di involuzione, quindi di una linea che non ha niente a che fare
con noi esseri umani. Il sistema in cui viviamo addormentati, in cui
crediamo di poter raggiungere la felicità attraverso oggetti e
situazioni illusorie, oltre a renderci schiavi ci chiede ad ogni istante
un prezzo da pagare per essere dalla parte della società giusta, quella
che in questa condizionante impermanenza potremmo definire come
“vincente”.
Tutto questo a discapito nostro, e il risultato non è l’evoluzione
poiché si evolve vivendo, ma l’alienazione, lo svilimento e la
disumanizzazione. Quindi facciamolo questo piccolo esercizio, fermiamoci
ad ascoltare, ad osservare, e facciamo un reale bilancio della nostra
condizione psico fisica, bastano 5 minuti del nostro tempo.
Attraverso la scelta consapevole possiamo evitare di essere
risucchiati dall’imperante disumanizzazione e rivendicare il diritto di
vivere la Vita semplicemente per quello che è, ma per farlo, dobbiamo in
primo in primo luogo assumerci la responsabilità di ogni nostri piccola
o grande azione in ogni istante della nostra vita.
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