LA TRISTE GUERRA TRA I SESSI
di Tiziano Terzani
"Una guerra a cui non ero abituato, essendo vissuto
per più di 25 anni in Asia, era la guerra dei sessi, combattuta in una
direzione soltanto: le donne contro gli uomini.
Seduto ai piedi di un grande albero a Central Park, le
stavo a guardare. Le donne: sane, dure, sicure di sé, robotiche. Prima
passavano sudate, a fare il loro jogging quotidiano in tenute attillatissime,
provocanti, con i capelli a coda di cavallo; piu tardi passavano vestite in
uniforme da ufficio - tailleur nero, scarpe nere, borsa nera con il computer -,
i capelli ancora umidi di doccia, sciolti. Belle e gelide, anche fisicamente arroganti
e sprezzanti.
Tutto quello che la mia generazione considerava
"femminile" è scomparso, volutamente cancellato da questa nuova,
perversa idea di eliminare tutte le differenze, di rendere tutti uguali e fare
delle donne delle brutte copie degli uomini.
Folco, mio figlio, anche lui cresciuto in Asia, mi aveva
raccontato che, pochi giorni dopo essere arrivato da studente alla New York
University Film School, aveva cercato di aprire la porta di un'aula per lasciar
passare una sua compagna e quella lo aveva freddato, dicendo: "Ehi, tu,
credi che io non sia capace di aprire questo cazzo di porta da sola?"
Avevo pensato che fosse un'eccezione. No. Era la regola. E più le donne svillupano muscoli e
arroganza, piu gli uomini si fanno impauriti e titubanti. Se sono necessari per
concepire un figlio, capita loro di essere convocati per la bisogna e rimandati
a casa dopo l'uso.
Il risultato? una
grande infelicità,
mi sembrava, specie se quello che mi capitava di osservare in silenzio, da
sotto l'albero o dalla mia finestra, era il secondo atto della stessa storia:
tante donne sole, sui quaranta, cinquant'anni , molte con la sigaretta in
bocca, a portare a spasso un cane che mi pareva avesse il nome di qualche loro
uomo che non c'era più. "Bill, vieni qui da me", "No, Bill, non
traversare la strada da solo", "Avanti, Bill, vieni, ora andiamo a
casa." Erano le stesse donne che anni prima correvano per costruirsi dei
bei corpi, ora comunque attempati; le stessa donne che avevano investito la
loro gioventù nel preteso sogno di una libertà guerriera, finita ora in
solitudine, piccoli tic, tante rughe e almeno per me che osservavo, in una pesante
malinconia.
Mi venivano spesso in mente le donne indiane, ancora oggi
così femminili, così diversamente sicure di sé, così più donne a 40, 50 anni
che a 20. Non atletiche, ma naturalmente belle. Davvero, l'altra faccia della
luna. E poi, le donne indiane, come le europee della generazione di mia
madre, mai sole; sempre parte di un contesto familiare, parte di un gruppo, mai
abbandonate a se stesse.
Dalla finestra assistevo spesso a un vero proprio
trasloco: una ragazza che, da una qualche parte d'America, arrivava a New York
con tutta la sua vita in una borsa. La immaginavo leggere gli annunci economici
di un giornale, trovarsi una camera d'affitto, una palestra in cui fare
aerobica e un impiego davanti allo schermo di un computer. La immaginavo, durante
la pausa pranzo, andare in una salad bar a mangiare, in piedi, con una
forchetta di plastica, verdure biologiche messe con delle pinze in una
vaschetta e pagate a peso.
E la sera? Un corso di Kundalini Yoga che promette di risvegliare tutte le energie sessuali per quell'atto un tempo potenzialmente divino e ora ridotto, nel migliore dei casi, a una prestazione sportiva... a punteggio: John batte Bob quattro a due.
E la sera? Un corso di Kundalini Yoga che promette di risvegliare tutte le energie sessuali per quell'atto un tempo potenzialmente divino e ora ridotto, nel migliore dei casi, a una prestazione sportiva... a punteggio: John batte Bob quattro a due.
Alla fine anche quella ragazza, attratta come una falena
dalle luci di N. York sarebbe finita nel grande falò di umanità che ricarica in
continuazione questa particolarissima città.
Fra dieci, vent'anni potrà toccarle di essere una di quelle tristissime donne che osservavo, silenziose e impaurite, senza un amico o un familiare aspettare nelle poltroncine dell'MSKCC (ospedale oncologico famosissimo, n.d.r.) di essere operate o di avere il responso di un qualche preoccupante esame."
Fra dieci, vent'anni potrà toccarle di essere una di quelle tristissime donne che osservavo, silenziose e impaurite, senza un amico o un familiare aspettare nelle poltroncine dell'MSKCC (ospedale oncologico famosissimo, n.d.r.) di essere operate o di avere il responso di un qualche preoccupante esame."
Da: "UN ALTRO
GIRO DI GIOSTRA" (ed. Longanesi, Milano 2004) pagg. 56-57
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