Fukuoka: l'agricoltura del non fare
Il 16 agosto 2008 Masanobu Fukuoka dalla sua casa
nel sud del Giappone ha lasciato questo mondo, cosciente di quanto stava
avvenendo e in pace.
Forse nessuno come lui ha dato prova di come un'agricoltura contadina, senza macchine,
basandosi solo sulla natura, possa essere l'unica vera attività ecologista,
capace di risanare la terra. Col suo metodo, che ha chiamato agricoltura naturale o «del non fare»,
ha sfidato l'agricoltura industriale dimostrando che l'uomo con le sue sole mani, un falcetto e poco più, è in grado
di battere in produttività le macchine, i concimi chimici, i diserbanti, le
varietà scientifiche e tutte le multinazionali agroalimentari, con costi
quasi nulli e quindi praticando prezzi al pubblico più bassi dei supermercati e
producendo alimenti di una qualità
praticamente irraggiungibile da qualsiasi altro metodo.
Un'agricoltura rivoluzionaria
Coloro che ne hanno sentito parlare e hanno letto i suoi
libri hanno avuto la sensazione di trovarsi davanti alla proposta ecologica più rivoluzionaria. Fra loro moltissimi lo
hanno cercato, letto e ascoltato, alcuni hanno provato a mettere in pratica le
sue lezioni, pochi ci sono riusciti e sono diventati dei punti di riferimento
essenziali (il più importante è Panos Minikis in Grecia) ma diversi hanno
rimandato l'impegno a una futura propria conversione e a un più radicale
cambiamento di vita. La differenza fra quella di Fukuoka e gli altri tipi di
agricoltura biologica è che la sua capovolge
radicalmente i pilastri della modernità. Eppure a guardare bene si riduce a
poche cose: avvolgere i semi in palline di argilla, impiantare trifoglio nano
nei campi di grano, dopo la battitura del grano ributtare nel campo tutta la
paglia, mietere a mano e battere con una piccola macchina a pedale, disegnare
dei campi di mille metri quadrati, seminare ortaggi come piante selvatiche...
Queste semplici azioni, anche se capaci di grandi risultati, non bastano a
sfamare l'ansia che abbiamo di combattere quelli (multinazionali ecc.) che
stanno facendo più male alla natura.
Schiavi della tecnologia
Siamo cresciuti nella civiltà della tecnica, nella
prostituzione alla tecnica, che coincide con la mancanza di cultura diretta,
sostituita da manuali di funzionamento. Non abbiamo identità e siamo pronti a
buttar via l'ultima tecnica utilizzata non appena ce n'è un'altra che crediamo
(ma siamo creduloni abbagliati da perline) più efficiente e moderna. Come figli
del XX secolo siamo abituati a passare molto tempo assorbiti da macchine di
metallo e plastica che sono diventate il nostro ambiente, abbiamo difficoltà a
dare un'importanza esistenziale, alimentare alla natura, che riusciamo solo a
concepire come panorama, al massimo col vetro tirato giù. L'agricoltura naturale impone di uscire dalla dipendenza meccanica, di
trasformare i semplici atti di seminare, mietere manualmente (solo oche ore di
lavoro fisico in un anno), spargere la paglia, in modi d'essere, restando
fedeli alla loro semplicità. Verso il tramonto della sua vita, Fukuoka si è
dedicato con tutte le forze alla lotta contro la desertificazione avanzante.
Grazie al suo impegno milioni di palline di argilla sono state sparse, anche
con l'utilizzo di aerei, in zone semidesertificate della Grecia. Dopo gli
ultimi immensi incendi dei boschi, è apparso chiaro che questo modo di semina è
il più a buon mercato e insostituibile là dove si tratta di rinverdire grandi
estensioni di territorio.
La filosofia del non fare
Ma il messaggio più forte di Fukuoka è stato proprio
quello del non fare, di staccare dalla modernità e riscoprire la
mancanza di valore di questa corsa al progresso, di guardare alla natura come
opera di Dio, come forma della sua volontà e provvidenza. Il sorriso
rimasto sul suo volto dopo la morte non è solo pienezza ma anche
incoraggiamento per noi che restiamo.
Articolo tratto da Terra Nuova - Ottobre 2008
Articolo tratto da Terra Nuova - Ottobre 2008
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