Homeschooling: “Quattro figli e nessuno va a scuola”
In Italia le famiglie che fanno la “scuola fai da te” a
casa sono un migliaio. Ed è tutto legale
Erika Di Martino e la sua “classe” di homeschooling
Erika Di Martino è madre di
quattro bambini: uno di due anni, uno di sei, una di otto e uno di dieci. I
suoi figli non sono mai andati a scuola. O meglio, il più grande qualche giorno
tra i banchi di una scuola materna se l’è pure fatto. Ma poi i genitori hanno
optato per l’homeschooling, o
meglio per l’unschooling. In
entrambi i casi, i figli vengono educati a casa, senza zaini, maestre,
campanelle, grembiuli e compagni di classe.
La differenza è che nell’homeschooling si ricrea la scuola tra le mura di casa, seguendo dei programmi e dedicando un lasso di tempo specifico allo studio, mentre nell’unschooling i figli sono liberi di decidere come, dove, quando e soprattutto cosa imparare.
La differenza è che nell’homeschooling si ricrea la scuola tra le mura di casa, seguendo dei programmi e dedicando un lasso di tempo specifico allo studio, mentre nell’unschooling i figli sono liberi di decidere come, dove, quando e soprattutto cosa imparare.
I ragazzi educati a casa negli Stati Uniti sono circa 2 milioni, 70mila in Inghilterra, 60mila in Canada, 3mila in Francia e 2mila in Spagna. In Italia le famiglie che hanno scelto l’educazione parentale a casa per i propri figli sono circa un migliaio. Il trend è in continua crescita. Le conferenze sul tema sono sempre più affollate di genitori “maestri”, che a settembre si ritrovano per i festeggiamenti di “Non rientro a scuola”.
E tutto è assolutamente legale. Come Erika spiega
nel suo blog Controscuola, l’articolo 34 della
Costituzione recita: “L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è
obbligatoria e gratuita”. «È l’istruzione a essere obbligatoria, non la
scuola», spiega Erika. «Inoltre l’articolo 30 dice che “è dovere e diritto dei
genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal
matrimonio”. L’istruzione dei figli quindi è
in primis una responsabilità dei genitori, non dello Stato». Basta
inviare una lettera e comunicare ogni anno alla direzione didattica di
competenza la volontà di educare i figli a casa. Alla prima lettera deve essere
allegata l’autocertificazione che attesta «le capacità tecniche e le
possibilità economiche dei genitori». Solo un’autocertificazione, senza che ai
genitori venga richiesto un titolo di studio specifico.
Molti genitori che fanno homeschooling lavorano nella scuola e proprio perché conoscono la situazione tengono i figli a casa
«La scelta di educare i nostri figli a casa»,
racconta Erika, «è maturata quando il più grande era in età da scuola materna.
Giravo e rigiravo ma non riuscivo a trovare una struttura che sposasse l’idea
di rispetto del bambino e dei suoi tempi. Alla fine ne ho trovato una bella, ma
c’erano troppi episodi di violenza tra bambini emio figlio era sempre nervoso».
Così è nata l’idea di fare homeschooling,
la scuola fai-da-te a casa. Erika è molto critica verso il tradizionale sistema
scolastico italiano: «Ci sono troppi bambini in una sola classe, le insegnanti
hanno poco tempo da dedicare individualmente a ciascun bambino e anche se si
tratta di professionisti meravigliosi, alla fine lo stesso sistema scolastico
non li valorizza e li porta a perdersi». Non a caso, dice, «almeno il 50% delle
persone che fanno educazione parentale hanno a che fare con la scuola, o sono
insegnanti di ruolo o lavorano in segreteria, e proprio perché sanno qual è la
situazione nelle scuole tengono i figli a casa. E l’interesse è in crescita,
ricevo almeno cinque email al giorno di genitori che vogliono sapere come fare homeschooling».
Erika, dal canto suo, è un’ex insegnante, e la
scuola la conosce bene. Ma pure lei l’ha lasciata per dedicarsi alla sua scuola
domestica, al blog Controscuola
e sull’argomento ha scritto pure un libro, Homeschooling:
l’educazione parentale a scuola. Anche suo marito è riuscito a
ottenere il telelavoro per quattro giorni alla settimana, e collabora alle
attività familiari. «I bambini», racconta Erika, «sono coinvolti ogni giorno
nel lavoro dei genitori, rispettano i nostri tempi quando siamo impegnati e
assistono alle dinamiche domestiche, partecipando anche ai lavori di casa. Mi
aiutano a fare la spesa, a cucinare e a pulire. Sanno molto di economica
domestica, sanno come gestire i soldi. Insomma, conoscono molte più cose
rispetto ai bambini relegati in una classe». Con quattro figli, la casa di
Erika tra Pavia e Milano è come una piccola classe. Dai due ai dieci anni,
tutti apprendono insieme, a seconda dei propri interessi e delle proprie
passioni. E principalmente in inglese, visto che lei è italo americana.
Il termine unschooling
è stato coniato negli anni Settanta da John Holt e ribalta completamente l’idea
di scuola, fatta di banchi, libri, quaderni, compiti e orari. Niente di tutto
questo avviene se si fa unschooling.
«Seguiamo le passioni dei bambini», spiega Erika, «è difficile raccontare una
giornata tipo. Ad esempio, oggi siamo stati alla mostra sui dinosauri a Milano,
quindi prima di andare abbiamo parlato dell’inizio della vita sulla Terra e del
Big Bang». Si guardano molti film e documentari, si sta molto all’aperto, ma si
consultano anche i libri. «Qualcuno lo prendo su Internet, qualche altro in
biblioteca, ma in casa abbiamo anche i classici eserciziari». Non c’è un
programma specifico, poesie da imparare a memoria, e “fiumi del Canada” da
ripetere durante una interrogazione di fronte alla cattedra. «Gli argomenti
vengono ripresi anche più volte e vengono coinvolti tutti, senza forzature. Io
mi annoto tutte le loro domande. Se per esempio andiamo al parco e mi chiedono
perché la pallina cade giù dallo scivolo, quel giorno parliamo della gravità. È
tutto molto naturale». Un altro esempio? «Se programmiamo un viaggio in Spagna,
prima di partire tiriamo fuori la cartina e studiamo un po’ di geografia, senza
la pappardella delle città della Spagna che chiedono durante le interrogazioni.
Tutte informazioni che solitamente si imparano solo per una interrogazione e
poi si staccano dal cervello. Unendo invece l’esperienza alla teoria, assimili
molto di più. Sono esperienza e relazioni che creano la memoria».
Non ci sono programmi. Se per esempio andiamo al parco e mi chiedono perché la pallina cade giù dallo scivolo, quel giorno parliamo della gravità
Tra i conti da fare per la spesa, le pulizie
domestiche e le discussioni sui dinosauri o la gravità, lo studio è continuo,
lungo tutta la giornata.
Senza una campanella che sancisce l’inizio e la fine delle lezioni. «Quando pulisco con aceto e bicarbonato, i due prodotti fanno una reazione chimica. Loro lo vedono. E poi dico: “Adesso andiamo a studiare perché fanno le bolle”». Il segreto, dice Erika, «non è dare loro la conoscenza stampata su un libro, ma gli strumenti per arrivare alla conoscenza. È un modo diverso di studiare».
Senza una campanella che sancisce l’inizio e la fine delle lezioni. «Quando pulisco con aceto e bicarbonato, i due prodotti fanno una reazione chimica. Loro lo vedono. E poi dico: “Adesso andiamo a studiare perché fanno le bolle”». Il segreto, dice Erika, «non è dare loro la conoscenza stampata su un libro, ma gli strumenti per arrivare alla conoscenza. È un modo diverso di studiare».
Nell’educazione parentale non esistono classi e
orari. «Andiamo molto in giro, viaggiamo molto. Ma questo non significa che
abbiamo tanti soldi da spendere. Con l’homeschooling risparmiamo tanto, non
avendo spese per materiali scolastici, mensa, vestiti da usare ogni giorno e
rette di asili. La fortuna, poi, è che possiamo partire quando gli altri sono
al lavoro, e quindi spendiamo di meno. In più ho messo la nostra casa su AirBnb: quando arrivano gli ospiti, noi
partiamo con i soldi che guadagniamo».
E se c’è qualche materia che mamme, papà, zii o
vicini di casa non conoscono, si chiama un insegnante esterno. «Quando mio
figlio ha espresso il desiderio di voler imparare a suonare la chitarra, ho
chiamato un insegnante di musica», racconta Erika. «E qualche anno fa
studiavamo chimica insieme ad altre famiglie con una ragazza che aveva una
laurea specifica».
Essere chiusi in un edificio, confinati in una classe, non è proprio l’ideale per socializzare. I miei figli hanno tanti amici lo stesso
E la socializzazione con gli altri bambini? «Questa
è la domanda che mi fanno tutti», dice Erika. «Bisogna chiedersi che tipo di
socializzazione sia quella che vivono i bambini a scuola. Basta andare in una
classe per capirlo. Essere chiusi in un edificio, confinati in una classe di
bambini che hanno tutti la stessa età, dove bisogna stare seduti per la maggior
parte del tempo, non è proprio lo scenario ideale per socializzare. Inoltre in
ogni classe ci sono episodi di bullismo, situazioni di competitività esasperata,
status basati sui vestiti, tabagismo o linguaggio volgare». I quattro figli di
Erika fanno diverse attività pomeridiane, dalla danza alla musica, ed è lì che
incontrano gli altri bambini. «Hanno molti amici scolarizzati», dice lei, «che
dicono loro “quanto siete fortunati!”. La fortuna dei miei figli è che hanno
tanto tempo libero e possono dedicarlo per fare e pensare a cosa gli piace fare
di più. Cosa che i bambini normalmente non fanno». Un aneddoto: «Mio figlio era
al parco a giocare e c’erano i suoi amici che dicevano che dovevano andare via
perché avevano dieci problemi di matematica da fare. Lui è tornato
raccontandomi le loro lamentele. Mi ha detto: “Non è possibile che hanno tutti
questi compiti!”». Nell’unschooling i compiti non si fanno. «Perché li devo
torturare? Non ne vedo l’utilità». Ma, assicura Erika, «le regole ci sono nel
senso di principi, l’apprendimento però è libero».
Qualche homeschooler, in realtà, i compiti e gli
esami li fa. Le filosofie sono diverse. Anche nella stessa famiglia ci possono
essere bambini che vanno a scuola e altri che fanno homeschooling. Qualcuno
manda i figli ogni anno a fare un esame di idoneità a conclusione dell’anno
scolastico, qualche altro a fine di ogni ciclo scolastico, altri non lo fanno
affatto. Ma se un bambino vuole tornare a scuola, deve prima sostenere un
esame. «Ogni anno all’inizio dell’anno scolastico chiedono ai miei figli se
vogliono che li iscriva a scuola», dice Erika, «loro finora mi hanno detto che
non ne avevano nessuna intenzione». Il figlio più grande tra poco comincerà le
medie e poi arriveranno le superiori. «Farà le media in homeschooling», dice
Erika. «Poi penso che si iscriverà a una high school online, ma ovviamente sarà
libero di scegliere quello che vuole».
Ciao a tutti io sono di Torino e mi piacerebbe formare una classe di massimo dieci bimbi per fare homeschooling insieme ad altre mamme che la pensano come me in materia scuola !
RispondiEliminaSe vi fa piacere contattatemi al +39 3312992303
Grazie a presto
Debora