La vana speranza e la disciplina dell’istante (gnosi e alchimia)
La
presenza all’istante equivale a ridestare profondamente la coscienza.
Volendo disistimare ogni dottrina ingannevolmente consolatoria, ciò che di noi potrà essere salvato, noi stessi non potremo averne contezza.
Per questo e' fondamentale realizzare il senso l'esistenza come se fosse una missione senza speranza.
Volendo disistimare ogni dottrina ingannevolmente consolatoria, ciò che di noi potrà essere salvato, noi stessi non potremo averne contezza.
Per questo e' fondamentale realizzare il senso l'esistenza come se fosse una missione senza speranza.
La pura determinazione di pervenire al
fondamento dell’intuizione trascendente non può in alcun modo costituire il
senso di una gratificazione ordinaria.
La
propria risolutezza avvia l’elaborazione alchemica del solve et
coagula, coinvolgente la
totalità della materia e dell’intelligenza in essa pulsante.
La fase conclusiva dell’Opera (la paradigmatica albedo) non potrà mai risolversi in un mero perfezionamento della personalità legata all’identificazione storica dell’io operante.
La fase conclusiva dell’Opera (la paradigmatica albedo) non potrà mai risolversi in un mero perfezionamento della personalità legata all’identificazione storica dell’io operante.
L’impegno
quotidiano nel rettificare i propri pensieri e azioni, è inteso come il
necessario preludio affinché, nel nucleo della vigilanza interiore, possa
maturare il seme dell’essere; la cui fioritura non e' compiuta in questa
realtà.
Il suo esito ultimo, in alcun modo potrà riassumersi nelle categorie della mente, poiché questo significherebbe il suo stesso essiccamento.
Il suo esito ultimo, in alcun modo potrà riassumersi nelle categorie della mente, poiché questo significherebbe il suo stesso essiccamento.
La sostanza sacrificale è integralmente
costituita dall’io sociale, che è l’ego ordinario presente a questa vita.
Dovremmo essere serenamente persuasi nel ritenere che in noi la personalità
comune non ha alcuna speranza di sopravvivenza all’avvenuto
decadimento del corpo fisico.
La speranza di una sopravvivenza umbratile della coscienza, individuata nella personalità comune, costituirebbe un penoso sviamento di senso rispetto alle originarie intenzioni di chiarità interiore e confidarvi passivamente è indizio stesso di un’avvilente povertà morale.
Solo l’identificazione ordinaria, trascinata dalla corrente del divenire, cerca di aggrapparsi disperatamente alle lusinghe di facili astrazioni mistiche.
Noi siamo una sorta di sacro involucro biomeccanico, custode (forse nostro malgrado) di un preminente mistero.
In alchimia, (disciplina attentissima quanto mai attuale, benché spesso la sua essenza venga troppo spesso fraintesa come un mero pretesto di gratificazione intellettuale) l’inizio dell’Opera, altrimenti nota come fase al nero, indica specificamente la facoltà della coscienza di attuare il principio sacrificale dell’uomo ordinario, nella finalità di preordinare il proprio intimo disfacimento/liquefazione (la totale dissoluzione di se stessi) verso un fine superiore che, di fatto, rimane inesprimibile nei suoi esiti ultimi.
La prima fase dell’Opera coincide con una paziente, intima, dissoluzione di ogni impurità emozionale. L’autoglorificazione è un veleno per la salute dell’animo, così come la disistima o un’immotivata contrizione e la tristezza stessa.
Quando si parla del disfacimento delle sostanze impure, non s’intenderebbe null’altro che il disfacimento stesso delle molteplici ombre emozionali interne all’uomo; (distorsione dei principii affettivi) alle quali l’identita’ ordinaria, oggi piu’ che mai, sembrerebbe essere irrimediabilmente soggiogata.
La speranza di una sopravvivenza umbratile della coscienza, individuata nella personalità comune, costituirebbe un penoso sviamento di senso rispetto alle originarie intenzioni di chiarità interiore e confidarvi passivamente è indizio stesso di un’avvilente povertà morale.
Solo l’identificazione ordinaria, trascinata dalla corrente del divenire, cerca di aggrapparsi disperatamente alle lusinghe di facili astrazioni mistiche.
Noi siamo una sorta di sacro involucro biomeccanico, custode (forse nostro malgrado) di un preminente mistero.
In alchimia, (disciplina attentissima quanto mai attuale, benché spesso la sua essenza venga troppo spesso fraintesa come un mero pretesto di gratificazione intellettuale) l’inizio dell’Opera, altrimenti nota come fase al nero, indica specificamente la facoltà della coscienza di attuare il principio sacrificale dell’uomo ordinario, nella finalità di preordinare il proprio intimo disfacimento/liquefazione (la totale dissoluzione di se stessi) verso un fine superiore che, di fatto, rimane inesprimibile nei suoi esiti ultimi.
La prima fase dell’Opera coincide con una paziente, intima, dissoluzione di ogni impurità emozionale. L’autoglorificazione è un veleno per la salute dell’animo, così come la disistima o un’immotivata contrizione e la tristezza stessa.
Quando si parla del disfacimento delle sostanze impure, non s’intenderebbe null’altro che il disfacimento stesso delle molteplici ombre emozionali interne all’uomo; (distorsione dei principii affettivi) alle quali l’identita’ ordinaria, oggi piu’ che mai, sembrerebbe essere irrimediabilmente soggiogata.
L’intero sistema massmediatico, la gigantesca macchina
della propaganda, l’intera dimensione industriale, formano la sostanza di un
unico blocco persuasivo, preordinato per assolutizzare il dominio dell’ombra e
il suo variegato corteggio di fisime e paure a discapito dell’autentica
consapevolezza.
La produzione in serie, la replica meccanizzata, ottenebra
l’istante.
La coscienza vigile sa che ogni singolo istante costituisce per l’esistenza un punto di non ritorno.
La coscienza vigile sa che ogni singolo istante costituisce per l’esistenza un punto di non ritorno.
La determinazione cosciente consiste nel saper guardare in
se’ l’abisso del divenire, essendo consapevoli di precipitarvi (di partecipare a
tale illusione quadrimensionale) e che non vi sarà sopravvivenza alcuna di
ciò che ora siamo.
Nulla di quanto qui rassicura è vero, così come nulla di quanto dispera o smarrisce è reale.
L’alchimia è la scelta maggiormente estrema, la piu’ estrema di tutte.
Nulla di quanto qui rassicura è vero, così come nulla di quanto dispera o smarrisce è reale.
L’alchimia è la scelta maggiormente estrema, la piu’ estrema di tutte.
L’alchimia è la scelta
maggiormente estrema, la piu’ estrema di tutte.
E’ l’ultima scelta valida di quanti sanno d'essere irrimediabilmente perduti e cercano di applicare in se’ la volontà sovrana di una disciplina integrale, coronata dalla temperanza (pazienza, che è la forza insita nella forza stessa) provando di riordinare la propria disperazione abissale, avendo ben percepito quale sia il fine superiore occultato nella transitorietà.
Le fandonie sulla sopravvivenza dell’anima mediante la reincarnazione, sono distorsioni buone solo a opacizzare l’orrore di un’umanità spiritualmente regredita. Unicamente l’ego ricerca avidamente le garanzie di una sua possibile sopravvivenza.
Non possiamo negare che il quid animico energetico, dopo la morte fisica, molto probabilmente potrà essere nuovamente attratto dalle onde di forma della famelica matrice, dove l’illusione della personalità ordinaria (ego o identità fittizia) funge da motivo catalizzante per realizzare la continua dispersione emotiva confusa ai preminenti motivi di Salvezza, rinnovando la propria possibilità di riscatto dall’antichissima e dolorosa permanenza nell’inquietante meraviglia del luogo sub-lunare.
E’ l’ultima scelta valida di quanti sanno d'essere irrimediabilmente perduti e cercano di applicare in se’ la volontà sovrana di una disciplina integrale, coronata dalla temperanza (pazienza, che è la forza insita nella forza stessa) provando di riordinare la propria disperazione abissale, avendo ben percepito quale sia il fine superiore occultato nella transitorietà.
Le fandonie sulla sopravvivenza dell’anima mediante la reincarnazione, sono distorsioni buone solo a opacizzare l’orrore di un’umanità spiritualmente regredita. Unicamente l’ego ricerca avidamente le garanzie di una sua possibile sopravvivenza.
Non possiamo negare che il quid animico energetico, dopo la morte fisica, molto probabilmente potrà essere nuovamente attratto dalle onde di forma della famelica matrice, dove l’illusione della personalità ordinaria (ego o identità fittizia) funge da motivo catalizzante per realizzare la continua dispersione emotiva confusa ai preminenti motivi di Salvezza, rinnovando la propria possibilità di riscatto dall’antichissima e dolorosa permanenza nell’inquietante meraviglia del luogo sub-lunare.
Quaggiù l’uomo rimane invischiato nel complesso gioco dei
sentimenti e dove, spesso, non riuscendo a pervenire alla chiarezza
interiore, vita dopo vita, torna a dimenarsi tra gli estremi dell’ignavia ed
dell’esaltazione, oscillando tra cieca violenza e straziante bisogno di amore.
E’ qui che si rinnovano tutte le emorragie emotive necessarie al sostentamento dell’eggregora connessa alle primordiali e sovrasensibili entità predatorie, altrimenti note come dei o dio.
E’ qui che si rinnovano tutte le emorragie emotive necessarie al sostentamento dell’eggregora connessa alle primordiali e sovrasensibili entità predatorie, altrimenti note come dei o dio.
Nella sapienza misterica delle religioni antiche la verità
è diluita nell’inganno, come nell’esempio della mistica islamica, la cui sublime
poetica ci soccorre per trovare equilibrio tra simili vertigini.
Avvisa Ibn ‘Arabi: L’istante (qui ideato come coscienza espansa nel cuore dell’attimo irradiato dall’illuminazione) è l’espressione del tuo stato nel tempo presente, che non ha alcun legame col passato o col futuro.
Passato e futuro sono le due astrazioni connesse all’ego, che v’indugia mantenendo in condizione letargica la coscienza.
L’ego è la mente stessa degli Arconti innestata sul quid animico-coscienziale.
Barlumi di consapevolezza espansa riattivano la memoria, (reminiscenza) ricordo del cuore.
Sarebbe opportuno aggiungere, è proprio in questa apertura sottile, propriamente cardiaca, in cui l’istante trova connessione all’infinito, ovvero, a quanto non è in alcun modo circoscrivibile dalla manifestazione.
In tale recondita aspirazione trova in noi ulteriore spazio di azione la sovrasensibile distorsione operata dal demiurgo, la cui ingannevole proiezione va a sovrapporsi all’ultima tappa del nostro strenuo percorso di ascesa interiore.
Il mistico Junayd altresì afferma, con mirabile lucidità: L’istante è un espressione che si trova fra due nulla, in cui ci sono compagni in lotta fra loro.
L’istante non può rivelarsi ad una coscienza ottenebrata, condizionata a subire solo l’attraversamento indefinito di attimi opacizzati dalle preoccupazioni ordinarie quanto svianti per ciò che è stato e ciò che sarà.
L’istante coincide al risveglio.
La percezione dell’istante proviene unicamente da una risoluta disciplina dell’essere, ed è rivelato ad una coscienza fortemente determinata a purificare il nucleo emotivo di cui è avvolta.
Considerando la prodigiosa prigione percettiva in cui stiamo rinchiusi, l’apertura dell’istante costituisce la sola via di uscita possibile.
Un’uscita incastonata tra due potenti illusioni, tenacemente saldate all’identità fittizia dell’io storico che mai vorrà oltrepassare la misura prestabilita dalle forme di appagamento ordinarie, pena la sua sofferenza fino all’estinzione e, pertanto, l’uscita non solo da questo mondo, ma l’uscita da ogni piano dimensionale appartenente alla Matrice (di cui questo mondo rappresenta un preminente punto d’intersezione fra i differenti livelli vibrazionali) costituisce un passaggio (proverbialmente stretto) appunto incastonato fra molteplici nulla; tale significato nel mito emblematizza l’arduo passaggio tra le Simplegadi.
La coscienza, in ogni caso stravolta dagli esiti della sua fonda reclusione, riverberata di un sano principio veggente intuisce l’inesprimibile motivo di elevazione, ingaggiando per questo una lotta interiore senza tregua con quanto la vorrebbe radicata nel mondo.
La lotta interiore di ognuno, riguarda proprio gli esisti meta-cosmici di questa grande guerra purificatrice.
La Redenzione dell’animo costituisce l’intimo riscatto dall’inganno ancestrale.
L’istante costituisce il cuore della stessa Redenzione, quaggiù posta fra due realtà illusorie, (passato e futuro) definendo il possibile quanto unico collegamento alla pura trascendenza.
Per potervi accedere l’uomo deve rettificarsi, emendarsi dai vincoli meschini, estinguendo sapientemente se stesso per ritrovarsi.
In alcuni passaggi di sapienza contenuti negli stessi vangeli sinottici si trovano incastonate, all’interno della contraffazione teologica, alcune preziose gemme della gnosi originaria. In Matteo 26-26, possiamo leggere: chi vorrà salvare la propria vita, la perderà (quanti confidano nell’illusione dell’ego) ma chi perderà la propria vita (coloro che sapranno estinguere il radicamento nell’illusione) per causa mia (ovvero, per la causa del principio inconoscibile ottenebrato dall’inganno ancestrale) la troverà. Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà il proprio spirito? O che cosa l'uomo potrà dare in cambio del proprio spirito?"(Mt 25,26)
Il testo greco riferisce della Psyché, che significa il soffio del respiro vitale connesso all’animo ed estensivamente è ricollegato tanto alla vita fisica come a quella spirituale.
La contrapposizione avviene pertanto tra la propria vita mondana, intesa nella sua accezione deteriore, come proiezione egoica e quella invece psichica o piu’ propriamente pneumatica, avvolta dall’involucro terreno la cui vitalità è opportunamente centrata sul principio inconoscibile dell’essenza geniale preesistente alla grande contraffazione epocale orchestrata dal demiurgo omicida (Non avrai altro dio all’infuori di Me).
giovanni ranella 2/06/2020
Avvisa Ibn ‘Arabi: L’istante (qui ideato come coscienza espansa nel cuore dell’attimo irradiato dall’illuminazione) è l’espressione del tuo stato nel tempo presente, che non ha alcun legame col passato o col futuro.
Passato e futuro sono le due astrazioni connesse all’ego, che v’indugia mantenendo in condizione letargica la coscienza.
L’ego è la mente stessa degli Arconti innestata sul quid animico-coscienziale.
Barlumi di consapevolezza espansa riattivano la memoria, (reminiscenza) ricordo del cuore.
Sarebbe opportuno aggiungere, è proprio in questa apertura sottile, propriamente cardiaca, in cui l’istante trova connessione all’infinito, ovvero, a quanto non è in alcun modo circoscrivibile dalla manifestazione.
In tale recondita aspirazione trova in noi ulteriore spazio di azione la sovrasensibile distorsione operata dal demiurgo, la cui ingannevole proiezione va a sovrapporsi all’ultima tappa del nostro strenuo percorso di ascesa interiore.
Il mistico Junayd altresì afferma, con mirabile lucidità: L’istante è un espressione che si trova fra due nulla, in cui ci sono compagni in lotta fra loro.
L’istante non può rivelarsi ad una coscienza ottenebrata, condizionata a subire solo l’attraversamento indefinito di attimi opacizzati dalle preoccupazioni ordinarie quanto svianti per ciò che è stato e ciò che sarà.
L’istante coincide al risveglio.
La percezione dell’istante proviene unicamente da una risoluta disciplina dell’essere, ed è rivelato ad una coscienza fortemente determinata a purificare il nucleo emotivo di cui è avvolta.
Considerando la prodigiosa prigione percettiva in cui stiamo rinchiusi, l’apertura dell’istante costituisce la sola via di uscita possibile.
Un’uscita incastonata tra due potenti illusioni, tenacemente saldate all’identità fittizia dell’io storico che mai vorrà oltrepassare la misura prestabilita dalle forme di appagamento ordinarie, pena la sua sofferenza fino all’estinzione e, pertanto, l’uscita non solo da questo mondo, ma l’uscita da ogni piano dimensionale appartenente alla Matrice (di cui questo mondo rappresenta un preminente punto d’intersezione fra i differenti livelli vibrazionali) costituisce un passaggio (proverbialmente stretto) appunto incastonato fra molteplici nulla; tale significato nel mito emblematizza l’arduo passaggio tra le Simplegadi.
La coscienza, in ogni caso stravolta dagli esiti della sua fonda reclusione, riverberata di un sano principio veggente intuisce l’inesprimibile motivo di elevazione, ingaggiando per questo una lotta interiore senza tregua con quanto la vorrebbe radicata nel mondo.
La lotta interiore di ognuno, riguarda proprio gli esisti meta-cosmici di questa grande guerra purificatrice.
La Redenzione dell’animo costituisce l’intimo riscatto dall’inganno ancestrale.
L’istante costituisce il cuore della stessa Redenzione, quaggiù posta fra due realtà illusorie, (passato e futuro) definendo il possibile quanto unico collegamento alla pura trascendenza.
Per potervi accedere l’uomo deve rettificarsi, emendarsi dai vincoli meschini, estinguendo sapientemente se stesso per ritrovarsi.
In alcuni passaggi di sapienza contenuti negli stessi vangeli sinottici si trovano incastonate, all’interno della contraffazione teologica, alcune preziose gemme della gnosi originaria. In Matteo 26-26, possiamo leggere: chi vorrà salvare la propria vita, la perderà (quanti confidano nell’illusione dell’ego) ma chi perderà la propria vita (coloro che sapranno estinguere il radicamento nell’illusione) per causa mia (ovvero, per la causa del principio inconoscibile ottenebrato dall’inganno ancestrale) la troverà. Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà il proprio spirito? O che cosa l'uomo potrà dare in cambio del proprio spirito?"(Mt 25,26)
Il testo greco riferisce della Psyché, che significa il soffio del respiro vitale connesso all’animo ed estensivamente è ricollegato tanto alla vita fisica come a quella spirituale.
La contrapposizione avviene pertanto tra la propria vita mondana, intesa nella sua accezione deteriore, come proiezione egoica e quella invece psichica o piu’ propriamente pneumatica, avvolta dall’involucro terreno la cui vitalità è opportunamente centrata sul principio inconoscibile dell’essenza geniale preesistente alla grande contraffazione epocale orchestrata dal demiurgo omicida (Non avrai altro dio all’infuori di Me).
giovanni ranella 2/06/2020
Vedi anche:
[Speranza]
Splendido articolo ~ Mi ha colpito, tra tanta abbondanza di cognizioni, il dato relativo all’ ISTANTE, come “punto di non ritorno” percepito solo da una coscienza che si sia svincolata dal nucleo emotivo ~ Purtroppo il sangue e’ la prigione chimicamente “informata” per essere predata ~ Un altro dato molto interessante e’ quello della “VANA SPERANZA”, in cui si disperde il senso dell’esistenza individuale in nome di un Bene Comune misterioso, inconosciuto, del quale comunque siamo parte ~ Parte sana, o parte malata ~ E la differenza fara’ certamente una “differenza” ~ Questo Io credo ~ Credo che riuscire a percepire l’istante sia possibile solo ad un certo livello di consapevolezza e nel possibile distacco spirituale dalla realta’ illusoria della materia ~ L’Istante e’ irreversibile, come lo sono la nascita e la morte ~ Costituisce il varco sottile tra la dimensione umana e la la Dimensione ignota dell’Altrove ~ Platone asseriva che conoscere significa “ricordare”, ma chi si dimena nella chimica sanguigna non puo’ ricordare, la sua visione e’ ottenebrata dalle acque rosse, la sua energia deve poter transitare dalla dimensione del pesce a quella dell’uccello, e poi Oltre ~ Grazie, Giovanni e Marcello del bellissimo articolo ~ Paola Stellare
RispondiEliminaBentrovati
RispondiEliminaE’ sempre una bella sorpresa ritrovare i miei appunti riportati sul tuo blog Marcello, impreziositi dal commento sentito di Paola.
E’ incoraggiante poter condividere determinate convinzioni, che poi sarebbero tutt’altro che certezze, ma indizi certi riguardanti l’intuizione della paradossale condizione umana.
Pur rifuggendo dall’intellettualismo deteriore, riconosciamo che determinate intuizioni – propriamente ardenti – necessariamente debbano essere colate nello stampo a cera persa delle idee.
La misura circoscritta delle parole non riesce ad infondere il senso radiante della netta prescienza di luce immateriale, intimamente percepita e annunciata da determinate intuizioni.
La facoltà plastica dell’animo, volendo ottenere una maggiore cognizione della propria inconsueta condizione, in qualche maniera riesce a forgiare, sebbene maldestramente, una certa forma all’abbozzo poetico-riflessivo dei nostri motivi riguardanti l’abissale anomalia in cui è immersa la coscienza; che perennemente altalena tra cupe disperazioni e supremi ardimenti.
Sostanzialmente, una persona cerca di dare orientamento stabile al proprio smarrimento latente, anche se, in ogni caso, la meta finale fino all’ultimo istante rimane ignota.
Paola, la tua osservazione sulla peculiarità occulta del sangue è illuminante.
Inoltre, aggiungo che per ora dalla cangiante prigione concentrica, costituita dalla multiforme totalità del cosmo, non si evade.
Non rimane altro che applicare in noi stessi una preminente disciplina delle emozioni, oppure soccombere miseramente nell’attuale illusione percettiva, resa quanto mai infida dall’ultima dimensione hi-tech.
Chi intende conoscere se stesso, da sempre, si determina a vivere uno stato di guerra interiore pressoché continuo.
Sarebbe anche del tutto plausibile che di questi tempi sia all’azione una forza impersonale di pura Gnosi, che informa di se' gli animi pronti a catalizzarne i sottili fendenti intuitivi.
Qui non si tratta di un mero perfezionamento dell'io ma, bensì, di ricercare in se' le modalità attuative per operare una sua estinzione: propriamente Felice (intendendo il termine "felice" nella sua - grave - accezione iniziatica)
Avendo intuito l'inganno epocale in cui lo spirito s’è condensato, di conseguenza dovremmo realizzare una consapevolezza superiore al particolare umano che incarniamo, riconoscendo che l'io ordinario stesso di ognuno è il suo stesso carceriere (l'ego tirannico).
Innestato tanto profondamente in noi da essere ritenuto come una naturale parte di noi stessi mentre in realtà costituisce l'innesto della mente dei "controllori dimensionali" sovrapposta alla verità della coscienza - ingenua e geniale (così come asserivano gli antichi gnostici e dopo di loro lo stesso don Juan di Castaneda)
Saremmo chiamati a reagire: re-agire risolutamente in noi stessi.
Reagire varrebbe il Re-Agire = ridestare il Re interiore, per decapitare l'infido ego che ha usurpato il trono dello Spirito.
Non già di Odissei sarebbe composta la nuova umanità assoggettata ai dettami "innovativi", ma formata di novelli Proci; che quasi tutti sono pretendenti arroganti.
Tutto il lavoro, l'Opera somma risiede nella facoltà che abbiamo di separare intimamente l'inganno dall’irriferibile Vero. Inconoscibile ma ugualmente intuibile.
Occorre una misurata pazienza, una Ferrea Volontà, una Smisurata fiducia nelle proprie risorse apparentemente davvero esigue.
Una essenziale Disciplina esistenziale, estremamente semplice ma affatto facile.
Solo in questa rinnovata presenza nell’istante cangiante potremo provare di rettificare autenticamente il dolore che ci qualifica in questa vita come identità puramente tragiche.
Seppure consegnate ad un supporto tanto effimero come lo sono le pagine virtuali del web, anche le nostre piccole testimonianze sono importanti.
In ogni caso a ognuno il proprio destino.
Grazie Giovanni per le tue interessantissime considerazioni che fanno intravedere scenari fuori dalla portata della odierna mentalità di massa.
RispondiEliminaNon mi esprimo nel merito di quanto riportato poiché per me costituiscono una fonte di riflessione profonda utile a “bruciare” le “zavorre”.
Benché le tue parole non possano descrivere adeguatamente le esperienze sovrasensibili mostrano una strada percettiva che travalica i limiti di ognuno, trattazioni che spronano a superarli perché oggi l’uomo non esiste più, forse appena resiste.
Viviamo solo una lontana approssimazione di noi stessi.
Grazie anche a te Paola per i tuoi sempre competenti e pertinenti interventi che aiutano ad allargare quegli orizzonti(limiti) ridotti ad un “luogo” angusto i cui non c’è “spazio” per nessun “movimento”.
Splendida vita a voi ragazzi.