LE SPECIE VIVENTI SONO NATE
TUTTE INSIEME. LO DIMOSTRA UNO STUDIO GENETICO.
Maurizio Blondet 10 giugno
2018
Praticamente tutte le specie animali oggi esistenti,
compreso l’uomo, sono apparse sulla Terra allo stesso tempo: fra i 100
mila e i 200 mila anni fa, in un periodo geologicamente breve.
E’ la stupefacente conclusione cui sono giunti due genetisti,
David Thaler dell’università di Basilea, e Mark Stoekle della Rockefeller,
analizzando il DNA mitocondriale di 100 mila specie viventi attualmente nei
continenti e negli oceani del globo, dopo aver esaminato 5 milioni di “codici
identificativi” delle suddette specie. Una messe enorme di dati, che rende il
risultato indiscutibile.
Questa immensa campionatura è stata resa possibile da una
recente metodologia d’indagine, che esamina il DNA mitocondriale, più facile a
decodificare rispetto al DNA del nucleo della cellula, che è proprio di ogni
individuo, coi suoi tre miliardi di paia di molecole organizzate in migliaia di
geni. I mitocondri sono, nella cellula, i minuscoli “motori” forniscono energia
alla cellula e la fanno respirare: il loro DNA ha solo 37 geni. Uno di
essi, detto COI (sigla per cytochrome oxidase I), è stato definito il “codice a
barre DNA” perché esso identifica alla perfezione la specie cui appartiene,
tanto che viene usato per scoprire frodi alimentari, se per esempio
nell’hamburger di bue c’è carne di cavallo, o se nel kebab halal c’è la
presenza di maiale.
Il gene COI ha una sequenza genetica assolutamente
simile in tutti gli animali, il che lo rende facile da “vedere” a
confrontare; d’altra parte, presenza differenze caratteristiche, proprie di
ciascuna specie. Insomma è davvero un “codice a barre” che identifica con
semplicità e precisione ogni specie animale. Il metodo è anche economico, ciò
che ha permesso ai due genetisti di passare in rassegna, in una decina d’anni,
appunto 5 milioni di codici a barre di 100 mila specie attualmente viventi.
La prima, e per loro stupefacente, scoperta dei due
genetisti è questa: che non si aspettavano una tale “uniformità” all’interno
della stessa specie, e una totale
assenza di quelle che loro definiscono “passerelle” fra una specie e l’altra.
I loro dati smentiscono definitivamente il mito
evoluzionista per cui una specie si sarebbe “evoluta” dall’altra, attraverso
ipotetici “anelli di congiunzione” poi estinti.
Ogni specie studiata è in modo impressionante “fissa”,
una specie “rana” è identica geneticamente sia che viva nei nostri stagni
sia nel Mato Grosso, e la specie Homo sia che viva qui che in Cina; le
differenze morfologiche, minime, sono indifferenti al loro codice a barre
genetico.
L’altra cosa che hanno scoperto, è che la diversità
genetica non varia con la numerosità e l’estensione sulla terra di una specie. I manuali evoluzionisti insegnano che più
una specie è numerosa, antica e diffusa in zone climatiche differenti, più
dovrebbe presentare variazioni genetiche, dovute all’accumularsi di variazioni
nel DNA in funzione della sua moltiplicazione attraverso le epoche. Niente di
più falso: i 7,5 miliardi di esseri umani, i 500 mila passeri, i centomila
beccaccini, hanno all’incirca la stessa diversità genetica: limitatissima.
Da qui la terza e più inattesa scoperta: studiando le
variazioni genetiche “neutrali”, le
piccole variazioni genetiche del DNA, né dannose né utili, che si
succedono e si trasmettono fra generazioni, i genetisti hanno dovuto ammettere
che esse sono molto, ma molto meno frequenti di quanto “previsto” dagli
evoluzionisti, e per quanto grande sia il numero degli individui che
la compongono. Il che non è poi così strano: il DNA è la materia vivente più costante, si “difende
attivamente” contro le mutazioni, azzerandole.
Il punto è che gli evoluzionisti si basano su queste
variazioni neutrali, che suppongono essere avvenute in cadenze regolari, per
determinare l’età di una specie, il momento in cui è apparsa sulla Terra – un
po’ come gli anelli dei vecchi alberi tagliati ne mostrano l’età.
Fatti e rifatti i calcoli, i due genetisti sono giunti alla
conclusione più clamorosa: che il 90% delle specie oggi viventi sulla
Terra, sono nate tutte insieme, 100-200 mila anni fa.
La massima parte delle specie, siano uccelli, pesci,
falene o uomini, sono apparsi così
recentemente da non aver avuto tempo di sviluppare molta diversità genetica.
La diversità genetica dell’umanità d’oggi è in media dello 0,1% : se
prendiamo queste variazioni come la cadenza di un orologio genetico, ciò che
farebbe risalire la divergenza di umani come specie distinta a 100-200
mila anni fa. [Ovviamente il profano potrebbe sospettare che
l’orologio genetico delle variazioni non ha la cadenza regolare che gli
scienziati pretendono: ma questo è un argomento che gli scienziati non paiono
disposti a discutere].
Dai “primitivi” rettili ai marsupiali, dagli ovipari ai
vivipari, fino all’”evoluto” Homo Sapiens, sono tutti contemporanei: ciò che noi pensiamo sia
il risultato di una evoluzione, non lo è. Il rettile non è più primordiale di
un mammifero, né un marsupiale più primitivo di un placentato, né gli anfibi ci
hanno “preceduto” nel tempo perché meno complessi. Né noi, l’orgogliosa specie
Homo, siamo venuti “dopo” il cardellino o la trota. Saremmo nati tutti
insieme. In un periodo oltretutto alquanto recente, 200 mila anni fa, o meno.
L’intero regno
animale – almeno quello presente oggi – sembra essere apparso insieme
sulla Terra? Lo stesso David Thaler, uno dei due autori della scoperta,
ammette: “L’ho combattuta finché ho potuto”. Il motivo è ovvio. Non è
solo che i risultati della sua scoperta demoliscono ogni possibile teoria
evoluzionista, per quanto “riformata” e “corretta” (lo è stata molte volte,
dopo Darwin), ma la stessa ideologia dell’evoluzione, in quanto “fede”implicita
di tutti gli studiosi del vivente, il pilastro a cui appendono le loro
certezze.
Il vostro cronista intravvede una certa difficoltà a
conciliare questa scoperta con i dati della paleontologia e
stratigrafia geologica, che retrodatano la vita di milioni di anni, non
di cento-200 mila. Il Cenozoico, in cui appaiono i mammiferi,
sarebbe iniziato 6,5 milioni di anni fa. Fino a che punto le datazioni
stratigrafiche sono “sicure” e credibili? Fino a che punto la
retrodatazione è il presupposto ideologico per dare alla evoluzione “Il tempo”
di evolversi?
Come avevo illustrato nel mio “L’uccellosauro ed altri
animali”, le datazioni stratigrafiche o con radio-isotopi
danno danno estremamente variabili e improbabili: un Proconsul (una
scimmia estinta) è stato datato fra i 14 e 15 milioni di anni, benché le
misurazioni con isotopi abbiano dato una variazione fra 42 e 264 milioni
di anni. Alla fine, la datazione di 15 milioni è stata accettata, e le
altre scartate, “perché si integra nella scala fanerozoica”, ossia
nell’immaginaria cronologia asserita dai darwinisti. Ossia: il
pregiudizio serve a “datare” dati discordanti. Non a caso, nel 1974
è stata istituita una Commissione Internazionale di Stratigrafia, che
“definisce standard” delle “sezioni stratigrafiche” nella geologia terrestre
per metter d’accordo paleontologia e geo-biologia e unificare in qualche modo
dati discutibili: stabilendo una sorta di rigorosa convenzione sulle datazioni.
Certo anche la detta Commissione avrà qualcosa di dire se
la vita animale esistente è apparsa, per i genetisti, in epoche così recenti.
C’è stata forse una estinzione di massa centomila
anni fa, che ha ridotto il numero delle specie per lasciar sopravvivere
solo quelle che condividono con noi il mondo odierno? O una catastrofe non
meglio identificata che ha permesso il fiorire di tante specie in uno stesso e
breve tempo? Se lo sono chiesto i ricercatori. Ma l’impatto di un
asteroide, come quello che avrebbe distrutto i dinosauri (e spazzato via il 70%
della vita) 65 milioni di anni fa, non sembra essersi riprodotto in epoca tanto
più recente: altrimenti avrebbe lasciato tracce identificabili.
Stoeckle ha imbastito una mezza ipotesi che suona
così: “L’interpretazione più semplice è che la vita è in costante evoluzione ,
e che ad ogni epoca dell’evoluzione, gli animali viventi ad un momento dato
sono apparsi più o meno nello stesso periodo, con una durata di vita
limitata, per poi trasformarsi in qualcos’altro”. Insomma l’evoluzionismo
vince sempre.
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