Il lavoro? Un male sociale che possiamo curare solo con l'ozio
Contrariamente
ad una idea diffusa ad arte dai centri di condizionamento dello spettacolo
moderno, il lavoro non è una catastrofe naturale.
È un male sociale, il cui falso rimedio, la disoccupazione, fa peggiorare il cattivo stato del paziente e talvolta lo finisce. Consideriamo per prima cosa le origini del lavoro.
È un male sociale, il cui falso rimedio, la disoccupazione, fa peggiorare il cattivo stato del paziente e talvolta lo finisce. Consideriamo per prima cosa le origini del lavoro.
Si sa
che in tutte le lingue il termine deriva
da strumenti di tortura o che è sinonimo di sofferenza, sforzo estenuante, pena
ed afflizione.
La Bibbia ne fa la punizione
divina ed i miti universali
parlano di una età dell'oro originale indenne dall'obbligo del lavoro. È
proprio ciò che hanno confermato le serie ricerche sulla preistoria condotte da
Marshall Sahlins.
Il cacciatore-raccoglitore,
prima dell'invenzione dell'agricoltura, delle classi e dello Stato, non lavorava;
si dedicava alle libere attività dell'essere umano, che consistevano nel
cacciare e raccogliere, mangiare, dormire, godere e viaggiare.
Il lavoro inizia storicamente con il dominio di un uomo sul suo
simile, di una classe su un'altra. Si tratta sempre di una classe
improduttiva (preti e possidenti) che condanna al lavoro una classe produttrice
e ne accaparra la produzione.
Dominio e sfruttamento sono una sola
ed unica cosa.
Ciò che
separa la libera attività
dal massacrante lavoro consiste quindi nella accumulazione di frutti
dell'attività di un individuo che si trova costretto a produrre per qualcuno
estraneo alla sua produzione e che se ne appropria.
Il lavoro crea ricchezza, ma quella altrui.
Così il lavoro sanziona il passaggio della libertà originale alla schiavitù, che solo di recente ha fatto posto, per soddisfare le esigenze del commercio mondale (ormai chiamato globalizzazione), alla sua versione aggravata: il salario generalizzato.
Già Nicolas Linguet, filosofo dei Lumi, vedeva nella schiavitù salariata un peggioramento dell'antica schiavitù.
Il lavoro non è solo l'insicurezza sociale; è soprattutto il supplizio quotidiano dell'uomo abbrutito dalla ripetizione di compiti insipidi e alienanti. Lavorare è una debolezza quando si può farne a meno e fare qualcosa di meglio: è quanto hanno sostenuto lungo tutta la storia le élite intellettuali che disprezzavano il lavoro.
Il lavoro crea ricchezza, ma quella altrui.
Così il lavoro sanziona il passaggio della libertà originale alla schiavitù, che solo di recente ha fatto posto, per soddisfare le esigenze del commercio mondale (ormai chiamato globalizzazione), alla sua versione aggravata: il salario generalizzato.
Già Nicolas Linguet, filosofo dei Lumi, vedeva nella schiavitù salariata un peggioramento dell'antica schiavitù.
Il lavoro non è solo l'insicurezza sociale; è soprattutto il supplizio quotidiano dell'uomo abbrutito dalla ripetizione di compiti insipidi e alienanti. Lavorare è una debolezza quando si può farne a meno e fare qualcosa di meglio: è quanto hanno sostenuto lungo tutta la storia le élite intellettuali che disprezzavano il lavoro.
Le raffinate civiltà dell'India, della Cina e della
Grecia antiche ponevano il lavoro al di sotto di tutto.
Gli indigeni delle Antille preferivano, nel Rinascimento, cessare di riprodursi piuttosto che piegarsi al lavoro imposto dagli europei e ancora oggi nello Sri Lankais si mutilano più volentieri al fine di mendicare piuttosto che subire l'obbligo del lavoro!
Gli indigeni delle Antille preferivano, nel Rinascimento, cessare di riprodursi piuttosto che piegarsi al lavoro imposto dagli europei e ancora oggi nello Sri Lankais si mutilano più volentieri al fine di mendicare piuttosto che subire l'obbligo del lavoro!
Del
resto, tutte le lingue possiedono dei detti che rimettono il lavoro al suo
posto, l'ultimo: «Lavorano solo quelli che non
sanno fare altro» dicono i portoghesi, mentre i russi assicurano
che «lavorando si diventa più velocemente
gobbi che ricchi»!
Ai giorni nostri è la miseria generale generata dal mondo capitalista della produzione forsennata a curvare così sovranamente la schiena dello schiavo moderno sotto questo flagello laborioso.
Ai giorni nostri è la miseria generale generata dal mondo capitalista della produzione forsennata a curvare così sovranamente la schiena dello schiavo moderno sotto questo flagello laborioso.
L'ozio rimane il sogno impossibile del proletario
incatenato ad orari estenuanti, sventurato su cui incombe la
precarietà.
Il paese più «sviluppato», gli USA, ha compiuto un passo in più nell'abiezione creando una classe numerosa di working poor: la massa di coloro che devono sgobbare duro per non morire di fame senza poter sfuggire alla fame.
Il paese più «sviluppato», gli USA, ha compiuto un passo in più nell'abiezione creando una classe numerosa di working poor: la massa di coloro che devono sgobbare duro per non morire di fame senza poter sfuggire alla fame.
Infine, il lavoro è diventato la causa di tutti i mali
che affliggono la società spacciata per moderna e che si trova ad essere la più
degradante di tutte quelle che si sono susseguite dalla comparsa dell'uomo
sulla terra.
È al lavoro, ormai non solo inutile ma nocivo, che si deve l'inquinamento universale del globo terrestre ad opera dei prodotti industriali, chimici, farmaceutici, nucleari, eccetera.
L'avvelenamento generalizzato dovuto al lavoro forsennato degenerato in epidemie che si credevano scomparse e le malattie da prioni sono alcuni tristi esempi. La folle logica del profitto conduce «in modo naturale» alla pazzia in massa delle mucche altrettanto funestamente che all'estinzione delle specie animali e vegetali.
È al lavoro, ormai non solo inutile ma nocivo, che si deve l'inquinamento universale del globo terrestre ad opera dei prodotti industriali, chimici, farmaceutici, nucleari, eccetera.
L'avvelenamento generalizzato dovuto al lavoro forsennato degenerato in epidemie che si credevano scomparse e le malattie da prioni sono alcuni tristi esempi. La folle logica del profitto conduce «in modo naturale» alla pazzia in massa delle mucche altrettanto funestamente che all'estinzione delle specie animali e vegetali.
Sono anche le ricadute del lavorio alienato a
rendere l'acqua imbevibile e l'aria irrespirabile.
In
breve, non è l'ozio ad essere il padre di tutti i vizi, è il lavoro ad essere
il padre di tutte le decadenze.
Mens sana in
corpore sano, l'antico adagio dei nostri avi che invocano uno
spirito sano in un corpo sano non può concepirsi oggi senza fare appello alle
virtù della pigrizia.
È l'ozio che ormai occorre riabilitare in maniera urgente, contro coloro che ci derubano del nostro tempo, contro i vampiri che ci assassinano poco alla volta nel nome del mercato e dello Stato.
È l'ozio che ormai occorre riabilitare in maniera urgente, contro coloro che ci derubano del nostro tempo, contro i vampiri che ci assassinano poco alla volta nel nome del mercato e dello Stato.
Bisogna considerare l'ozio come una attività
creatrice, alla stregua della passione della distruzione
cara a Bakunin. Per l’irrimediabile nemico di un mondo che ci conduce alla
morte con la miseria del lavoro ed il lavoro della miseria, l'ozio serve nel
vero senso della parola la qualità del tempo ritrovato, di un presente che mira
a rivalorizzare i piaceri di una vita intensamente vissuta.
Morte al lavoro.
Facciamola finita con la noia di un mondo laborioso!
Testo di Attila Toukkour
Facciamola finita con la noia di un mondo laborioso!
Testo di Attila Toukkour
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Io ho sempre vissuto. Non ho mai lavorato.
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