Lotta alle fake news o censura del pensiero critico?
di Terra
Nuova
È
arrivato all'esame delle Commissioni Affari Costituzionale e Giustizia del
Senato il disegno di legge che prende il nome dalla sua prima
firmataria, Adele Gambaro. Obiettivo dichiarato? Lotta alle fake news.
Ma è proprio così? Giuristi ed esperti: «Alto rischio di deriva liberticida».
10 Agosto 2017
È
stato assegnato all'esame delle Commissioni Affari Costituzionale e Giustizia
del Senato il disegno di legge che prende il nome dalla sua prima firmataria,
Adele Gambaro. Obiettivo dichiarato: lotta alle fake news. Ma è proprio così?
C’è già chi ci ha visto profili di incostituzionalità, correttivi
legislativi parziali e grossolani, pericoli per la libertà di opinione e di
pensiero. Sono le preoccupazione che alcuni tra costituzionalisti, giornalisti
e attivisti hanno sollevato riguardo il Ddl Gambaro (QUI scaricabile il testo ) che
vorrebbe regolamentare la circolazione delle informazioni non veritiere online.
Proposito teoricamente nobile, ma occorre definire molto bene i confini per non
sconfinare nella censura travestita. A proporre una interessante analisi del
testo di legge è Valerio Onida,
ex giudice della Corte Costituzionale e già presidente della stessa Corte,
nonché docente universitario ed ex presidente della Scuola superiore della
magistratura.
«Si tratta di un testo
superficiale e non idoneo a normare ciò su cui si propone di intervenire, cioè
la “rete”, perché va addirittura a modificare i criteri di punibilità dei reati
solo perché il mezzo usato è differente» spiega Onida.
«L’articolo 21 della Costituzione è chiaro, parla di mezzi di
diffusione del pensiero, quindi la rete, come la carta stampata, la televisione
o la radio, deve avere gli stessi limiti e le stesse garanzie. Peraltro le
norme esistono già, si tratta solo di individuare tecnicamente le modalità più
idonee di applicazione.
Ma
partiamo dall’articolo 1: crea un nuovo
tipo di reato, quello riconducibile alla circolazione di informazioni
attraverso piattaforme informatiche o mezzi telematici, che viene differenziato
nel trattamento rispetto all’analogo reato dell’articolo 656 del codice penale
che colpisce “chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o
tendenziose, per le quali possa essere turbato l'ordine pubblico”. Poi nel
testo si introduce la novità della pena
anche per informazioni che riguardino dati o fatti manifestamente infondati o
falsi. Ma chi verifica?
Qui si introduce il “controllo pubblico” sulla verità o falsità dei
dati ed è inaccettabile. Sulla base di quali criteri assoluti mai si potrà
effettuare la verifica? Peraltro, sempre l’articolo 1 introduce una disciplina speciale
per la diffamazione, che però è già normata da codici e leggi. Anche qui ci si
chiede il perché».
Controllo
sulle opinioni
«L’articolo 2, poi, introduce aspetti pericolosi di controllo pubblico sulle opinioni e
sulle idee» prosegue Onida. Si legge infatti che la pena della reclusione non
inferiore a dodici mesi e l’ammenda fino a 5.000 euro sono previste anche per
chi “svolge comunque un’attività tale da recare nocumento agli interessi
pubblici o da fuorviare settori dell’opinione pubblica, anche attraverso campagne
con l’utilizzo di piattaforme informatiche destinate alla diffusione online“.
E
qui si inserisce anche la preoccupazione di numerosi attivisti, associazioni e
movimenti nazionali. «Temo che ci sia
il tentativo da parte di un soggetto istituito di silenziare la società civile
e le sue iniziative di controinformazione» dice Monica Di Sisto,
vicepresidente dell’osservatorio sul commercio e il clima Fairwatch, che sta
guidando la Campagna StopTtip in Italia.
«Per
punire il procurato allarme o per combattere le notizie false le leggi esistono
già.
Penso, invece, al Trattato
transatlantico di liberalizzazione commerciale tra Europa e Stati Uniti, il Ttip, e alla sua copia in minore per
interessi e fatturati che l’Europa ha sottoscritto e ratificato con il Canada,
il Ceta, come tutti i trattati
commerciali di ultima generazione. I loro testi sono riservati, noti solo ai
team tecnici che se ne occupano. Nemmeno i Parlamenti e i Governi degli Stati
membri sono obbligatoriamente coinvolti nell’andamento delle trattative.
Per conoscerli a fondo è stato prezioso pubblicare tutti i documenti ufficiali
che le realtà sociali, o altre fonti dirette o indirette, hanno via via
sottratto alla loro segretezza. Questa attività, fortemente criticata da molti
decisori politici, ha portato quasi 5 milioni di persone in tutta Europa a
schierarsi contro la loro approvazione. Ha spinto, inoltre, l’Ombudsman europeo
a imporre alla Commissione UE di rendere più accessibili i documenti,
permettendone la lettura prima della loro approvazione, almeno ai parlamentari
europei chiamati a votarli. Anche la senatrice Gambaro, per il suo ruolo
istituzionale, è chiamata a garantire i diritti costituzionali nella sua forma
più ampia e piena».
Attendibilità e verità
Ritornando
al testo del disegno di legge, il professor Onida si sofferma anche sull’articolo 6, che fa riferimento al potenziamento della formazione
professionale per i giornalisti per «prevenire il rischio di distorsione delle
informazioni o di manipolazione dell’opinione pubblica». «Anche in questo caso
si rischia di definire informazione solo ciò che sta bene al potere pubblico,
che decide pure come presentarla» aggiunge Onida.
«Anche
l’articolo
7 ripropone un’inaccettabile controllo dall’alto di verità. Si mette in carico
ai gestori delle piattaforme informatiche l’obbligo di verificare
l’attendibilità e la veridicità dei contenuti diffusi. Ma com’è
pensabile? È uno strumento di controllo autoritario e illegittimo. E suona
analogo anche l’ultimo articolo del disegno di legge, il numero 8, che prevede
che la Commissione parlamentare per
l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi
monitori “gli standard editoriali delle piattaforme informatiche destinate alla
pubblicazione e diffusione di informazione con mezzi telematici delle emittenti
radiotelevisive pubbliche».
«Le ricette proposte dai firmatari del
disegno di legge sono anacronistiche, inattuabili, inefficaci e, soprattutto ad
alto rischio di deriva liberticida» ha scritto dal suo blog
su Il Fatto quotidiano , Guido
Scorza, docente di diritto delle nuove tecnologie.
«Difficile
astenersi dal ricordare ai firmatari del disegno di legge » aggiunge Scorza,
«che era
il 2000 quando l’Unione europea stabilì un principio che è caposaldo di
civiltà, libertà e democrazia online diametralmente opposto a quello che loro
vorrebbero veder introdotto nel nostro ordinamento: il divieto, per tutti i
Paesi membri dell’Unione europea di imporre ai cosiddetti “intermediari della
comunicazione” qualsivoglia obbligo generale di sorveglianza sui contenuti
pubblicati dai propri utenti. Un divieto che ha una spiegazione
semplice e di straordinaria importanza: se lo Stato chiede a un soggetto
privato di verificare ciò che i propri utenti pubblicano attraverso i propri
servizi, questo soggetto, a tutela del proprio portafoglio, inizierà a limitare
e restringere la libertà dei propri utenti di dire ciò che pensano online,
sacrificando così l’idea che Internet possa rappresentare quella grande agorà
democratica – che non significa né Far West, né zona franca senza regole –
della quale tutti avvertiamo un gran bisogno».
Giovanni Ziccardi, professore di informatica giuridica all’università di
Milano, ritiene
il disegno di legge «inopportuno, pericoloso e censorio». «Nasconde
le sue reali intenzioni di controllo del dissenso. Lo trovo soprattutto
impreciso, sia dal punto di vista tecnico che giuridico. Punta a soffocare il
dibattito in rete caricando di responsabilità, burocrazia e sanzioni utenti e
provider. Dall’altra parte “salva”, per molti versi, i due principali vettori
di odio, notizie false e disinformazione di oggi, cioè molti grandi media e
politici. Ed equipara fenomeni eterogenei tra
loro che richiedono, invece, regolamentazioni specifiche. Infatti nella
relazione introduttiva si fa riferimento a “fake news”, a espressioni che
istigano all’odio e alla pedopornografia. Tre universi molto diversi tra
loro».
«Non
voglio cercare di indovinare le intenzioni dei deputati, ma stando a ciò che ho
letto mi pare una chiara deriva
autoritaria, che sia voluta o inconsapevole» dice Federico Pistono , laurea in informatica,
un master nel centro ricerche della Nasa, scrittore e co-fondatore di Axelera,
che si occupa di divulgazione nell’ambito delle nuove tecnologie.
«O
sanno come funziona internet e vogliono censurarlo o non sanno come funziona e
sono incompetenti; in entrambi i casi non va bene. Di fatto, si prevedono pene per chi esercita il senso
critico; per esempio, chi mette un dato vero e una propria opinione che magari
molti altri condividono ma che non è mainstream, può venire processato e
condannato per quello.
Tutto ciò non ha nulla a che fare
con l’educazione e la sensibilizzazione della popolazione a verificare le fonti
di ciò che legge e a pensare con la propria testa».
di Terra Nuova
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-SIAMO IN UNA DITTATURA SPIETATISSIMA Fino a 6 anni di carcere a blogger, facebooker e cittadini per una semplice “offesa”!!!
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