venerdì 16 maggio 2014

Google festeggia il suo 15esimo compleanno potenziando il proprio cervello: e il nostro che fine farà?

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Google ha compiuto 15 anni venerdì scorso.  È stato un po’ come un fulmine a ciel sereno apprendere la notizia. Perché quindici anni, in questo caso, appaiono davvero un lasso di tempo molto breve per l’effetto rivoluzionario che Google ha avuto sulle nostre vite. In effetti il gigante dei motori di ricerca è entrato a far parte della nostra esistenza in maniera così dirompente che sembra ci accompagni da sempre. La televisione ha impiegato decenni per cambiare le nostre abitudini e condizionare  le dinamiche all’interno delle mura domestiche e nei comportamenti sociali. Invece Google, in soli 15 anni, ha modificato radicalmente il modo in cui conosciamo le cose, come pensiamo, lavoriamo e comunichiamo. Fino a  cambiare addirittura la percezione che abbiamo di noi stessi.

Chiunque usi la rete per diffondere informazioni di qualsiasi natura rischia di cadere nella trappola della vanità e soffrire di ansia da prestazione. E ciò contribuisce a falsare gran parte di quello che facciamo. Chi di noi non ha creato un Google Alert con il proprio nome? Chi di noi non cerca di carpire come ci vedono gli altri o cosa si dice sul nostro conto? E chi di noi non si è mai sentito “in obbligo” di commentare pezzi o affermazioni altrui, facendo leva sul proprio ego piuttosto che stare all’oggetto del dibattito?

Dai, sputiamo il rospo. Anche i più distaccati in fondo sono vittime di questi meccanismi. Misuriamo ormai la qualità dei nostri interventi con il sensazionalismo verbale. Quindici anni fa per ottenere una discreta popolarità bisognava puntare alla qualità, senza mutilare gli argomenti o falsare pensieri.

Poi per “farsi una cultura” ormai, sembra di per sé sufficiente inserire la parola chiave nel motore di ricerca, cosicché Google ci offra un ventaglio smisurato di possibilità di esplorazione. Ma c’è una grande differenza tra le informazioni su misura confezionate da Google e la conoscenza approfondita. Credo risieda non tanto nel risultato finale della nostra ricerca, bensì nell’illusione che tale approccio genera. Crediamo  in tal modo di avere a portata di click il controllo del mondo che ci circonda, ma alla fine, intorno a noi, regna sempre più sovrano il caos. E non ci rendiamo conto di essere a nostra volta controllati e guidati nelle scelte. La natura umana è così ridotta a preferenze e abitudini. Digitiamo parole chiave per ogni cosa, impoverendo  il significato profondo della natura umana.


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Per ovviare a questo limite, Google che fa? Migliora l’algoritmo con l’obiettivo di “riuscire a rispondere velocemente e in modo esauriente alle nostre richieste sempre più complesse, lunghe, articolate”. Pare che i cervelloni di Google stiano infatti lavorando affinché l’algoritmo “capisca il linguaggio umano nella sua espressione spontanea, naturale, anche ambigua o confusa”. Che “bello”, ci toglieranno anche la fatica di trovare l’associazione di parole più adatta per individuare la risposta più attinente. Un giochino che mi è sempre piaciuto fare. In poche parole, parleremo con Google come parliamo con la nostra vicina di casa: “senti Betta, dove posso trovare un negozio che venda ortaggi cinesi e che non stia in una zona centrale della città?”

Tutto ciò in nome della facilitazione. Cosicché, dopo aver carpito tonnellate di informazioni sul nostro conto, orde di App ci renderanno tutto più facile e veloce. Che bello avere un telefono che mi accompagna passo a passo e mi guida l’esistenza. E che magari, mentre vado a scuola a prendere i miei figli, mi dice di svoltare a destra, percorrere duecento metri e raggiungere la libreria, quella che, guarda caso, ha proprio il genere letterario che amo.

Saremo, così, telecomandati. La magra consolazione è rappresentata dal fatto che i canali scelti saranno i nostri preferiti. Grazie cervelloni di Google, state lavorando per noi! Affinché i nostri cervellini rimangano tali e, magari, quelli delle nuove generazioni crescano abituati a non fare neppure la fatica di imparare a leggere un indice.

Google ha inoculato nella società un sentimento dominante:  ciò che non può essere “Googlato” non ha valore ed è considerato una fonte inaffidabile. Così facendo ha quantificato la nostra vita interiore e preparato il terreno per la computerizzazione della nostra intelligenza emotiva.

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