giovedì 1 febbraio 2018

Il bluff della genetica e dello “scientificamente provato”

Il bluff della genetica e dello “scientificamente provato”

Tullio Simoncini
Ogni problema clinico è o dovrebbe essere prima di tutto un problema teorico, su cui costruire un percorso che porti alla risoluzione di una determinata entità morbosa, cioè ad un’idonea terapia.

Una volta individuata la causa della malattia, l’atteggiamento terapeutico, cioè pratico, dovrebbe discendere da questa.

Ahimè, nell’oncologia odierna questo non accade, in quanto nessuno, né in campo ufficiale né nelle cosiddette medicine alternative, si dà pena di concepire un soggetto logico specifico che sia all’origine delle malattie neoplastiche.

Nonostante questa carenza fondamentale nella valutazione di una teoria o di un sistema terapeutico riguardante i tumori, oncologi e ricercatori mettono al primo posto il concetto di “scientificamente provato”, l’unico e imprescindibile lasciapassare che consenta di accettare o scartare qualsiasi proposta di studio o di terapia...

Schematicamente il concetto si fonda su alcuni semplici principi, di derivazione galileiana o più recentemente popperiana, che devono essere osservati da chi voglia progredire nel cammino della scienza; essi sono:
1. La formulazione di un’ipotesi susseguente all’osservazione di un fenomeno o di più fenomeni combinati

2. La riproduzione e lo studio del fenomeno in modo che possa essere analizzato

3. La formulazione di una legge o di un giudizio che descriva il fenomeno e che consenta di dare predizioni e di indirizzare l’azione dello scienziato

4. La condivisibilità dei risultati ottenuti con tutti gli altri ricercatori; il fatto cioè che anche altri possano usufruire di ciò che è stato scoperto o acquisito per ulteriori studi, verifiche e applicazioni...
Chi potrebbe dissentire da tutto questo? Chi potrebbe rifiutare una tale garanzia per il mondo scientifico e per la società?
Nessuno si sognerebbe mai di deviare da una simile impostazione!

Uno scienziato che tralasciasse di seguire un simile metodo di studio, non solo non andrebbe lontano nella ricerca, ma sicuramente sarebbe destinato unicamente al soliloquio.
In realtà l’oncologia attuale fa acqua da tutte le parti, e a nulla vale aggrapparsi alla scrupolosità del metodo scientifico, quando i risultati fruibili continuano ad essere latitanti da decenni.

Qual è la causa di un simile fallimento? Quali sono i problemi e i fraintendimenti di un simile stato di cose?
Senza dubbio la mancanza di linee direttive e di sistemi di pensiero innovativi!

Al principio una teoria possiede un’attività rivoluzionaria dirompente, e quindi di arricchimento dell’apparato concettuale precostituito. Questo almeno nelle prime fasi, quando cioè è in grado di fornire (almeno in potenza) delle interpretazioni sufficientemente esplicative della realtà da studiare, e comunque in una misura maggiore delle teorie precedenti.

Se però una teoria non a potuto fornire in un tempo ragionevole, tutte o quasi, le spiegazioni dei fenomeni studiati, scivola inevitabilmente in un piano di chiusura e di aridità tale, da consentire solo studi ed esperimenti infruttuosi e ripetitivi.

Diventa una teoria morta, benché gli studi e sperimentazioni continuino ad essere effettuati.


Quello che avviene è una sconnessione, tra l’idea iniziale e i concetti di ordine inferiore e i relativi esperimenti; in una dinamica in cui l’idea portante si allontana sempre più verso una dimensione metafisica, dove viene riposta come fatto ormai acquisito, al riparo di ogni critica e verifica.


A questo punto le ipotesi sussidiarie, unitamente alla congerie di esperimenti infruttuosi, tendono ad amplificarsi inutilmente fino all’infinito.
Si prenda come esempio l’ipotesi metafisica “Il dio Visnù esiste, perché guarisce le sue creature con gli elementi dell’universo, con il sole, con l’acqua e con la terra”, e si cerchi in qualche modo di dimostrare scientificamente che ciò corrisponda a verità.

Cosa farebbero gli scienziati per avallare questa ipotesi? Indubbiamente predisporrebbero due filoni di ricerca, uno epidemiologico e uno più specificatamente d’ordine chimico e fisico, di dimensioni più o meno grandi, in dipendenza delle sovvenzioni più o meno planetarie acquisite.

Sicuramente negli stati più ricchi, come ad esempio gli Stati Uniti, si incomincerebbe a calcolare l’intensità della luce o il suo indice di rifrazione in rapporto alle varie zone del territorio, in rapporto inoltre alla media misurata dell’altezza e del peso di un certo numero di individui presi a campione nelle diverse città; si estenderebbero poi gli studi epidemiologici, in diverse zone dello stato, alla composizione dell’acqua e della terra in rapporto alla circonferenza dell’addome o degli arti degli individui e via dicendo.

In laboratorio si studierebbero invece le variazioni molecolari di ciascun processo metabolico in rapporto alla magrezza o all’obesità degli individui studiati, come pure le differenze genetiche dei vari recettori favorenti un metabolismo alterato e via dicendo.

L’unica garanzia richiesta in questa pianificazione sperimentale è quella di osservare il massimo rigore metodologico, con particolare riguardo all’accuratezza delle misurazioni, all’adozione di criteri valutativi accettati (margine di errore, intervallo di confidenza, livello di evidenza, scrupolosità nelle interviste, analogie con pubblicazioni su riviste scientifiche accreditate eccetera), alla prerogativa di ripetitività degli esperimenti e quindi alla condivisibilità dei risultati raggiunti con il mondo accademico del pianeta.

Benché l’esempio del dio Visnù sia palesemente assurdo, la procedura descritta si potrebbe applicare al tentativo di dimostrazione della teoria genetica.

La dimostrazione è impossibile quanto lo sia dimostrare l’esistenza di Visnù misurando e studiando il mondo in lungo e in largo.
Entrambi restano oggetti di fede.

Questo affermazione risulta chiara da alcune semplici considerazioni: le asserzioni di base su cui ruota il sistema di pensiero della ricerca e della teoretica oncologica sono due.

La prima ipotizza che l’accrescimento incontrollato dipende da un’alterazione dei meccanismi di crescita causata da una degenerazione e quindi da un malfunzionamento dei geni. 

L’altra di ordine descrittivo, afferma che il tumore è una massa di cellule che tende ad accrescersi sempre di più.


Dato che la seconda è la descrizione di un fatto, e la prima un’ipotesi che intende dimostrarlo, è necessario un ulteriore passo interpretativo. Viene confezionata un’altra ipotesi che entri più in dettaglio: l’alterazione della crescita cellulare: è dovuta ad un fenomeno d’esagerata moltiplicazione cellulare.

Quest’ipotesi a sua volta necessita d’ulteriori elementi di spiegazione: quali sono le cause che determinano questa moltiplicazione incontrollata?

L’ulteriore ipotesi esplicativa è che venga determinata da un malfunzionamento di alcune sezioni del DNA, dei geni. In particolare quelli preposti alla produzione di quelle molecole necessarie alla moltiplicazione cellulare.
Il malfunzionamento quindi viene attribuito (altra ipotesi) ad un danno molecolare o piuttosto ad un’infinita e al momento sconosciuta serie di danni molecolari:

Perché avvengono questi danni però, quali sono i fattori che li determinano? Ulteriori ipotesi esplicative individuano una serie di possibili emittenti di alterazioni molecolari in funzione iperplastica, quali: fattori di crescita, ormoni, sostanze tossiche, radiazioni, virus, carenze alimentari, fattori ereditari, disfunzioni immunitarie, eccessivi carichi di stress neuropsichico ed altro.

Delle 14 asserzioni ipotetiche citate, è chiaro che le prime 4 sono più squisitamente teoriche, mentre le altre possono, rientrando in un ambito più specifico, essere oggetto di sperimentazione.
La qual cosa appare subito un’impresa sovrumana, dal momento che gli elementi da studiare sono infiniti; basta pensare a tutti gli enzimi e le proteine che viaggiano dentro una cellula, o alla miriade di sostanze con azione tossica su di essa.

Inoltre, ad un’analisi più approfondita della prima asserzione base, che il tumore sia dovuto ad un’alterazione dei meccanismi di crescita, si evidenzia che essa è composta di diversi concetti.
· Quello implicito, tacitamente dato per scontato, che la massa di cellule tenda intrinsecamente ad accrescersi sempre di più.
· L’ipotesi che ciò avvenga per un malfunzionamento dei geni
· L’ipotesi che ciò sia causato da una loro degenerazione su base molecolare..
· L’ipotesi che il malfunzionamento determini una moltiplicazione cellulare incontrollata.

Non è quindi da dimostrare solo l’asserzione base, ma anche le sue proposizioni costituenti.

Conseguentemente, gli esperimenti possono essere condotti per ciascuna proposizione costituente, con il risultato di rimanere ciascuno confinato e non comunicante con gli altri, anche per l’infinità degli elementi che possono entrare in gioco.

Ad esempio, una linea di esperimenti può interessare le caratteristiche dell’accrescimento cellulare, come l’entità misurabile, il grado o la qualità dei sottotipi in riproduzione, la relazione differenziale rispetto ai differenti tipi di cancro e così via.
Una seconda impostazione di ricerca potrebbe riguardare quali geni sono mal funzionanti in rapporto alle varie neoplasie, in modo da essere classificati come oncogeni. Oppure la sinergia di vari raggruppamenti genici da studiare in un periodo di tempo molto lungo, anni o decenni, compreso il processo di immortalizzazione in vitro in rapporto alla cancerogenesi.

Un imprescindibile piano d’indagine imprescindibile sarebbe anche quello dedicato allo studio degli innumerevoli fattori tossici in grado di determinare alterazioni molecolari.

Da quanto esposto si capisce chiaramente perché la teoria genetica del cancro non arrivi mai ad una conclusione ed a risultati positivi: perché, sperimentando all’infinito infiniti fenomeni, può essere solo inconcludente, cioè non fruibile nella realtà.
Genetica e cancro non hanno niente a che vedere l’uno con l’altra!

Oppure, come dice Hume: “Una dimostrazione o è irresistibile o non ha nessuna forza”.

Aggiunge Heidegger: “…Un fiume di parole su un argomento non fa che oscurare l’oggetto da comprendere, dando ad esso la chiarezza apparente dell’artificiosità e della banalizzazione.”

La conclusione che dobbiamo trarne è che il metodo sperimentale, anche se utilizzato nel migliore dei modi, non porta a nessun risultato, quando “serve” un’idea vuota, metafisica, non dimostrabile né ora né mai.

È quindi inutile nascondersi o vantarsi di possedere un metodo scientifico di garanzia. Se questo è acefalo; sta sullo stesso piano, anche se è più forbito, della ciarlataneria di chi cerca di individuare la cura del cancro col “pendolo” o con l’imposizione delle mani.

Ma, prima di rifiutare la genetica, conviene capire le sue condizioni di veridicità, in modo da smascherare per sempre la sua fallacia e di conseguenza l'improponibilità di sistemi terapeutici ancorati nel vuoto.

Cosa è quindi la genetica? Cosa propone? Su quali certezze si fonda? Cosa dicono i sacri testi? Quali certezze offre ai malati?

E’ bene sottolineare che queste non sono questioni teoriche, ma i presupposti essenziali cui si fondano le terapie oncologiche ufficiali, che risulterebbero squalificate una volta dimostrata l’inconsistenza dei principi e delle deduzioni della genetica. La dimostrazione dell’infondatezza delle sue posizioni avrebbe come conseguenza la scomparsa delle terapie oncologiche attuali e con essi i tanto faraonici quanto inutili programmi di ricerca, capaci di partorire solo oceani di se e di condizionali pericolosi.

Per capire meglio le dinamiche sottese ad una proposta di terapia antitumorale, conviene però chiarire i contenuti di un ideale dialogo tra un oncologo e un paziente.

Paziente: Dottore, perché dovrei operarmi, fare la chemioterapia e la radioterapia?

Dottore: Perché, vede, c’è una cellula che ha incominciato a proliferare e a riprodursi senza controllo, in quanto alcuni suoi geni hanno assunto delle caratteristiche tali da non avere più un freno a trasmettere i segnali di riproduzione, che tende ora all’infinito.
Se noi riusciamo a distruggere la massa di cellule degenerate con la chemioterapia, la radioterapia, o mediante escissione chirurgica, riusciamo ad avere risultati altamente positivi.

P: Quindi tutto il problema sta nel distruggere le cellule malate?

D: Certo, e questo oggi è un obiettivo che possiamo tentare di raggiungere in diversi modi. Vede, oggi la ricerca ha fatto dei passi da gigante: accanto alle terapie accennate, esiste l’immunogenetica con l’immunoterapia attiva, la terapia genica e gli anticorpi monoclonali; l’ormonoterapia, efficace specialmente in tumori ormono sensibili come quello della mammella o della prostata; la terapia anti angiogenica che, impedendo la generazione di nuovi vasi verso il tumore, tende a farlo regredire come “per fame”. Non dimentichiamoci di tutta una serie di sostanze immunostimolanti, capaci di modificare e potenziare la risposta del sistema immunitario nei confronti di quelle cellule che sono sfuggite al processo di regolazione della crescita.

P: Indubbiamente c’è da stare tranquilli di fronte ad una conoscenza scientifica così avanzata, che scende così nel profondo e nell’intimità dei più delicati meccanismi cellulari di riproduzione.

D: Certo, pensi ad esempio che con gli anticorpi monoclonali si è in grado di colpire con estrema precisione un singolo peptide o una singola proteina anomala, come se si usasse un micro-laser o un micro-bisturi; pensi che attraverso la terapia genica siamo in grado di trasferire un gene suicida nelle cellule malate, in modo da esporle più facilmente alla distruzione di un farmaco antineoplastico ecc. ecc.

P: Nella combinazione delle componenti terapeutiche più adatte al mio caso, posso quindi sperare di trovare una soluzione vincente; spero solo, dottore, che lei riesca ad individuare ciò che realmente è più opportuno per la mia malattia.

D: Stia tranquillo, utilizzando tutte le nuove metodiche di indagine e avvalendomi dell’opera del fior fiore degli specialisti del settore, sono sicuro che sarà trovata la strada migliore per risolvere il suo caso.

P: Fiat voluntas Dei.

Dal dialogo presentato, emergono tre punti significativi:

- Tutte le terapie si basano su una presunta degenerazione dei geni, responsabile a sua volta della riproduzione incontrollata delle cellule.
- I metodi degli studi e della ricerca, seguiti peraltro da un imponente stuolo di scienziati, appaiono effettivamente molto avanzati e sofisticati.
- Il paziente può contare sull’opera di un folto numero di specialisti, in grado di avvalersi di strutture e strumenti altrettanto speciali.

Ci si domanda allora: Questo basta? È questa una garanzia per la salute dei malati di cancro?
La chiara risposta è: “Assolutamente no, perché è tutto falso!” A niente valgono le parate di grandiosità se queste si basano non su certezze, ma su ipotesi da convalidare.

Nessuno mai, infatti, ha dimostrato il nesso tra iperproduzione cellulare e cancerogenicità, tra mutagenesi e trasformazione maligna, tra effetti iperproduttivi cellulari determinati in vitro e tumori presenti in pazienti in carne ed ossa.
Un conto è la realtà del laboratorio, un’altra è la realtà della vita.

È inaccettabile che la medicina ufficiale presenti le inconsistenti posizioni teoriche oncologiche come dotate di verità e di una struttura logica accettabile, mentre si sa che sono fallimentari a priori.

Si prenda ad esempio, quanto riportato in “Medicina Oncologica” (Bonadonna G. Robustelli G, Ed CEA,. Milano 1999):

A pagina166, spiegando il processo di metastatizzazione, si legge: “Da quanto esposto risulta evidente che, al di là dei fattori meccanici (dimensioni cellulari e del canale vasale, deformabilità cellulare), la selettività per specifiche sedi vascolari è legata ai meccanismi di adesione alle pareti vasali, al tipo di enzimi degradativi prodotti dalla cellula neoplastica e di enzimi inibenti presenti nel tessuto invaso, ai fattori chemiotattici e aptotattici che guidano l’insediamento della singola cellula nei siti ottimali per la proliferazione, ai fattori di crescita autocrini e paracrini e la possibilità di iniziare a mantenere il processo angiogenico.”
Ciò che risulta evidente è che ciò che viene qui asserito, era già stato bocciato altrove.

Nella stessa pagina, riguardo al meccanismo di migrazione e crescita su base vascolare si riporta: ”Non sono note le basi molecolari del fenomeno…”
E ancora: a pagina 160: “Il processo di angiogenesi infine avviene quando è già avvenuta la metastatizzazione.

Ricapitolando, la frase “risulta evidente” è corredata da risultanze solo negative, quindi è sostanzialmente falsa, come del resto tutta l’oncologia, la cui teoretica prevede in sintesi i seguenti fattori (fenomeni) patogenetici:

A) Alterazioni dei geni e dei cromosomi
B) Alterazioni molecolari
C) Trasformazione cellulare neoplastica mediata dagli ormoni
D) Trasformazione cellulare neoplastica mediata dai fattori di crescita
E) Trasformazione cellulare favorita da uno stato di immunodeficienza

L’ipotesi della proliferazione incontrollata (IP) dipenderebbe quindi dal concorso dei cinque fattori menzionati in precedenza.
a. Nel primo caso la proliferazione incontrollata sarebbe spiegata dal fenomeno A, a sua volta spiegato dal fenomeno B e così via fino all’ultimo fattore.
b. Nel secondo caso sarebbe spiegata con la contemporanea azione di tutti i fattori in gioco.

Schematicamente:
1) IP ¬ A ¬ B ¬ C ¬ D ¬ E
2) IP = A + B + C + D + E

Si consideri però quanto viene riportato sul trattato citato in precedenza riguardo ai fattori menzionati.

Fattore A: pagina 7, 3°capoverso. “Il meccanismo attraverso il quale avvengono alterazioni cromosomiche è tuttora sconosciuto.”

Fattore B: pagina 137 ultimo capoverso. “Un uso più diretto delle lesioni molecolari, in senso terapeutico, appare oggi ancora incerto.”

Fattore C:
pagina 385. “…le varie metodiche impiegate nel tentativo di discriminare le forme ormonodipendenti, sia del carcinoma mammario che di altre neoplasie, non hanno dato cheindicazioni approssimative.”

Fattore D: pagina 124 fine. “Malgrado l’interesse biologico di questa classe di proto-oncogeni, nessun fattore di crescita si è dimostrato fino ad ora strutturalmente coinvolto in lesioni genetiche dei tumori umani”.

Fattore E: pagina 157. “…la terapia immunologica specifica dei tumori umani, che è lo scopo ultimo di ogni ricerca di immuno-oncologia, è ora più potenziale che attuale…”

Ne risulta che, secondo il modello multifasico (consequenziale), l’ipotesi di base IP viene spiegata con il fenomeno ignoto A, che viene spiegato con il fenomeno B, anch’esso ignoto, che viene a sua volta spiegato con il fenomeno ignoto C, spiegato con il fenomeno ignoto D, spiegato con il fenomeno ignoto E…a questo punto potrebbe essere aggiunto un qualsiasi numero n di fenomeni ignoti.

Nel secondo caso l’ipotesi IP viene invece spiegata mediante il concorso di molti fenomeni insieme (A, B, C, D, E, n), anch’essi però tutti ignoti.

Da quanto esposto risulta chiaro che, quale che sia il metodo di spiegazione adottato, dato che tutti i fattori sono ignoti, l’ipotesi principale dell’oncologia ancorata al mirabile meccanismo della multifattorialità - capace di spiegare tutto senza conoscere niente - rimane solo un mistero.

Di fronte ad una logica così illogica, viene da pensare se la formulazione dell’ipotesi fondamentale dell’oncologia possegga i requisiti di una proposizione razionale. Se cioè almeno corrisponda descrittivamente alla verità.

Ma qui si scopre la sorpresa:
“Un tumore è costituito da popolazioni diverse dal punto di vista cinetico. Le cellule proliferanti sono spesso una minoranza…Nei tumori solidi, invece, il ritmo esponenziale di crescita si verifica solo nella fase iniziale della vita del tumore” 
(Bonadonna Robustelli, pagina72).

Il principio o ipotesi fondamentale su cui poggia tutta l’oncologia, quindi, è palesemente falso perché:
È privo di una verità di ragione, perché non poggia su un principio di non contraddizione:

L’iperplasia (l’aumento anormale delle cellule) è e non è ammessa allo stesso tempo.

È privo di una ragione sufficiente poiché, essendo tutti i fatti o fenomeni esplicativi ignoti, non esiste nessuna ragione di fatto.

Dice Aristotele: “D’altronde, è proprio sapendo che un oggetto è, che noi cerchiamo perché esso è; risulta invece difficile cogliere un oggetto, … quando non si sa che esso è.” 22

Commenta Schopenauer: “A che giovano spiegazioni, che da ultimo conducono ad un termine altrettanto sconosciuto quanto il primo problema?” 23

In conclusione, un fatto inesistente viene spiegato con fenomeni ignoti, tanto più che l’ipotesi portante di una causalità genetica in senso iperproduttivo neoplastico si riduce ad una forzatura. Al fatto cioè che i meccanismi preposti alla normale attività riproduttiva cellulare del corpo - per intendersi quella di tutti i giorni - per cause imprecisate assumerebbero in un determinato momento un atteggiamento svincolato rispetto alla globale economia tessutale.

Quando li si considera in un ottica deviata, gli stessi geni allora che normalmente svolgono un ruolo positivo nella riproduzione cellulare, vengono chiamati proto-oncogeni, Quelli che invece inibiscono la riproduzione sono chiamati geni soppressori o oncogeni recessivi.

Ad esempio il gene da cui dipende normalmente l’ormone tiroideo, secreto tutti i giorni, ad un certo momento, senza un perché - ed è qui che sta il mistero che regge tutta la ricerca - diventa anomalo, con ripercussione sui cicli di crescita.

È un po’ come ipotizzare che la bocca, un organo preposto all’assunzione e alla masticazione del cibo, in un determinato momento della vita fosse utilizzata per mordere e masticare le proprie mani.

Ma se i processi della malattia sono ignoti, l’ipotesi di base dell’oncologia non ha riscontro fattuale nella realtà, perchè il presupposto dell’ipotesi è una forzatura cioè un’invenzione. In pratica se tutti i livelli del sistema sono falsificati, non si capisce perché si debba continuare a sostenere un’idea totalmente fallimentare.

I misteriosi e complicati fattori genetici, la mostruosa capacità riproduttiva di un’entità patologica capace di scompaginare qualsiasi tessuto, l’implicita ancestrale tendenza dell’organismo umano a deviare in senso autodistruttivo - e altre simili argomentazioni condite con una notevole quantità di "se" e di "forse" di valore esponenziale - non possono ormai accontentare più nessuno. Sono solo delle farneticazioni.

Perché gli scienziati continuano a propugnare un’idea così infondata? Che cos’è che spinge uno studioso a continuare a professare una teoria così strampalata?

L’unico motivo veramente logico può essere solo la forza dell’abitudine,

Scrive Kant: “Laddove…dovrebbe a dirittura ammutire, e confessare la propria ignoranza…ritiene come noto ciò che gli è, per un uso frequente, familiare…si immagina di vedere e sapere ciò che le sue apprensioni e le sue speranze lo spingono ad ammettere e a credere.” 24

Questo comportamento è simile alla storiella dell’ubriaco che cerca qualcosa sotto un lampione.

Un passante gli chiede: “Ha qualche problema?”
L’ubriaco: “Ho perso la chiave.”.
- “Dove l’ha persa?”
- “Dall’altro lato della strada”
- “Ma che cosa ci fa qui allora?” chiede stupito il passante
- “Beh almeno qui c’è la luce”.

È così che funziona la scienza: si guarda dove c’è luce perché è l’unica cosa che possiamo fare.”

In questo modo “…L’errore può dominare per secoli, imporre a popoli interi il suo giogo di ferro…”(A. Schopenauer cit. pag. 59).
Tratto dal libro del Dott. Tullio Simoncini “Il cancro è un fungo”


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