L’anima: non facciamocela rubare
A volte accade. Accade che ad un certo punto nella vita, ti puoi
accorgere che qualcosa dentro di te
si è fermato. E’ andato in una sorta di stasi, forse travolto
dalla legge di minor resistenza e si è accomodato
sui binari della convenzione, della comodità, di quella “comfort zone” che a volte si presenta
in modo estremamente subdolo, travestita da sfida.
Quando
senti questa cosa, credo sia venuto il
momento di fermare qualunque gioco, qualunque boccia sia
presente a mo’ di rolling stone
sul tappeto verde del quotidiano dipanarsi di quel gomitolo che, se stai ben
attento, si riavvolge sempre dal lato
opposto a quello da cui lo stai sciogliendo.
C’è
un momento in cui tutti rimpiangiamo qualcosa di passato, apparentemente perso.
E non sto parlando di quel vigore giovanile che tristemente si rievoca dopo la
mezz’età, ma quella sorta di magia
che sapevamo di avere in noi e che ad un certo punto, tanto
lentamente che non sappiamo identificare il momento preciso in cui è
avvenuto, abbiamo perso.
Non c’entra la gioventù fisica: c’entra la possibilità di essere liberi in un certo punto
dentro di noi, in quel misterioso campo che è l’anima.
Ecco,
dell’anima volevo proprio parlare. Di quella
parte che contiene in sé la nostra libertà e la nostra qualità principale.
Una parte che bisogna stare ben attenti
a non farsi rubare, perchè il suo furto coincide, alla lunga, con quel
progressivo spegnersi, quella stasi che, pur se davvero a volte sotto mentite
spoglie, finisce per decretare la
vera morte, quand’anche il corpo e la mente se ne vadano in giro più
indaffarati che mai.
Ma chi te la ruba l’anima? Alla
fine a ben vedere, solo coloro ai quali, più o meno consciamente, attribuisci il potere di farlo. Solo che a volte non
sai che stai dando a qualcuno il patentino di “captain of your heart“, di ragione di vita. Ma questo non
implica che tu non lo stia davvero facendo. Da quel momento la tua anima è
prigioniera, o meglio sarebbe dire ostaggio. Ma comunque si voglia definire la
situazione, l’importante è che non la possiedi più. Ce l’ha il marito, la moglie, l’amante, il padre o
la madre, persino il cane. Ma non tu.
Guardarsi
dentro, ascoltarsi in profondità: questo è l’unico modo che abbiamo per accorgerci che quella libertà al nostro
interno è andata persa. E se si perde la libertà dentro, quella
fuori sparisce completamente. E inizia la
paura di perdere.
Di
perdere l’amore, l’amante, il denaro, le comodità, gli affetti… ma alla fine la
paura è sempre quella. Come diceva un mio fratello: la paura di perdere il paradiso.
Abdicare
sé stessi all’autorità, sentimentale, spirituale (o qualunque altro tipo di
punto di riferimento) altrui, significa
perdere la propria anima. E’ il proverbiale patto col diavolo
e, come tale, viene proprio firmato con il sangue, quello stesso sangue che permea tutto il nostro corpo ed è il traslatore di
energie sottili ben oltre il lato fisico.
Ci sono persone che fanno questo di mestiere: rubare l’anima al prossimo. Perchè così la loro (anima) è l’unica che c’è. Una perversione del potere, della concezione di unicità della vita e dell’energia che, è vero, alla fine è solo una. Ma questo non da a nessuno l’autorità e tanto meno la spirituale giustificazione, di privare qualcun altro di quell’afflato con la cui eredità è venuto al mondo.
Alla
fine rubare l’anima, coscientemente o meno, credo sia la peggiore opera al nero
che chiunque possa compiere, che lo faccia consapevolmente oppure no. Tutto è
uno, presumo non possa essere diversamente (magari lo avessi realizzato), ma
proprio per questo nessuno può
avocare a sé stesso tale unicità. E mi par logico: anche
un bambino capisce che nell’istante in cui avochi a te stesso l’unico diritto
all’esistenza stai de facto sovvertendo il concetto stesso di unicità.
Tu non sei l’unico ad avere il
diritto di esistere. E se per rivendicare questo diritto rubi
l’anima agli altri… mi pare ovvio che stai
facendo il gioco di quell’oscurità di cui questo pianeta, forse, non ha proprio
più bisogno, al netto del suo andazzo karmico.
Ed ecco il colpo di scena: l’anima
non si può rubare.
Si possono solo rubare gli occhi con cui la guardiamo.
Come dire che il diavolo è il supremo
mentitore e in questo caso la
menzogna è quella di farci credere che la nostra anima non esiste,
non esiste più, oppure non è degna di essere chiamata tale.
Così si rubano gli occhi dell’oracolo (che poi sono i
nostri). Quindi,
nell’istante stesso in cui ci accorgiamo che la nostra anima è sparita, è
inutile cercare il ladro, perchè non ne esiste uno vero.
La nostra anima non può
abbandonarci ma noi possiamo aver smesso di
guardarla, per un milione di motivi.
Quello
che conta però è tornare a guardarla. Perchè la nostra anima, il nostro
spirito, è sempre lì. Quel puntino di
luce che ci da vita non ci può essere sottratto. La nostra
magia, quella magia che in ognuno di noi è un riflesso della più grande magia
universale non può essere sottratta.
A volte riprendere a guardarla può
essere doloroso,
certo, ma non perchè sia una vista difficile da sopportare. Il dolore viene quando dobbiamo spostare lo sguardo da ciò che l’ha imprigionato.
Da colui, coloro, colei o quella cosa verso cui è stato in qualche modo
condizionato a rivolgersi. Qualcosa che ovviamente abbiamo considerato
bellissimo ma che, alla fine, voleva
solo essere guardato al posto dell’unica cosa che dobbiamo davvero vedere: la
nostra anima.
Si
dice che questo sia stato l’errore di Lucifero: quello di voler avere anche solo per un istante lo sguardo del Padre
tutto per sé. E forse è proprio questo errore archetipico a
riflettersi spesso, moltiplicato a dismisura, nell’anima di chi finisce per
giocare dalla parte sbagliata: volere
lo sguardo di tutti solo per sé.
Smettere
di guardare la propria anima è il gioco malato dell’ego. Guardare la propria anima,
ritornare al suo interno e da lì riprendere a guardare il mondo è il gioco più
bello che possiamo fare.
L’unico
cui davvero valga la pena di partecipare.
Per tutto il resto, davvero, c’è Mastercard!
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