venerdì 10 giugno 2016

Come vedere e percepire l’Energia Prana

Come vedere e percepire l’Energia Prana

Intorno a noi esiste una forma di energia sottile chiamata ”Prana”, che alimenta costantemente il nostro corpo energetico (aura), proprio come il cibo alimenta il corpo fisico e gli assicura un buon funzionamento.

Per poterla percepire potete fare il seguente esperimento. Sedetevi comodamente, all’aria aperta, preferibilmente in un giorno con molto sole. Rilassatevi, e tenete gli occhi chiusi per 5-10 min. Prestate attenzione a non addormentarvi. Dopo circa 10 min. aprite piano piano gli occhi e fissate con lo sguardo un qualsiasi punto nel cielo. Dopo altri 10-20 sec. potrete cominciare a vedere tanti punti luminosi che si muovono in modo apparentemente caotico. Più guardate, più il numero di punti sembrerà crescere. Questa è l’energia chiamata ”Prana”.

Per quanto possa sembrare ‘esoterica’ e ‘misteriosa’, la percezione del prana, in realtà, fa già parte del nostro vissuto quotidiano. Il problema della sua chiara percettibilità sussiste solamente perché, in genere, siamo poco attenti al nostro spazio interiore: questo è il motivo per cui il flusso di quell’energia rimane ad un livello inferiore alla soglia della nostra ordinaria coscienza di veglia.

Il prana in realtà è dappertutto, è il Corpo Vivente dell’Universo. Il prana è energia e tutto nell’Universo è energia, persino la Materia. L’uomo la assimila col cibo e con la respirazione a livello somatico, con le emozioni (fatte di energie più sottili) a livello di vita affettiva, con i pensieri a livello di attività intellettuale, con le forze ispiratrici a livello spirituale.
Giacché esistono diversi livelli e modalità, cioè diverse ‘qualità’ del prana, noi ci nutriamo di esso secondo i diversi livelli della nostra struttura ontologica. A livello fisiologico, cioè a quel livello che più è prossimo alla nostra esperienza ordinaria, la percezione è naturalmente più facile, ed è per questo che le nostre successive osservazioni si riferiranno per lo più a quell’ambito.

In realtà l’energia, per sua stessa natura, tende a esteriorizzarsi e a indurre gioia e piacere in colui che l’asseconda. Se canalizziamo l’energia della nostra anima, la rendiamo ‘espressiva’ e la esteriorizziamo, il nostro tono umorale s‘innalza; possiamo persino provare la ‘pura gioia di vivere’, cioè una felice condizione dello spirito che può essere anche ‘oggettivamente’ immotivata. Condizione questa poco frequente e forse per molti persino poco comprensibile, visto che se si è felici, in genere, lo si è per qualcosa di tangibile. Non appartiene ordinariamente alla nostra esistenza, una gioia connessa al fatto del puro esistere.
E’ questa una condizione ideale, divina: non a caso l’Essere Supremo in India è chiamato Saccidananda, cioè l’Essere in cui l’Esistenza (Sat), la Coscienza (Chit) e la Beatitudine (Ananda) coincidono. L’energia si avverte più nettamente quando si pratica il digiuno, ciò sembra accadere per una sorta di meccanismo di compensazione per il quale assumendo meno cibo, l’organismo cerca di acquisire più energia per via sottile. E’ ben nota, inoltre, la percezione di un positivo flusso di forze nell’intero organismo quando, rompendo il digiuno, assumiamo di nuovo del cibo; si noti come, proprio in quel preciso momento, si modifica il respiro che diventa più ‘vivo’, intenso e piacevole.

L’energia si percepisce purtroppo, anche in quelle circostanze negative in cui siamo vittime di un collasso, stiamo per svenire, sentiamo che le ‘forze’ vengono meno’: in tali momenti il corpo cerca di aumentare la quantità d’energia repentinamente attraverso una modifica del ritmo respiratorio. La percepiamo anche come brivido (l’origine del termine è onomatopeica…) quando proviamo una intensa emozione (paura, piacere estetico, sentimento amoroso etc.). Esso spesso scorre lungo la schiena (il che ha un preciso significato esoterico) e si diffonde attraverso le braccia ( di cui è proverbiale la conseguenza del far rizzare i peli) e le mani.

L’energia cresce, si accumula nel corpo con il riposo, la solitudine, la limitazione dell’attività fisica, il contatto con la natura: è il prana che hanno cercato gli eremiti di tutti i tempi per indurre l’estasi. Tuttavia essi spesso hanno incrementato quell’energia senza essere sostenuti e guidati da una chiara razionalità, da un costante autocontrollo e da alte motivazioni morali. Per questo hanno, molte volte, manifestato forme di fanatismo ascetico (attraverso le quali hanno cercato – più o meno consciamente – di percepire più distintamente quella forza transfisica) e sono caduti in forme di visionarismo allucinatorio.

Il prana è l’effluvio, che tradizionalmente i chiaroveggenti di tutte le culture, dicono di veder uscire dai corpi degli esseri viventi, sotto forma di alone luminoso (l’aura del corpo astrale). E’ il ‘magnetismo animale’, il fluido con cui il celebre medico austriaco Mesmer (1734-1815), sosteneva di poter guarire molte malattie e induceva l’ipnosi: quest’ultima poi, confinata nella ‘magia nera’ per lungo tempo, è stata invece fondamentale nella nascita della psicanalisi freudiana, costruita com’è noto, sulle ricerche in quel campo di Charcot e Breuer.

L’energia – anche qui la tradizione è concorde – tende ad uscire dalle estremità: uscendo dalle mani è stata utilizzata sin dalla più remota antichità per guarire (pranoterapia). Il gesto dell’imporre le mani sulla parte malata e dolorante (l’atto taumaturgico più consueto presso tutti i popoli) è così istintivo che ciascuno di noi lo esegue ‘automaticamente’ senza percepirne l’intima ragione. Spesso poi esprimiamo il nostro affetto con una carezza, anche in questo caso non solo per ‘mostrare’ il sentimento, ma anche per veicolarlo, per trasmetterlo come energia. Il prana esce anche dagli occhi che per questo sono denominati ‘lo specchio dell’anima’, e sono quindi rivelatori della nostra energia-coscienza. Anche quest’altra fenomenologia dell’energia è ‘fissata’ e ‘codificata’ nella lingua di tutti i popoli.

Come noto, la medicina orientale è stata da sempre fondata sul presupposto che le malattie somatiche siano ‘conseguenze’ (più propriamente si dovrebbe dire ‘il precipitato’) di squilibri energetici presenti nel corpo sottile. In quest’ottica ‘olistica’ si spiega, ad esempio, l’agopuntura cinese, secondo cui l’energia (qi) ha due polarità (yin e yang) che, se ben equilibrate, determinano la salute fisica. A tal fine però è necessario che il qi circoli correttamente nell’organismo attraverso delle ‘linee di forza’ che vengono definite ‘meridiani’, Ching, (le nadi del corpo sottile nella tradizione induista). Il qi scorre essenzialmente attraverso 14 meridiani principali, a cui la medicina classica faceva corrispondere 365 punti di agopuntura sulla superficie del corpo. La stimolazione di tali punti attraverso la penetrazione di alcuni aghi, si ritiene che favorisca il fisiologico accumularsi e scorrere del fluido vitale.

Anche i massaggi sono stati usati in Oriente, sin dalla più remota antichità, per la regolazione del flusso d’energia: si pensi allo shiatsu (che letteralmente significa: ‘pressione delle dita’), una delle arti terapeutiche tradizionali giapponesi, il cui dichiarato scopo è quello di equilibrare il flusso energetico individuale (in giapponese ‘ki’ ), dare vigore agli organi vitali, e mantenere benessere e vitalità. Anche secondo lo shiatsu, la malattia nasce da uno squilibrio interno e sottile delle energie, sia quando sono in difetto (kyo) sia quando sono in eccesso (jitsu).

Altro concetto tradizionale è che il sangue sia veicolo del prana (ciò ha indotto alcune tradizioni anche religiose a prendere alla lettera il motto secondo cui ‘l’anima è nel sangue’). In effetti c’è una qualche connessione tra energia vitale, emozioni e sangue: la si può sperimentare quando arrossiamo per vergogna, timidezza, senso di colpa, oppure quando il sangue ci ‘sale alla testa’ per la rabbia, o si accelera il battito cardiaco per un forte moto affettivo. Uno stress psichico prolungato può far alzare la pressione arteriosa… A volte, il moto sanguigno sembra quasi arrestarsi come quando per la paura impallidiamo. In tutti questi casi, come in altri, è evidente la connessione tra gli stati d’animo e quella parte di energia emozionale che si veicola col sangue nel nostro organismo.
Nel nostro comune linguaggio, in effetti, il controllo delle emozioni è possibile solo se si sa mantenere ‘il sangue freddo’, mentre quando ci si ‘gela il sangue nelle vene’ è segno che siamo sbigottiti per lo spavento; quando non abbiamo buoni rapporti con qualcuno, diciamo invece che ‘non corre buon sangue’; quando proviamo sdegno sentiamo ‘rimescolarsi il sangue nelle vene’.
Altra prova di una antica percezione del prana, è data dall’iconografia sia orientale che occidentale, in cui esso è rappresentato in genere da una aureola (piccola aura-aria) che contorna il capo dell’illuminato, del saggio, del santo. Il termine stava quindi ad indicare una corona d’oro, un cerchio splendente posto intorno al capo. Una funzione analoga aveva il termine ‘nimbum’ con cui si indicava appunto quella nube luminosa (nimbo/nembo) che veniva collocata attorno alla testa di un dio o di un santo. A volte quell’energia spirituale viene rappresentata nell’iconografia da una più grande aura, correlata a figure di una maggiore dignità, di cui avvolge completamente il corpo (nel mondo cristiano, ad esempio, diventa la mandorla mistica di Gesù o della Madonna). Il termine aura (soffio, respiro) del resto lo usiamo spesso nel linguaggio comune proprio per indicare un’atmosfera ‘psichica’ (quando, ad esempio, diciamo che in un ambiente c’è, si respira un’aura di pace) o quando ci riferiamo ad un’atmosfera suggestiva che emana da un’opera d’arte.
Ma soprattutto l’energia compenetra e vivifica la Natura intera: gli artisti hanno sempre trovato nella ‘percezione sottile’ di essa, considerata come ‘realtà vivente’, una fonte costante d’ispirazione; ed è lo stesso tipo di percezione sottile dei luoghi naturali che orientava gli antichi a vedere dovunque la presenza di dei, le cui forme variavano col variare dei riferimenti simbolici delle varie culture (si pensi alla diffusione universale dell’animismo, alle dottrine panpsichiste o ilozoiste della stessa filosofia presocratica, di quella platonica e neoplatonica, alle tradizioni ermetiche, alchemiche etc.).
Nella pratica dello sviluppo della percezione sottile, percepire l’energia significa comprendere/sentire quando essa è in eccesso (per cui bisogna scaricarla) e quando è in difetto (per cui bisogna accumularla). Uno degli effetti dell’esercizio della consapevolezza del respiro, è quello di sviluppare una diversa percezione di se stessi: ci si sente sempre più come energia, o meglio come un centro di energia. Tale realizzazione consente di avvertire distintamente e precocemente, ad esempio, un incipiente strutturarsi nel corpo di uno stato di nervosismo, avvertito come un eccesso di energia accumulata, energia che tenderà naturalmente a scaricarsi, ad esempio, con il movimento costante delle gambe o delle mani: si pensi agli atleti che istintivamente prima della gara scuotono mani e piedi, per mantenere ad un giusto livello l’energia nervosa che li predispone alla prova.

Lo stato di nervosismo si traduce com’è noto, in una condizione d’irritabilità che può indurre facilmente ad esplosioni ‘energetiche’ di rabbia, rancore, risentimento, aggressività etc. Al contrario – e simmetricamente – una condizione di esaurimento nervoso (legata quasi sempre ad un affaticamento troppo protratto) indica la necessità di reintegrare l’energia attraverso, ad esempio, una condizione di riposo prolungato o una migliore nutrizione.

Lo stesso stress (termine che in inglese indica propriamente lo ‘sforzo’, la ‘spinta’) non è altro che una reazione nervosa ad una serie d’impulsi, i quali determinano uno stato di tensione che si può cronicizzare sino a diventare patologico, o quantomeno predisponente alle più varie patologie. Ciò accade proprio perché esso va ad alterare l’equilibrio della bioenergia, fondato sulla fisiologica alternanza di uno stato di tensione con uno opposto di distensione.
Che anche la depressione sia un fenomeno che – pur se riconducibile alle più diverse cause – si manifesta comunque in termini energetici fisici e psichici, lo si capisce dal fatto che essa è nello stesso linguaggio comune sinonimo di ‘poca energia’ e dunque prostrazione, avvilimento, abbattimento.

E’ invece difficile iniziare una seduta di meditazione con un sovraccarico di energia nel corpo, giacché il suo eccesso causa una condizione di fastidioso nervosismo che rende difficilmente sopportabile la condizione di immobilità, che di per sé tende proprio ad accumulare energia. L’ideale sarebbe sublimare tale energia in eccesso sul piano organico, orientandola verso i chakra superiori per trasformarla in forza spirituale, capace di determinare stati illuminativi (è questa in effetti la vera funzione della meditazione!), ma è un’arte difficile che si apprende solo progressivamente. Agli inizi della pratica, sarà pertanto necessario seguire la via più facile, che consiste nello scaricare prima della seduta meditativa vera e propria l’energia in eccesso, attraverso un’attività fisica appropriata.

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