VISTO
CHE RISPUNTANO I DETRATTORI DEI NOSTRI FUCILIERI DI MARINA, “SCRITTORI”
CHE A DISTANZA DI 24 MESI ANCORA DISQUISISCONO SULL’INTERNAZIONALITA’ O
MENO DELLE ACQUE DOVE SONO AVVENUTI GLI EVENTI MA NON CI SPIEGANO
PERCHE’ L’INDIA NON HA ANCORA PRODOTTO LE PROVE DEI FATTI E PRECISI ATTI
DI ACCUSA, MI SEMBRA DOVEROSO RIPROPORRE QUALCHE ARTICOLO.......PER NON
DIMENTICARE.
" Chi vuole depistare disinformando sappia che più si cerca di nascondere la verità, più essa viene prepotentemente a galla "
............. segue le prime tre parti gia pubblicate su questo blog.
e.m.
______________________________
" Chi vuole depistare disinformando sappia che più si cerca di nascondere la verità, più essa viene prepotentemente a galla "
............. segue le prime tre parti gia pubblicate su questo blog.
e.m.
______________________________
Sabato, Febbraio 15th/ 2014
- di C.Alessandro Mauceri -
Massimiliano
Latorre, Salvatore Girone, India, ministro degli Esteri, Emma Bonino,
La Russa, Monti, affidavit, Mancini, Corte del Kerala, Terzi, Carta dei
Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, Sua Act, Bureau centrale di
polizia, Nia, National investigation agency, Angela Del Vecchio, Staffan
De Mistura, Nazioni Unite, Unione Europea, Sonia Gandhi, Letta, Ashton,
Ban Ki-moon, petroliera Enrica Lexie, Noviello, Finmeccanica, Times of
India, C.Alessandro Mauceri
Tragica Telenovela Marò: avanti tra contraddizioni, assurdi errori procedurali e indifferenza sostanziale dei governi italiani
- Il ruolo impalpabile di Lady Ashton (UE) e Ban Ki-Moon (ONU)
- Lo sfogo di Massimiliano Latorre: "Scrivete la Verità!"
- Il ruolo impalpabile di Lady Ashton (UE) e Ban Ki-Moon (ONU)
- Lo sfogo di Massimiliano Latorre: "Scrivete la Verità!"
di C. Alessandro Mauceri
Telenovela Marò – La Bonino scarica il barile su "La Russa"
Roma, Kerala - Ormai Massimiliano Latorre e Salvatore Girone vivono in India da oltre due anni. Per dirla con le loro stesse parole “in casa, ma non a casa”. E
la soluzione di questa sporca vicenda non sembra essere prossima. Sì,
“sporca” perché non è possibile definire in altro modo tutto quello che
riguarda l’avventura dei nostri connazionali. Mesi fa (vedi qui Soldati in India e Affari Sporchi – Prima Parte qui Soldati in India e Affari Sporchi – Seconda Parte e qui Soldati in India e Affari Sporchi – Terza Parte )
era già apparso evidente che i motivi che impedivano ai nostri marò
(come se chiamarli così bastasse a farli sentire “in famiglia”) di
tornare in Italia non avevano nulla a che vedere con ciò che avevano
fatto (o non fatto). Per paradossale che possa sembrare, anche il nostro
ministro degli Esteri Emma Bonino (parte di un governo
di larghe intese e ministro appartenente ad un partito che non ha
nemmeno un seggio in Parlamento: i radicali), in un momento tanto
delicato ha affermato «il problema è la legge La Russa, che prevede la presenza di militari a bordo senza definire linee di comando».
Invece di pensare alla salute dei nostri connazionali, il ministro ha
pensato che fosse più saggio scaricare il barile sull’ex ministro delle
Difesa (La Russa, N.D.R.). Come se questo “fattaccio”
fosse un problema “tecnico”. In realtà, proprio dal punto di vista
“tecnico” la vicenda che ha come protagonisti i nostri connazionali,
presenta una sconvolgente sequenza di errori e imprecisioni degna di una telenovela di quart’ordine.
Mario Monti, l'arbitrato ONU e le prime contraddizioni legali
Gli errori nel modo di gestire questa faccenda cominciano con Mario Monti,
senatore a vita in fretta e furia e capo del governo con il mandato di
"salvare l’Italia" (cosa che come tutti sanno non è avvenuto anzi,
semmai, la situazione del Bel Paese è peggiorata grazie alle misure
adottate dal professore). Fu Monti a sollecitare l’arbitrato delle Nazioni Unite
(come sia stata accolta questa richiesta si vedrà in seguito). Poi il
governo dichiarò che era doveroso che a giudicare i marò fosse la magistratura italiana. Salvo poi, contraddirsi con l’affidavit, l’impegno firmato dall’ambasciatore Mancini per la Corte del Kerala che garantiva il ritorno in India dei due marò, «nell’ambito dell’esercizio delle garanzie costituzionali». Eppure la Procura di Roma
aveva aperto un’indagine per omicidio volontario a carico dei due marò.
Quindi, in base alle prerogative della Costituzione italiana, l’azione penale era obbligatoria e prioritaria. Come, peraltro, suggerito dall’allora ministro Giulio Terzi: una volta che Girone e Latorre erano in Italia, c’era “l’opportunità, o meglio l’esigenza di segnalare formalmente alla Procura della Repubblica di Roma il ricorrere delle condizioni affinché la nostra giurisdizione fosse effettivamente esercitata”. Ciò avrebbe consentito ai due marò di non rientrare in India. Eppure nessuno si servì di questi strumenti. Perché? In un alternarsi di smentite e cambi di direzione, le voci ufficiali mutarono fino a rimandare i nostri connazionali in India. Nessuno tenne in alcun conto i suggerimenti (invero validi) di Terzi (tra i quali, che l’India «escludesse dalla
competenza della Corte, fattispecie di reato tra cui l’omicidio
volontario e il terrorismo, per le quali la normativa indiana prevede la
pena di morte»).
In Violazione alla Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE – Art. 19
Anche il ricorso alla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea che, all’articolo 19, riporta “Nessuno
può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui
esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla
tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti”. Quindi, se solo avesse voluto, l’Italia avrebbe potuto avvalersi del “diritto” di non rimandare i marò in India e l’Unione Europea avrebbe potuto sostenere questa decisione apertamente. Invece, si decise di rimandare i nostri marò in India, violando, di fatto, un trattato comunitario e, quindi, rischiando pure una "procedura di infrazione" da parte di Bruxelles. Nessuno
di questi suggerimenti fu tenuto in alcun conto e Monti, con le
elezioni ormai alle porte, pensò che fosse meglio farsi fotografare
mentre rispediva i nostri connazionali in India piuttosto che garantire
per le loro vite…
Il Rientro in India e la Nuova accusa formale: "Terrorismo"
Rientrati in India, a sorpresa l’accusa nei confronti dei nostri connazionali fu cambiata in “terrorismo”.
Così come quando erano stati richiamati in porto, nessuno aveva detto
loro che dovevano farlo perché accusati di omicidio, allo stesso modo,
prima del loro ritorno in India, nessuno aveva detto ai marò che
sarebbero stati accusati non più “solo” di omicidio, ma di terrorismo. Ancora
una volta i nostri politici dimostrarono grande competenza e rilevante
peso politico. Nessuno capì che il solo motivo per cui l’India si era
intestardita a ricorrere alla Sua Act, era che la legge antiterrorismo sulla sicurezza marittima estende la giurisdizione indiana a 200 miglia nautiche. Il motivo, peraltro palese, era che questo era l’unico modo per l’India per poter procedere legalmente contro i nostri marò,
dato che il fattaccio, ammesso che sia avvenuto, pareva essersi
verificato in acque internazionali, dove secondo il diritto del mare
delle Nazioni Unite, ovvero le norme della convenzione di Montego Bay (ratificata sia dall'Italia che dall'India), il tribunale del Kerala non aveva alcuna competenza. Ma non basta.
L'Inversione dell'onere della prova
Con il ricorso alle leggi antiterrorismo si è, di fatto, invertito l’onere della prova: se prima era la pubblica accusa a dover dimostrare la colpevolezza dei marò italiani, ora sono Latorre e Girone a dover dimostrare la propria innocenza.
Anche il peggior avvocato penalista al mondo capirebbe subito le gravi
conseguenze a cui si andava incontro con un simile gesto, ma non i
nostri politici, che si sono ostinati a voler seguire la vicenda in modo
“diplomatico”. Ciliegina
sulla torta è il fatto che, proprio avendo fatto ricorso al Sua Act, a
gestire le indagini non è più il Bureau centrale di polizia, ma la Nia,
la National Investigation Agency. Che, come tutte le
omologhe degli altri Paesi, opera con livelli di segretezza e di
permissività e coinvolgimento dei legali difensori dei marò ben diversi
dal Bureau….
La presenza in aula di Staffan De Mistura? Un grave errore!
Ma gli errori fatti nel gestire la vicenda “Marò” non sono finiti. Come ha confermato Angela Del Vecchio, docente di Diritto Internazionale Progredito alla Luiss di Roma, l’invio di Staffan De Mistura come incaricato del ministro della Difesa e “inviato speciale” del Governo, e la sua presenza in aula fu "sbagliatissima”, “perché
significa accettare la competenza indiana: è come se l'India giudicasse
l'Italia, perché i marò rappresentavano a tutti gli effetti il nostro
Paese". Invece secondo un principio generale di diritto
internazionale (che dovrebbe essere ben noto ai nostri politici e ai
legali incaricati di gestire la questione) "par in parem non habet iurisditionem", ovvero soggetti di pari grado non possono citarsi in giudizio e giudicarsi l'uno con l'altro. Quindi agire in questo modo, ha di fatto significato riconoscere la competenza indiana
e ammettere che i marò, rappresentando l’Italia ed essendo
nell'esercizio delle proprie funzioni, abbiano fatto violare a tutta
l’Italia le norme che regolamentano le operazioni antipirateria e gli
obblighi internazionali, contratti in sede di Nazioni Unite e di Unione Europea.
Naturalmente, dato che si tratta di soldati italiani, in questo caso i
nostri militari, avrebbero dovuto potersi avvalere dell’”immunità” ed essere giudicati in Italia….Eppure anche questo non è stato chiesto.
Altre strane omissioni e gravi errori di procedura
E ancora, perchè l'Italia non ha insistito che la vicenda fosse giudicata dal Tribunale internazionale per il diritto del mare? Tale organo sarebbe il giudice internazionale competente in questi casi
e che avrebbe valutato in tempi molto più rapidi e senza costringere
l’Italia a questo stato di sottomissione nei confronti dell’India. Latorre e Girone, in realtà, non sono più imputati di un processo: sono diventati strumenti nelle mani della politica.
Sia la nostra che quella indiana, dal momento che anche in India
esistono forti conflitti tra le varie forze politiche e tra i vertici
dei partiti, che si sono scontrati prima in occasione delle elezioni
nello stato indiano del Kerala e poi con le politiche.
Lo dimostra il fatto che i media in India non fanno altro che accusare i
marò indicandoli non come italiani, ma come connazionali di una delle
figure politiche di spicco, la leader del Congresso, Sonia Gandhi.
Il ruolo di Lady Ashton (UE) e Ban Ki-Moon (ONU) nella vicenda
Nei giorni scorsi Emma Bonino ha “rivendicato” il "grandissimo sforzo politico-diplomatico condotto per ottenere il sostegno delle organizzazioni internazionali". Lo stesso, ovviamente, ha fatto Enrico Letta. La verità è che la rappresentante per la politica estera dell’Unione, Lady Ashton, si è limitata a dichiarare che è “biasimevole”
ciò che sta avvenendo in India e niente di più. Dall’altro, alla
richiesta più volte avanzata sia dal governo Monti che dal governo Letta
di intervento da parte delle Nazioni Unite, la risposta del segretario
generale Ban Ki-Moon è stata la dichiarazione che a decidere sulla controversia tra India e Italia devono pensare i due Paesi e nessun altro (favorendo in tal modo la scelta “astensionistica” di tutti gli altri Paesi solo sulla carta alleati dell’Italia). Ma non finisce ancora. Da tempo si parla di una possibile mediazione offerta da Vinod Sahai, soprannominato «l'uomo che in India apre tutte le porte», il quale pare abbia più volte tentato di risolvere la questione “amichevolmente”.
Sahai, l'Uomo che apre tutte le porte… Tranne una…
Vinod Sahai ha riferito, in una recente intervista, di aver avuto, circa un anno fa, contatti con il presidente della Corte suprema, Altamas Kabir, il quale gli riferì che, per sbloccare la questione, sarebbe bastata un’istanza formale proveniente dall’Italia. Per questo motivo Sahai
aveva predisposto una petizione a nome degli indiani residenti in
Italia in cui si chiedeva alla Corte Suprema di autorizzare il governo
indiano a trovare una soluzione extragiudiziale oppure di rinviare il caso a un tribunale internazionale. Ebbene, secondo Sahai, prima sarebbe stato il ministro Di Paola
a fermarlo, impuntandosi sul fatto che a risolvere la questione
dovevano essere gli indiani e non gli italiani; poi, reiterata la
richiesta al ministro Bonino, non avrebbe avuto alcuna risposta. Il risultato degli sforzi diplomatici dei nostri politici è che non sono neanche riusciti a far sì che la pena di morte venisse in ogni caso esclusa,
ovvero di imporre il rispetto dello straccio d’impegno sottoscritto a
Roma tra India e Italia. Anzi, in un impeto di bravura diplomatica
(sarebbe interessante sapere presso quale università hanno studiato i
legali che stanno difendendo i nostri marò….), l’Italia ha confermato di aver “accettato” la giurisdizione indiana.
Massimiliano Latorre: "scrivete la verità!"
Massimiliano Latorre, uno dei nostri militari e nostro connazionale non ha potuto far altro che dire: "scrivete la verità. Ci sono due inchieste aperte. Non posso essere io a chiarire le cose". E ha invitato poi "a riascoltare l'intervista al comandante in seconda della petroliera Enrica Lexie, Noviello". In realtà, nonostante siano trascorsi due anni, decine di inchieste e pubblicazioni in merito, non è ancora chiaro cosa sia avvenuto realmente. E nemmeno dove.
La Morte dei pescatori indiani – Un'invenzione?
In una intervista Noviello aveva definito "un'invenzione" la morte dei pescatori indiani.
Secondo la sua versione dei fatti, i due marò avrebbero sparato colpi
di avvertimento “in acqua” nel rispetto delle procedure previste. Il vero scontro a fuoco, invece, sarebbe avvenuto all'interno del porto di Kochi e senza il coinvolgimento dell'Enrica Lexie, ma
tra la guardia costiera locale e un'imbarcazione sospetta che stava
tentando l'approccio alla nave su cui si trovavano fucilieri della
marina italiana. Ancora una volta sulla vicenda è intervenuto in modo “determinante” il nostro ministro degli Esteri. "Sul dossier dei marò e sull'inaffidabilità del regime indiano io credo che serva un'unità italiana", ha detto il ministro Emma Bonino a Zapping 2.0, su Radio Uno. E ha continuato: "Lasciamo
per dopo la ricostruzione su cosa è successo, su chi ha sbagliato. Per
ora tutto il Paese è teso ad affermare la dignità e lo stato di diritto
applicato ai nostri due marò". Ma come! Per decidere se i nostri connazionali sono innocenti o meno, non è fondamentale conoscere come sono andate le cose?
Il Nocciolo della Questione
Forse,
a ben guardare, proprio questo è il nocciolo della questione: di come
siano andati realmente i fatti forse non è mai importato a nessuno. Non importava al governo Monti,
che a detta degli esperti avrebbe commesso una quantità di ingenuità
dal punto di vista legale e dal punto di vista diplomatico (tanto da
portare forse alle dimissioni di un ministro!). Non è importato al nuovo governo e al nuovo ministro degli Esteri,
che hanno pensato solo a sfruttare l’occasione per attaccare una legge
antecedente e non condivisa (il decreto legge del 12 luglio 2011: che
rende possibile imbarcare militari italiani su navi civili, e la
convenzione che la Difesa – allora guidata da La Russa – e Confitarma,
la Confederazione Italiana Armatori, hanno firmato pochi mesi dopo) e il
prosieguo degli scambi commerciali internazionali. Non importa alle grandi imprese italiane che in India fanno affari che generano profitti a nove zeri.
Affari & Co – La Commessa Finmeccanica
In
merito, infatti, non va dimenticato che proprio nelle ore in cui il
governo Monti, con l’ammiraglio Di Paola alla Difesa e Terzi alla
Farnesina, rispediva in India i nostri marò, il ministro della Difesa di
New Delhi annunciava il via libera per una generosissima commessa con il gruppo Finmeccanica. Come confermato anche dal Times of India che, in un articolo, si è domandato se il ritorno dei marò non fosse stato “influenzato” da valutazioni di ordine commerciale: “Non è chiaro se gli imprenditori italiani abbiano fatto pressioni al governo italiano per rimandarci i marò e a che livello”. Non importa alle circa 400 società italiane che operano in India con scambi che si aggirano intorno ai 8,5 miliardi di dollari a cui si devono aggiungere i 1.000
miliardi di grandi opere che l’India vorrebbe realizzare entro il 2017 e
che sono una sorta di miniera per le industrie di tutto il mondo.
Altri "non importa" di peso
Non importa al governo indiano, che, anzi, vede l’opportunità di confermare,
a livello internazionale, la propria forza e, a livello interno, per
attaccare gli avversari politici in vista delle elezioni. Non importa alle organizzazioni internazionali, Nato, ONU e Unione Europea in primis, che ormai sembrano intervenire solo e unicamente per tutelare gli interessi economici di pochi, anzi pochissimi. E l’Italia, evidentemente, non è tra questi…. Gli unici a cui importa qualcosa della vicenda sono i nostri militari
che, in cambio di aver operato, probabilmente, nel rispetto di
protocolli sottoscritti per tutelare gli interessi delle grandi
multinazionali che gestiscono gli scambi internazionali, dovranno subire due processi, rischiando l’esilio, la qualifica dispregiativa di “terroristi” e, forse, anche la pena capitale. La
verità è che, nonostante gli sforzi di tutti i nostri parlamentari
governanti per far credere agli italiani che l’Italia è ancora uno dei
maggiori Paesi del mondo, oggi il Bel Paese è solo un “bel mercato” per
le aziende da sfruttare per vendere ai cittadini questo o quell’oggetto
prodotto altrove. Spesso proprio in India.
C.Alessandro Mauceri
FONTE: http://www.quieuropa.it
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti spam, offensivi, non pertinenti e quelli riportanti indirizzi mail o link sospetti saranno cancellati.