domenica 18 novembre 2018

I “Guerrieri dell’Arcobaleno”

I “Guerrieri dell’Arcobaleno”

di Enzo Braschi
Mentre la Terra muore al vecchio… sta nascendo… una nuova tribù di tutti i colori. Questa tribù si chiama “I Guerrieri dell’Arcobaleno” e mette la sua fede nelle azioni, non nelle parole. (Profezia dei Nativi Americani Hopi).
Non so quanti di noi siano Guerrieri dell’Arcobaleno. So comunque che ce ne sono già tanti in ogni luogo della Terra e che il loro numero sta crescendo sempre di più.
Volerlo essere è facile: basta amare e rispettare la Creazione. Volerlo essere è difficile: si deve infatti prima di tutto imparare a disimparare molto del tanto che ci è stato insegnato e che ci ha allontanati dalla Creazione stessa.

Ci può volere davvero tanto tempo, costanza, amore e pazienza soprattutto verso noi stessi, che diventiamo i bambini a cui dobbiamo insegnare tutto da capo. Spesso sbaglieremo ancora, spesso riterremo di essere sulla strada buona e ci accorgeremo un attimo dopo di essere ancora una volta vittime di antichi pregiudizi, stupidi luoghi comuni, modi di pensare che non ci appartengono.
Le vecchie abitudini torneranno ad avere il sopravvento: è facile non poter fare a meno, alla fine, del nostro persecutore; è difficile lasciarsi andare alle passioni laddove esse servano a condurci solo ad innamorarci della perfezione.
Se ci si lascerà piegare come una pianta di bambù ma si saprà resistere, se non ci si schianterà come una quercia che con arroganza pensa di essere incrollabile, si sarà già percorso un buon tratto di strada.
A quel punto si potrà continuare a voler essere un Guerriero dell’Arcobaleno. Si sarà ancora vulnerabili ma incredibilmente più forti che in passato, penseremo. E invece sarà anche più duro di com’era prima di imbarcarsi in quest’impresa. Perché ci si sentirà soli… ed è terribile scoprire di essere soli in mezzo a una miriade di esseri umani uguali a noi.

Si avranno da dire e da fare tante cose e ci si accorgerà di non trovare orecchie disposte ad ascoltare, e non si saprà da dove cominciare per cambiare davvero le cose. Credo inoltre che nessuno dovrebbe mai assumersi il ruolo di “insegnante” di nessun altro. Pensare di essere un maestro ritengo sia peccato molto grave. Con tutta la buona fede che si può avere, pare presuntuoso assumersi tale compito.
Sarebbe oltremodo giusto che ognuno arrivasse a costruirsi il suo mondo con le sue stesse mani. Ma non sempre è così, o quantomeno, a volte sembra opportuno il voler tentare di accorciare le distanze, soprattutto quando si avverte che i tempi lo esigono.
Così si deve provare a condividere con gli altri quello che si sente, che si sa, che si ritiene buono, e aspettare con pazienza di vedere germogliare i nostri semi, sempre che i semi siano quelli di una buona pianta. Può funzionare, così come può risultare sforzo vano, sciocco e inutile.
Si sarà dunque soli, si sarà perduta la vecchia strada fatta di vuote certezze, ma pur sempre la strada che la maggioranza della gente percorre da sempre; si sarà sbigottiti, confusi, così confusi dal giungere alla conclusione di avere sbagliato a lasciar andare tutto per… per cosa poi? Per niente…

Quello sarà davvero il momento più cattivo: il baratro che ci si aprirà dinanzi e alle spalle. Ci si scoprirà in bilico su un sostegno fragilissimo: in qualunque direzione ci si volterà non si vedrà altro che una spessa coltre di nebbia. Sotto di noi sarà il precipizio nel quale si potrebbe scivolare senza mai arrivare a toccare il fondo. Sopra, di contro, sarà l’assenza di una voce, di un segno che ci indichi che cosa fare.
Si dovrà andare avanti. Letteralmente. Basterà trovare appena quel poco di coraggio necessario ad allungare un piede sul niente e camminare: prima un piede, poi l’altro, e poi un altro ancora…

Quello che ci era parso il vuoto più opprimente ci sosterrà, essendo ciò che facciamo il più solido dei fondamenti. Potremmo sentirci forse ancora soli, voltare le spalle e vedere le cose a noi familiari sfumare a poco a poco, insieme alla moltitudine delle facce di chi ci è stato compagno di viaggio per tutto quel tempo che non tornerà mai più; sentire freddo, provare terrore per la buia oscurità che ci si parerà dinanzi e che dovremo attraversare.
A quel punto del nostro percorso, però, si accenderà una luce; la strada si farà più ampia e sicura e voltandoci un’ultima volta vedremo altri seguirci… non perché presuntuosamente noi saremo stati loro d’esempio. D’esempio lo si deve essere prima di tutto per noi stessi. Semplicemente perché altri cominceranno a non avere più paura, o saranno affascinati dalla paura o con essa intenderanno cimentarsi.

Non è importante capire perché a volte si facciano certe cose. È importante comprendere quando è tempo di farle. E questo è il tempo… e bisogna avere fretta di farle, queste cose, se non si vuole rimanere per sempre indietro.
Articolo di Enzo Braschi

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2 commenti:

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  2. Spesso si usa dire : occorre armonizzarsi alla creazione. Sarebbe auspicabile recuperare ritmi meno ossessivi, adeguando il sentire interiore al naturale volgere delle stagioni, perseguendo una sobrieta' che sembrava appartenere a tutti i popoli non ancora raggiunti dalla distorsione del progresso. Ma questo continuo riferimento alla creazione come riferimento ad un modello di perfettissima bonta' suona anche estremamente falso. In fin dei conti cosa sarebbe questa creazione? Quale bonta' pervaderebbe le sue incandescenti voracita'? L'universo e' animato da un eminente principio di voracita'. E' il tutto volto in uno, agito da energie primordiali, che continuamente rifondono le une dentro le altre le proprie sostanze, divorandone e ricreandone incessantemente i motivi ancestrali. Nel cuore magmatico della splendente voracita' cosmica palpita l'inquietudine dell'uomo. Negli abissi del cosmo baluggina, astraendosi dal barlume stellare, lo smarrimento dell'animo sgomento di ritrovarsi come prigioniero in questa prodigiosa fucina delle ineffabili necessita'. Quale armonia e' rivelata nella creazione? Non e' forse la complessita' della vita agita da una primitiva e sorda forza, preordinata ad incubare la tragica contraddizione dell'anima opacizzata? L'uomo del tempo presente e' un lugubre e smarrito impasto di merda e sangue confuso al sogno oscuro del cosmo. Costituiamo una densita' energetico-emotiva afflitta da desideri in prevalenza disordinati. Gli insetti sarebbero gli esempi piu' perfetti d'integrazione all'armonia/ordine del creato, le api, le formiche. Personalmente mi ripugna percepirmi come un insetto, benche' possa rimanere ammirato dalla loro geometrica laboriosita'.
    Il nostro fine, propriamente umano, dovra' riferirsi al meta-umano (che non e' il transumanesimo) e non potra' che assolvere ad un'aspirazione propriamente meta-cosmica. L'universo costituisce una sorta di perfetta trappola elettromagnetica. L'armonia delle sfere e' l'esatta sincronicita' deputata a serrare i concentrici cancelli celesti della nostra fonda prigionia. Per quanto possa essere immensa, la vastita' universale e' solo un abbaglio. L'infinito e' la nostra assurda dimora e non la preordinazione che stabilisce misura e ritmo implacabili al divenire. Occorre perseguire uno Splendore impersonale al di fuori dalla luce ordinaria fornitaci dal sole, distanziandoci infinitamente dal giogo degli Eoni...Crono ed Helios da sempre sono divinita' ambivalenti benevoli quanto spietate. La nostra essenza andrebbe ben oltre a tutto cio'. L'aspirazione suprema e' ultradivina. Mi dipsiace aver sovraccaricato la pagina, ma per esigenza di chiarezza ho sentito la necessita' di riscrivere il commento. Grazie

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