Non-Lavoro e Rivoluzione
di C. Benatti
Il non-lavoro è un modo
di fare la rivoluzione? No, di viverla
Stralci da un’intervista di
Claudia Benatti a Philippe Godard, saggista francesce, autore di Contro il
Lavoro (ediz. Elèuthera), pubblicata dall’ultimo numero del mensile Terra
Nuova.
Il lavoro impedisce l’invenzione e la sperimentazione di rapporti più ricchi e articolati, ci priva della gioa del saper fare tante attività diverse, e di farle non perché dobbiamo, ma perché ci sembra giusto e necessario (…). La maggior parte degli uomini non si è dedicata spontaneamente al lavoro inteso come produzione di beni destinati a mercati anonimi e sconosciuti, destinati cioè ad alimentare l’economia monetaria.
È stato con l’avvento degli Stati moderni e del capitalismo che gli esseri umani sono stati trasformati nella materia prima destinata a una macchina che trasforma il lavoro in denaro.
Il lavoro impedisce l’invenzione e la sperimentazione di rapporti più ricchi e articolati, ci priva della gioa del saper fare tante attività diverse, e di farle non perché dobbiamo, ma perché ci sembra giusto e necessario (…). La maggior parte degli uomini non si è dedicata spontaneamente al lavoro inteso come produzione di beni destinati a mercati anonimi e sconosciuti, destinati cioè ad alimentare l’economia monetaria.
È stato con l’avvento degli Stati moderni e del capitalismo che gli esseri umani sono stati trasformati nella materia prima destinata a una macchina che trasforma il lavoro in denaro.
L’esaltazione del lavoro
presenta per chi ha il potere l’enorme vantaggio ideologico di riunire sotto lo
stesso vessillo sfruttatori e sfruttati. Si finisce così per considerare il lavoro come un
valore; ma se così è, allora significa che questa società considera anche
il processo di produzione-consumo un valore fondamentale, prospettiva di per sé
agghiacciante. Peraltro è un giochino che permette di schiacciare le
libertà, che si riducono solo a quelle necessarie al valore del lavoro: poter
produrre e consumare liberamente. Il lavoro,
dunque, è divenuto un modello di società all’interno della quale non ci resta
che il consumo.
Il sindacalismo per i diritti
del lavoratori? Non libera dal lavoro, vuole semplicemente sostituire il lavoro
per i padroni con lavoro collettivo per la comunità in senso astratto.
Tutti, nessuno escluso, negano la possibilità di una cooperazione umana, spontanea e pacifica; il sistema capitalista si adopera per renderla sempre meno realizzabile (…).
Tutti, nessuno escluso, negano la possibilità di una cooperazione umana, spontanea e pacifica; il sistema capitalista si adopera per renderla sempre meno realizzabile (…).
Capitalisti, comunisti, persino
anarchici, ci hanno sempre raccontato che la tecnica a seconda della direzione
che le sarebbe stata data avrebbe potuto essere messa al servizio
dell’emancipazione anziché dell’oppressione.
Illusi sono anche i moderni ecologisti soft, che sperano e credono che la tecnologia, sinonimo di miracolosa efficacia, di massima produttività e minimo consumo, possa salvarci dal mondo abbrutito, abbrutente e inquinato. Eppure la storia ci ha insegnato che i balzi tecnologici sono sempre accompagnati da un aumento della pressione sugli essere umani, una maggiore limitazione delle loro libertà, un’accentuazione del dominio e della repressione contro chiunque contesti questi meccanismi. (…) Ormai bisogna andare oltre anche la decrescita, occorre una critica radicale a tutto ciò che ci rende servi.
Illusi sono anche i moderni ecologisti soft, che sperano e credono che la tecnologia, sinonimo di miracolosa efficacia, di massima produttività e minimo consumo, possa salvarci dal mondo abbrutito, abbrutente e inquinato. Eppure la storia ci ha insegnato che i balzi tecnologici sono sempre accompagnati da un aumento della pressione sugli essere umani, una maggiore limitazione delle loro libertà, un’accentuazione del dominio e della repressione contro chiunque contesti questi meccanismi. (…) Ormai bisogna andare oltre anche la decrescita, occorre una critica radicale a tutto ciò che ci rende servi.
Quelli che noi consideriamo
«selvaggi», dedicano mediamente alla produzione di cibo non più di tre i
quattro, massimo cinque ore al giorno; produzione peraltro interrotta da
frequenti pause. Il resto è per le relazioni, per se stessi e per la comunità.
E non vivono nella miseria, come vorrebbero farci credere, ma nella società
dell’abbondanza. È la nostra società contemporanea
ad aver creato carestie e povertà su larga scala. Ed è la nostra società ad
avere talmente interiorizzato il lavoro da non poterlo più mettere in
discussione, se non rimettendo in discussione il senso stesso della vita. Ebbene,
è ora di farlo.
Per liberarsi occorre smettere
di produrre. La nostra unica scelta è tra il lavoro
e la liberazione. Di fronte a un input tanto drastico, molti si
spaventano. Invece no, non ci si deve spaventare. (…) Possiamo inventarci
un’esistenza diversa, dalla quale bandire il lavoro.
Il non-agire è
tutto il contrario del non-intervento. Non è un ritirarsi dal mondo, bensì una
critica verso qualsiasi azione contro l’ambiente. Non è un modo di fare la rivoluzione,
ma di viverla.
Articolo pubblicato sul sito Comune.info
Link diretto:http://comune-info.net/2012/06/il-non-lavoro-e-un-modo-di-fare-la-rivoluzione-no-di-viverla/
Via Oltre la Coltre
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