mercoledì 23 marzo 2016

Il Jainismo

JAINISMO

la più antica Religione della Nonviolenza Universale

“AHIMSA PARMO DHARMA”
La Nonviolenza è la Suprema Religione
Jai Jinendra!

Da oltre duemilacinquecento anni esiste sul nostro pianeta un caposaldo della Spiritualità e della Nonviolenza: il Jainismo.
La Spiritualità jainista si basa sulla regola aurea dell’Ahimsa, il rispetto attivo nei confronti di ogni Vita, animale e vegetale, che è divina e sacra, e contiene un’anima individuale eterna, potenzialmente perfetta e santa, che aspira a liberarsi dai vincoli con la materia. La condotta dei Jain è dunque orientata al pacifismo, alla tolleranza, alla protezione della creazione e delle creature, alla continenza, alla mitezza, al vegetarismo, all’altruismo, alla sincerità, al perdono.

Nel Jainismo cinque Regole principali sono:
Nonviolenza – Ahimsa
Castità – Brahmacharya (o fedeltà coniugale per i laici sposati)
Verità e sincerità – Satya
Non rubare e non essere mai scorretti o sleali – Asteya
Non attaccamento – Aparigraha.

Il principale Mantra jainista è il Namokar Mantra:
Mi inchino alle Onorevoli Anime – Arihantas
Mi inchino alle Anime Liberate – Siddhanam
Mi inchino alle Guide Spirituali – Ayariyanam
Mi inchino ai Maestri Spirituali – Uvajjhayanam
Mi inchino a tutti i Santi – Loe Savva Sahunam
Questo quintuplice Omaggio
Distrugge tutti i peccati
Tra gli atti auspicali di devozione
Il Namokar Mantra è il più importante.

Nel Settembre 2014 si è svolto in India a New Delhi l’Anuvrat International Conference, a cui hanno partecipato relatori da 25 nazioni diverse. Il Convegno ha evidenziato che i temi globali della conservazione dell’ambiente e della sostenibilità dello sviluppo sono da sempre fondamentali nella filosofia Jainista. Le indicazioni scaturite dal Convegno convergono su una presa di posizione personale e sull’impegno attivo individuale sui temi urgenti e globali della salvaguardia dell’ambiente, della generosità, della condivisione col prossimo, soprattutto con i più bisognosi, dell’attuazione della regola delle tre R: riutilizzare, ridurre, riciclare le risorse.

Le undici regole proposte dall’Acharya Shree Tulsi nel suo Codice di Condotta Anuvrat (“anu” = piccolo, “vrat” = voto) sono:
1. Non uccidere volontariamente nessuna creatura innocente
2. Non aggredire nessuno, non fomentare l’aggressività verso nessuno, tentare sempre di portare pace e amicizia
3. Non prendere parte ad agitazioni violente o distruttive
4. Credere nell’unità umana, non discriminare alcun essere umano sulla base di casta, colore, setta, o altro, né trattare alcuno come intoccabile
5. Praticare la tolleranza religiosa
6. Osservare rettitudine negli affari e nel comportamento lavorativo, non danneggiare gli altri in alcun modo, non praticare mai l’inganno
7. Porsi dei limiti sia nei desideri sensuali sia nei desideri di possesso
8. Non ricorrere a pratiche non etiche nelle elezioni
9. Non incoraggiare abitudini sociali sbagliate
10.Condurre una vita libera da dipendenze come alcol, droghe, tabacco
11.Essere sempre attenti e vigili sul mantenere l’ambiente libero da inquinamento, non abbattere gli alberi, non sprecare l’acqua.
Da “VegAgenda 2012” (Edizioni Sonda) articoli di Claudia Pastorino:
La Compassione è il dovere supremo di ogni essere vivente” (Tattvarth Sutra)

Il Jainismo è antico di 2600 anni eppure fortemente in linea con i più vigorosi moderni Movimenti animalisti, pacifisti, ecumenisti, ambientalisti. Sorto in India e attualmente diffuso pressoché esclusivamente in India e in USA
è costituito da due Scuole principali: Digambara (vestiti di cielo) e Svetambara (vestiti di bianco). Le Comunità jainiste sono molto solide e stimate: in tutta l’India i Jain possiedono e gestiscono numerosi templi (molti dei quali magnifici), ostelli, biblioteche, rifugi per animali e centri veterinari (Panjarapole). Il termine Jain significa Vittorioso e designa colui che ha vinto sugli attaccamenti, sulle avversioni, sull’egoismo, sul materialismo, sulle passioni. Per il Jainismo ogni anima è individuale e potenzialmente perfetta; la metafisica jainista è molto complessa e attribuisce grande importanza alla logica e alla comprensione: grazie alla retta conoscenza, che conduce alla retta fede, e quindi alla retta condotta, ciascuno può, già da questa vita, accedere alla Liberazione.

Attraverso dodici letture scelte tra le favole dei bimbi Jain, antichi racconti, testi sacri, incontriamo la più antica Dottrina spirituale della Compassione e della Nonviolenza universale.
AHIMSA
Compito delle creature viventi è servirsi l’un l’altra” (Tattvarth Sutra)
Ahimsa (Nonviolenza) è il principio che i Jain insegnano e praticano non solo nei confronti degli esseri umani ma anche degli animali e della natura. La Nonviolenza jainista è positiva e attiva, e postula la costante vigilanza nel non nuocere in alcun modo ai propri simili, agli animali, alle piante, agli elementi; anche causare inquinamento è considerato Himsa (violenza) dai Jain.

E’ caratteristica essenziale di ogni uomo saggio che non uccida alcun Essere Vivente. Senza dubbio, un individuo dovrebbe comprendere semplicemente i due principi chiamati Nonviolenza ed Eguaglianza verso qualsiasi Essere Vivente (sutra 147)
Tutti gli Esseri Viventi vogliono vivere e non morire; per questo le persone completamente prive di attaccamenti (Nirgranthas) proibiscono l’uccisione degli Esseri Viventi (sutra 148)
In tutti i casi, sia consapevolmente che inconsapevolmente, un individuo non dovrebbe mai uccidere gli altri Esseri Viventi -mobili o immobili- di questo mondo, né permettere ad altri di ucciderli (sutra 149)
Come il dolore non ti è gradevole, ugualmente non lo è per gli altri. Conoscendo questo principio di Eguaglianza, tratta sempre gli altri con Rispetto e Compassione (sutra 150)
Uccidere un Essere Vivente è come uccidere sé stessi; mostrare compassione a un Essere Vivente è come mostrarla a se stessi. Colui che desidera il proprio bene, dovrebbe evitare di causare qualsiasi tipo di danno a un altro Essere Vivente (sutra 151)
L’Essere Vivente che vorresti uccidere è uguale a te stesso; l’Essere Vivente che vuoi tenere sottomesso è uguale a te stesso (sutra 152)
(da SAMAN SUTTAM – Il Canone del Jainismo)

Relatività della Conoscenza e Molteplicità dei punti di vista
Le Dottrine Jainiste Anekantavada (Dottrina dei molti aspetti, e della Molteplicità dei punti di vista) e Syadvada (Dottrina del non assolutismo, e della Relatività della conoscenza), insegnando a riconoscere una parte di vero in ogni pensiero, aprono la via verso l’armonia, l’eliminazione dei conflitti, l’ecumenismo, l’accettazione.
C’era una volta un villaggio dove vivevano sei non vedenti. Un giorno arrivò un elefante nel villaggio; essi non avevano idea di che cosa fosse: si recarono dov’era l’elefante e ciascuno iniziò a toccarlo. “L’elefante è una colonna” disse il primo uomo che toccò una delle gambe. “Oh, no! È come una fune” disse il secondo che stava toccando la coda. “Oh, no! È come il ramo di un albero” disse il terzo che stava toccando la proboscide. “L’elefante è come un grosso ventaglio” disse il quarto che stava toccando l’orecchio. “No! E’ come un grosso muro” disse il quinto che stava toccando il ventre dell’elefante. “No! E’ come un solido tubo” disse il sesto che stava toccando una zanna. I sei non vedenti iniziarono a litigare riguardo alla forma dell’elefante e ciascuno sosteneva di avere ragione. Diventavano sempre più agitati e la tensione aumentava. Un uomo saggio passava di lì e li vide. Si fermò e chiese: “Qual è il problema?” Risposero: “Non siamo d’accordo sulla forma dell’elefante.” E ciascuno raccontò la propria sicura versione. Il saggio uomo con calma spiegò: “Ciacuno di voi ha ragione! Il motivo delle differenze è dato dal fatto che ognuno ha toccato una parte diversa dell’elefante. Infatti l’elefante possiede tutte le caratteristiche che avete descritto.” “Oh!” esclamarono tutti. Da allora non vi furono più litigi: erano tutti contenti di avere ciascuno la propria parte di ragione. 

Pazienza, tolleranza, fermezza
Nel Jainismo la retta condotta consiste nell’osservanza delle cinque regole: Nonviolenza (Ahimsa); verità e sincerità (Satya); non rubare e non essere mai scorretti o sleali (Asteya); castità per i monaci (Brahmacarya) e fedeltà coniugale per i laici; non attaccamento, cioé non possedere nulla per i monaci, e dare tutto il superfluo in beneficenza per i laici (Aparigraha). Altre regole fondamentali sono: pazienza, tolleranza, fermezza, accettazione della derisione e del dolore. Pensiamo a come queste regole abbiano formato la statura del Mahatma Gandhi!
Soma era una giovane Jain molto devota, ma né il marito né la madre di lui approvavano la sua devozione. La suocera cercava di impedirle le meditazioni disturbandola, ma Soma non le prestava attenzione ed era sempre molto gentile con lei cercando di farle capire le proprie motivazioni, senza riuscirvi. Faceva tutto ciò che la suocera le ordinava, e riusciva comunque a ritagliarsi il tempo per le meditazioni. La suocera di Soma arrivò persino a urlare e a picchiarla. Soma rimaneva calma e tollerava tutti questi abusi senza mai dire una parola meno che gentile poiché conosceva l’importanza della pazienza e della tolleranza. Un giorno la suocera di Soma decise di ricorrere a una misura estrema: comprò un serpente velenoso e lo mise in un cesto. Chiamò Soma e le chiese di portarle la ghirlanda di fiori che si trovava in quel cesto. Soma obbedì ed essendo sempre concentrata prima di prendere il cesto sussurrò una preghiera a Mahavira e recitò il Mantra Namokar: mise le mani nel cesto per prendere la ghirlanda e quando estrasse le mani reggeva davvero una ghirlanda di fiori! La suocera di Soma rimase shockata! Soma consegnò la ghirlanda che, non appena venne appoggiata, si ritrasformò in serpente. La suocera allora comprese finalmente la religiosità di Soma e da quel giorno divenne una devota del Jainismo. 

La Compassione dell’Elefante
Il Jainismo rappresenta il più alto e concreto tentativo che mai sia stato attuato in ambito spirituale per eliminare universalmente violenza e sofferenza. “Vivi e lascia vivere, ama tutti, servi tutti!” costituisce il supremo Comandamento jainista.
C’era una volta un elefante che viveva in una foresta insieme ad altri animali. Un giorno un grosso incendio divampò nella foresta. Per salvarsi, tutti gli animali, compreso l’elefante, corsero a mettersi al riparo in un’area sicura. In poco tempo la zona divenne sempre più affollata e si riempì di animali. L’elefante, per un attimo di prurito, sollevò la zampa e, approfittando dell’occasione, un coniglio saltò velocemente a occupare lo spazio libero che si era creato. Nel momento in cui l’elefante stava per riappoggiare la zampa, si accorse del coniglio seduto e, per evitare di ucciderlo o di fargli del male, rimase con la zampa sollevata. L’incendio durò tre giorni, e durante tutto quel tempo l’elefante rimase con la zampa sollevata per non nuocere al coniglio. Quando il fuoco si placò tutti gli animali, compreso il coniglio, se ne andarono. L’elefante era felice di aver salvato la vita del coniglio. Ma quando cercò di appoggiare la zampa non ci riuscì, poiché il suo corpo era rimasto bloccato. Cadde. E morì. Come conseguenza della sua Compassione l’elefante rinacque come Principe Meghkumar nella sua vita successiva. 

Il Principe Nemkumar
Nel Jainismo la scelta vegetariana è fondamentale per avere successo nel percorso di evoluzione spirituale. I Jain (monaci e laici) osservano da sempre uno stretto regime vegetariano. Da quando l’uomo ha industrializzato lo sfruttamento degli animali, i Jain hanno ulteriormente rinvigorito la Dottrina, sconsigliando (in The Book of Compassion) tutti gli alimenti di origine animale, poiché provenienti da violenza. I Jain non mangiano neppure quei vegetali (Udumbaara) estirpando i quali si uccide l’intera pianta.
Il Principe Nemkumar era fidanzato con la Principessa Rajul. Nel giorno del loro matrimonio, il Principe Nemkumar viaggiava verso il palazzo della Principessa Rajul su una carrozza riccamente adornata. Mentre viaggiava felice udì le urla di molti animali e uccelli. Chiese al suo cocchiere il motivo di quelle grida. Il cocchiere gli disse che quelli erano gli animali destinati al suo pranzo di nozze. Questa risposta gelò il sangue nelle vene del Principe Nemkumar e lo rese molto triste. “Gli animali soffrono quando vengono uccisi! Uccidere animali e uccelli per l’alimentazione non è giusto e non è necessario!” disse. Il Principe Nemkumar fece fermare la carrozza e andò a liberare tutti gli animali. L’illuminazione lo raggiunse in quello stesso momento. Egli rinunciò al suo matrimonio e se ne andò. Abbandonò tutte le ricchezze e tutti i piaceri terreni e si ritirò nella foresta a meditare. Molte tra le persone invitate al matrimonio furono illuminate dalla scelta del Principe Nemkumar: divennero compassionevoli e smisero anch’esse di mangiare gli animali. 

Mallinatha
Nel Jainismo le donne rivestono da sempre un ruolo molto importante. Le monache Jain (Saddhvi) hanno accompagnato Mahavira fin dagli inizi della sua predicazione e formano una delle più antiche comunità ascetiche dell’India, attualmente due volte più numerosa di quella degli uomini. La 19ma tra i 24 Saggi Tirthankara (=Costruttori del Ponte) è una donna, Mallinatha, alla quale è dedicato un grandioso tempio sul monte Girnar, in Gujarati.
Mallinatha era una principessa talmente desiderata e bella che ben sei principi la volevano in sposa. Poiché ella rifiutava di incontrarli, essi per vendetta dichiararono guerra a suo padre. Non sopportando la disperazione del padre, Mallinatha accettò allora di incontrare i sei pretendenti, facendoli ricevere in sei stanze separate, da ciascuna delle quali ogni principe poteva contemplare la statua della bellissima principessa. Il giorno dopo, mentre i sei innamorati erano in estasi di fronte alla sublime bellezza della scultura, giunse Mallinatha: tolse i fiori di loto che ricoprivano la statua e subito un insopportabile fetore inondò l’aria. Disse: “Signori, all’interno della statua ho collocato ogni giorno degli alimenti; potete constatare ora che cosa sono diventati. Anche il mio corpo è fatto così: la decomposizione è insita nella mia stessa natura. Non fatevi dominare dal desiderio, dalle passioni, dal senso del possesso”.
Convinti da queste parole, i principi abbandonarono i loro regni e abbracciarono l’ascetismo.
Mallinatha raggiunse quel giorno stesso la Liberazione. 

Il Principe Parshvanath
Il Tithankara predecessore di Vardhamana Mahavira fu Parshvanath, ventitreesimo Costruttore del Ponte tra l’imperfetta natura incarnata e l’ineffabile essenza dell’anima liberata.
Questo racconto allude alla presa di distanza da parte del Jainismo dal sistema vedico, a causa dei riti sacrificali e della divisione in caste.
Un giorno il Principe Parshvanath si imbatté in un bramino che stava officiando pubblicamente un rituale religioso. Con il suo potere extrasensoriale Parshvanath avvertì la presenza di due serpenti rimasti intrappolati nella catasta di legna di uno dei falò accesi dal bramino. Prese a disfare la catasta, facendo infuriare il bramino. Con grande sorpresa di tutti, due serpenti mezzi bruciati uscirono da sotto la legna. Il bramino si vergognò moltissimo. Il Principe Parshvanath recitò il Mantra Namokar per i serpenti morenti. I serpenti mentalmente ringraziarono il Principe Parshvanath e morirono in pace sotto il benefico influsso del Mantra Namokar. A causa della serenità con la quale avevano ascoltato il Mantra, i serpenti rinacquero come Re e Regina degli Angeli. La gente se ne andò amareggiata pensando al grossolano rituale del bramino disattento e non costantemente vigile nel non causare violenza. 

Mahavira, il Grande Eroe
Il 24mo Tirthankara Vardhamana Mahavira visse nel sesto secolo a.C. Al termine di dodici anni di pratiche spirituali giunse all’Illuminazione e dedicò i rimanenti trent’anni della Sua vita al benessere di tutte le creature viventi. Rifiutò i tanti dogmi, pregiudizi, false dottrine, superstizioni che popolavano l’India; si oppose ai sacrifici animali e umani, abolì la divisione in caste e il divieto allo studio per le donne e per le classi povere. Promosse il cammino della Nonviolenza, del distacco, della consapevolezza, dell’austerità, dell’equanimità.
Il piccolo Mahavira, che a quel tempo si chiamava Principe Vardhamana, stava giocando con gli altri bambini a “tocca e cavalca”: chi riusciva a toccare un altro bambino senza farsi toccare avrebbe vinto, e il perdente avrebbe dovuto trasportarlo sulla propria schiena. Un nuovo bambino si unì al gioco. Il Principe Vardhamana batté il nuovo arrivato ma poco dopo, mentre Vardhamana era sulla sua schiena, il bambino iniziò a crescere e diventare sempre più alto e spaventoso. All’inizio gli amici di Vardhamana guardavano l’evento con curiosità, ma la faccia del nuovo bambino iniziò a trasformarsi in un orribile ghigno e i bambini si spaventarono e corsero via in preda al panico. Vardhamana rimase invece calmo e coraggioso. Il mostro continuò a crescere tantissimo per terrorizzare Vardhamana. A un certo punto Vardhamana gli diede un pugno in testa. Il mostro cercò di disarcionare Vardhamana dalla propria schiena per evitare un altro pugno, ma non vi riuscì. Alla fine il mostro si arrese e chiese perdono e Vardhamana lo perdonò prontamente. Il mostro si pentì della sua prepotenza e del suo inganno, e chiamò il Principe Vardhamana con il nome di Mahavira, che significa Grande Eroe. Da quel momento in poi il Principe Vardhamana venne chiamato da tutti Mahavira. 

Avvicinare le Creature con amicizia
Presso i templi e le comunità dei Jain, gli animali non debbono temere per la propria incolumità. I Jain organizzano alloggi per uccelli, animali anziani, abbandonati, feriti (Panjarapole), e d’abitudine acquistano animali dai macellai per dare loro salvezza e ricovero.
Nei sussidiari dei bimbi Jain, Himsa (violenza) è simboleggiata dal disegno del macellaio e dal disegno del cacciatore.
Un giorno il Principe Vardhamana insieme agli altri bambini stava giocando vicino a un grande albero secolare. Di colpo essi videro un serpente nero con gli occhi gialli che soffiava minaccioso. Gli amici del Principe Vardhamana si spaventarono: alcuni scapparono via, altri si arrampicarono sull’albero. Soltanto Vardhamana rimase calmo. Andò vicino al serpente. Dolcemente lo accarezzò, lo prese e lo spostò senza fargli del male. Tutti gli altri bambini si rassicurarono. Vardhamana disse loro: “Dovete avvicinare le creature con amicizia, non con paura!” 

Il Re Meghrath
Il Jainismo è una Dottrina spirituale ateista nel senso che rifiuta scientificamente ed empaticamente l’idea di un creatore increato, ritenendola non utile per il progresso spirituale dell’individuo. Il sacro è insito nell’anima di ogni essere vivente; ognuno può aspirare alla deità: il Jainismo riconosce infatti numerosissimi Dei, intesi come esseri autoliberatisi grazie ai propri sforzi personali.
Due Dei si recarono sulla terra per mettere alla prova la Compassione del Re Meghrath: uno assunse la forma di piccione, l’altro di falco. I due entrarono a palazzo dove il falco cercò di catturare il piccone per mangiarlo. Visto ciò, il Re Meghrath gli disse: “Io posso darti dell’altro cibo!” e gli offrì un canestro di prelibatezze, ma il falco disse: “Io non sono un essere umano, non sono vegetariano, ho bisogno di carne come cibo!” Il Re gli disse: “Lascia dunque che ti dia la mia stessa carne al posto di quella del piccione!” Uno dei dignitari esclamò: “Vostra Maestà, perché non prendere un po’ di carne dal macellaio?” Il Re replicò: “No, perché quando noi consumiamo vegetali fiorisce il commercio del fruttivendolo, mentre se consumiamo carne fiorisce il commercio del macellaio. Il macellaio deve uccidere un animale per darci la carne che gli chiediamo.” Con queste parole, il Re prese la sua spada, si tagliò un pezzo di carne dalla gamba e la offrì al falco. Ma il falco ne voleva di più e di più, fin che, col cuore pieno di compassione, il Re decise di offrire tutto il suo corpo. L’intera corte non riusciva a capacitarsi che il Re fosse disposto a donare la propria vita per quella di un insignificante uccello mai visto prima! Ma il Re sapeva che il suo dovere e la sua Dottrina erano più importanti di tutto il resto. Quando il piccione e il falco riassunsero la loro forma divina, si inchinarono al Re e dissero: “Oh grande Re! Che tu sia benedetto! Ci hai dimostrato di essere un Re coraggioso e compassionevole. Sia lode a Te!” L’intera corte esultò: “Lunga vita al Re Meghrath!” Qualche vita dopo l’anima del Re Meghrath divenne il sedicesimo Tirthankara Shantinatha. 

I Sutra del Perdono
Il Jainismo insegna la condivisione e la cura di tutti gli esseri viventi attraverso atti concreti: soccorrerli, proteggerli, servirli.
Implica l’amicizia universale, il perdono, la non-paura.
I Sutra del Perdono recitano:
Io domando perdono a tutti gli esseri viventi, possano tutti gli esseri viventi perdonarmi. La mia amicizia è verso tutti gli esseri viventi. Qualunque torto io abbia commesso, chiedo perdono a tutti gli esseri viventi!

Un giorno Mahavira decise di passare attraverso la foresta dove viveva il temuto cobra velenoso Chandkaushik. Mahavira non aveva paure: considerava la paura e l’odio come violenza verso se stessi. Quando arrivò nella terra di Chandkaushik, Mahavira si fermò per meditare. Chandkaushik sentì che qualcuno si era introdotto nel suo territorio: uscì dalla sua tana, iniziò a soffiare a Mahavira per spaventarlo, poi lo morse e gli iniettò il veleno. Mahavira aprì gli occhi, era tranquillo e totalmente privo di paura o rabbia. Guardò Chandkaushik negli occhi e gli disse con amore e compassione: “Svegliati Chandkaushik! Pensa a cosa stai facendo!” Chandkaushik si calmò immediatamente e comprese dove lo avevano portato la rabbia e l’ego delle sue vite precedenti. Pacificamente appoggiò la testa al suolo. Mahavira riprese il suo cammino. Chandkaushik, ormai in pace, entrò nella tana solo con la testa, lasciando fuori il corpo. Quando si seppe che Chandkaushik non era più pericoloso, alcuni andarono a vederlo e lo trovarono disteso in pace. Qualcuno, arrabbiato per aver perso a causa sua persone amate, gli tirò pietre. Il sangue del cobra attirò le formiche che iniziarono a cibarsi delle sue carni. Il cobra rimase calmo, in pace, senza più rabbia. Questo autocontrollo dei propri istinti distrusse il karma negativo accumulato. E così Chandkaushik fu liberato dalle rinascite. 

Uno Stato interamente Vegetariano
In epoca medievale un intero Stato indiano, il Gujarati, sotto la guida di un saggio Re Jain fu interamente vegetariano e bandì qualsiasi uccisione e maltrattamento di animali.
Intorno al 1133 il regno di Kumarpal, Re del Gujarati, Stato dell’India occidentale, fu largamente influenzato dagli insegnamenti del grande Maestro Jain Acharya Shri Hemchandrasuri (1089-1173), seguace di Mahavira.
Il Re Kumarpal era così ispirato dagli insegnamenti dell’Acharya Shri Hemchandrasuri sull’Ahimsa e sulla Compassione, che aveva introdotto nell’intero Stato il divieto di mangiare animali, e di ucciderli per il cibo, per lo sport, per il divertimento.
Fu così che per molte generazioni lo Stato del Gujarati divenne interamente vegetariano e nessuno uccise più animali, né li torturò o li sfruttò.
Questo è forse l’unico caso di uno Stato che per un certo periodo seguì l’antico principio dell’Ahimsa, e divenne interamente vegetariano e nonviolento per più e più generazioni. 

La Simbologia Jainista
Tutta la simbologia jainista consiste nella luna, nei tre punti, nell’AUM o Svastica (dal Sanscrito “Salute”, “Prosperità”), nel palmo della mano con al centro la ruota (Chakra), nella figura di contorno che racchiude tutti questi simboli. Nel Jainismo ogni simbolo individuale viene usato anche separatamente.
I tre punti rappresentano la Trinità jainista, la Via della Liberazione: Retta Fede (Samyak Darshan), Retta Conoscenza (Samyak Jnana), Retta Condotta (Samyak Charitra).
La luna rappresenta il luogo dove risiedono le Anime liberate (Moksha).
Al centro troviamo indifferentemente AUM (forma schematica del Mantra Namokar, il principale Mantra jainista) o Svastica (i cui quattro raggi ricordano che le anime non liberate sono sottoposte a un continuo ciclo di nascite, sofferenze, morte).
Il palmo della mano simboleggia l’affermazione “Non avere paura” rivolta agli Esseri viventi, sofferenti a causa dei legami karmici, affinché non si scoraggino nel proseguire saldamente sulla Via della Liberazione.
La ruota (Chakra) con i ventiquattro raggi rappresenta la Dottrina insegnata dai ventiquattro Saggi Tirthankara.
La figura di contorno simboleggia un essere umano stilizzato, e rappresenta la descrizione jainista della forma dell’universo.
Il testo sotto il simbolo è “Parasparopagraho Jivanam” che significa: “Scopo degli Esseri viventi è servirsi l’un l’altro”.
La metafisica jainista attribuisce grande importanza alla logica sul piano cognitivo; viene data una spiegazione scientifica, codificata nei minimi particolari, dell’origine e del divenire degli universi, eterni e increati, in cui si dimostra scientificamente che l’anima non nasce e non muore, ma migra di corpo in corpo fino alla sua Liberazione, che può essere ottenuta disgregando i frutti dei propri karma negativi e dei propri attaccamenti.
La filosofia dei Jain postula le Dottrine del Non-assolutismo e della Molteplicità dei punti di vista (“Anekantavada” e “Syadvada”) e la Dottrina della Costante Vigilanza.
Le Dottrine del Non-assolutismo e della Molteplicità dei punti di vista insegnano ad allargare il proprio punto di vista, la prospettiva di giudizio, e a vedere in ogni affermazione, pensiero, credo, contemporaneamente una parte di vero, di non vero, di descrivibile e di indescrivibile. L’adozione di queste Dottrine apre la mente e il cuore all’ecumenismo e al superamento di ogni differenza di religione, di pensiero, di appartenenza.
La Dottrina della Costante Vigilanza richiede ai Jain di non allentare mai la propria attenzione nei confronti del rispetto per tutte le vite, e nei confronti dell’applicazione dell’Ahimsa. E’ detto che un individuo costantemente vigile è sempre nonviolento, anche quando per una circostanza imponderabile e involontaria causi una violenza; mentre un individuo disattento è sempre violento nel suo cuore, anche quando non causa direttamente una violenza.
I ventiquattro Saggi Tirthankara ( = Costruttori del ponte) sono esseri umani illuminati e autoliberatisi grazie alla loro condotta e alla loro disciplina; il loro compito è essenzialmente quello di indicatori della Via verso la Liberazione.
Ogni progresso personale nella vita dell’individuo e la disgregazione dei karma accumulati, possono avvenire unicamente grazie ai propri sforzi, alla condotta, all’impegno, alla disciplina dell’individuo. Ciò si descrive nel Jainismo attraverso l’adozione dei tre Gioielli: Retta Fede, Retta Conoscenza, Retta Condotta.
Il termine Jain significa Vittorioso e designa colui che ha vinto sugli attaccamenti, sulle avversioni, sull’egoismo, sul materialismo, sulle passioni, sull’aggressività. L’origine del Jainismo si perde nella notte dei tempi; sono noti al mondo gli ultimi ventiquattro Saggi Tirthankara che reiterarono i fondamenti della Dottrina, il più recente dei quali, Vardhamana Mahavira visse in India intorno al 500 a.C. Mahavira era contemporaneo di Buddha; come lui figlio di un raja, decise di ritirarsi per meditare sulla natura dell’anima raggiungendo il Nirvana pare con vent’anni di anticipo sul Buddha. Sia Buddha che Mahavira si opposero al vedantismo a causa della divisione in caste e dei sacrifici animali.
Come rilevato da diversi studiosi, il Jainismo rappresenta il massimo tentativo che sia stato messo in atto in ambito spirituale per ridurre o annullare la violenza.
L’alimentazione dei Jain è da sempre molto restrittiva. I Jain, oltre a non cibarsi di alcun animale, non si cibano neppure di tutte quelle creature vegetali estirpando le quali si uccide l’intera pianta, come cipolle, patate, carote, rape, radici, bulbi.
I Jain non si cibano neppure del miele, poiché prodotto mettendo in pericolo la vita delle api.
Inoltre non si cibano di quei frutti – come il melograno o i kiwi – dove non sia possibile separare dalla polpa commestibile i semi per restituirli alla terra e permettere loro di compiere il proprio ciclo di vita, come è doveroso fare, per i Jain, con tutti i semi di tutti i frutti.
Con l’avvento dell’industrializzazione dello sfruttamento degli animali, e la crudele “creazione” dell’animale-macchina (“macchina da latte”, “macchina da uova”), poi, i Jain si sono spinti oltre, compiendo un passo ancor più rigoroso nella direzione della Nonviolenza pratica quotidiana.
I Jain hanno pubblicato nel 2001 in India e in USA un Volume di aggiornamento dottrinale, scritto dai Jain per i Jain, nel quale viene evidenziata la necessità di abolire il consumo di tutti i prodotti derivanti da violenza e sfruttamenti sugli animali, come latte, uova, formaggi, burro, latticini.
Questo volume, THE BOOK OF COMPASSION – Reverence for all Life, IL LIBRO DELLA COMPASSIONE – Riverenza verso ogni Vita, è stato tradotto da Claudia Pastorino e Massimo Tettamanti, e pubblicato in Italia nel 2002 dall’EDITORE COSMOPOLIS col titolo IL JAINISMO, LA PIU’ ANTICA DOTTRINA DELLA NONVIOLENZA, DELLA COMPASSIONE, DELL’ECOLOGIA.

Le già severe restrizioni alimentari prescritte dalla Dottrina dei Jain sono state così sottoposte a una revisione critica per attualizzare l’adesione alla Regola dell’Ahimsa nei nostri giorni. Con il rigore che da sempre li contraddistingue, i Jain, in seguito all’invenzione spietata dell’”animale-macchina”, hanno adottato per se stessi regole sempre più restrittive.
E’ così che attualmente i Jain vanno sostituendo il latte di bovine con i numerosi latti vegetali (di soia, di avena, di mandorle, di riso, d’orzo, di farro, etc.)
Il modello Vegan auspicato dai Jain è di fatto l’unico modo per vivere pienamente la Regola d’oro dell’Ahimsa oggi. Attualmente il Jainismo è l’unico ambito spirituale a suggerire l’alimentazione Vegan quale massima espressione di una Nonviolenza quotidiana pienamente vissuta.
Una mucca è un animale dotato di cinque sensi (Panchendriya) che inoltre possiede una mente. La crudeltà verso gli animali a cinque sensi è considerata il più grande peccato nelle Scritture Jain
Pravin K. Shah “The Book of Compassion”
Da SAMAN SUTTAM – IL CANONE DEL JAINISMO, LA PIU’ ANTICA DOTTRINA DELLA NONVIOLENZA
tradotto da Claudia Pastorino e Claudio Lamparelli, Mondadori, 2001


 (147) E’ caratteristica essenziale di ogni uomo saggio che non uccida alcun Essere Vivente. Senza dubbio, un individuo dovrebbe comprendere semplicemente i due principi chiamati Non-violenza ed Eguaglianza verso qualsiasi Essere Vivente.
(148) Tutti gli Esseri Viventi vogliono vivere e non morire; per questo le persone completamente prive di attaccamenti (Nirgranthas) proibiscono l’uccisione degli Esseri Viventi.
(149) In tutti i casi, sia consapevolmente che inconsapevolmente, un individuo non dovrebbe mai uccidere gli altri Esseri Viventi -mobili o immobili- di questo mondo, né permettere ad altri di ucciderli.
(150) Come il dolore non ti è gradevole, ugualmente non lo è per gli altri. Conoscendo questo principio di Eguaglianza, tratta sempre gli altri con Rispetto e Compassione.
(151) Uccidere un Essere Vivente è come uccidere sé stessi; mostrare compassione ad un Essere Vivente è come mostrarla a se stessi. Colui che desidera il proprio bene, dovrebbe evitare di causare qualsiasi tipo di danno ad un altro Essere Vivente.
(152) L’Essere Vivente che vorresti uccidere è uguale a te stesso; l’Essere Vivente che vuoi tenere sottomesso è uguale a te stesso.
(154) Anche la sola intenzione di uccidere causa la schiavitù del karma, sia che tu uccida sia che tu non uccida; dal punto di vista reale, la natura di chi manifesta l’intenzione di uccidere è schiava del karma.
(155) Sia il non astenersi dalla violenza, che l’intenzione di commetterla, è himsa (violenza).
Anche il comportamento non costantemente vigile a causa delle passioni, equivale a himsa.
(156) La persona saggia è quella che lotta sempre per sradicare i suoi karma e che non è attratta da himsa. Uno che si sforza fermamente di rimanere non-violento è, dal punto di vista reale, ‘uno che non causa uccisioni’.
(157) Secondo le Scritture l’individuo è sia violento che non-violento. Quando l’individuo è attento e vigile sulla propria condotta, è non-violento; quando si distrae, è violento.
(158) Non esiste una montagna più alta del Meru; non esiste niente di più esteso del cielo; ugualmente, si sa che non esiste in questo mondo una religione più grande della Religione dell’Ahimsa. 

La Filosofia Jainista non crede nella teoria per cui un Dio abbia creato, mantenga o possa distruggere l’universo. Al contrario, afferma che l’universo sia sempre esistito e sempre esisterà, in base alle leggi del cosmo. Non esiste altro che l’infinito, sia nel passato che nel futuro.
L’universo è costituito sia da Esseri viventi dotati di anima, chiamati Jiva, sia da Esseri non dotati di anima, chiamati Ajiva.
Gli esseri inanimati sono suddivisi in cinque categorie: la Materia (Pudgala), lo Spazio (Akasha), il Mezzo del movimento (Dharmastikaya), il Mezzo della staticità (Adharmastikaya), il Tempo (Samaya).

Gli Esseri viventi dotati di anima, insieme alle cinque categorie di Esseri inanimati, sono tutti aspetti della realtà, anche conosciuti nel Jainismo come le sei realtà (o sei sostanze, o sei entità) universali.
Queste sei entità dell’universo sono eterne e continuamente sottoposte a innumerevoli mutamenti. Nulla si perde né si distrugge durante questi cambiamenti, ma tutto si trasforma in altre forme. L’universo è costituito dalla combinazione delle sei sostanze universali; tutte loro sono indistruttibili, immortali, eterne, e continuamente sottoposte a trasformazioni.
Gli Esseri viventi dotati di anima (Jiva) sono di numero incalcolabile nell’universo, numero che rimane lo stesso nell’intero universo. Le anime non possono essere create né distrutte.

Gli Esseri viventi Jiva sono suddivisi in due categorie principali, Anime liberate (Siddha Jiva) e Anime non liberate (Sansari Jiva).
Le Anime liberate, non più intrappolate nel ciclo di morti e rinascite, risiedono nella parte superiore dell’universo, sono senza forma corporea, e possiedono la perfetta conoscenza e la totale percezione; tutte hanno le stesse qualità e tra loro non vi sono differenze di status.
Le Anime non liberate possiedono limitata conoscenza, limitata visione, limitato potere; esse possiedono un corpo (di pianta, di essere infernale, di animale, di essere umano, o di angelo), sono intrappolate nel ciclo di morti e rinascite a causa dei karma accumulati, e tutte loro hanno la possibilità di liberarsi dalle continue sofferenze del ciclo trasmigratorio delle reincarnazioni.
L’anima esiste nella terra, nell’acqua, nell’aria, nel fuoco, negli esseri umani, negli esseri celesti, negli esseri infernali, negli animali, nei pesci, negli uccelli, negli insetti, nei germi, nelle piante, etc.
Gli esseri viventi sono suddivisi nel sistema filosofico Jainista in base al numero di sensi che posseggono, e sono classificati in due categorie, le Anime immobili e le Anime mobili.

Le Anime immobili (Sthavar Jiva), suddivise in cinque sottogruppi, sono gli Esseri viventi dotati di un solo senso, il tatto:
Esseri viventi con il corpo fatto di terra, come il terreno, la sabbia, i minerali, etc;
Esseri viventi con il corpo fatto d’acqua, come i fiocchi di neve, il ghiaccio, la rugiada, la pioggia, etc;
Esseri viventi con il corpo fatto di fuoco, come la fiamma della candela, il fuoco, i fulmini, etc;
Esseri viventi con il corpo fatto di aria, come il vento, l’aria stessa che tutti noi respiriamo, etc;
Esseri viventi con il corpo vegetale, come gli alberi, le radici, le piante, le foglie, i frutti, l’erba, i fiori, etc.
Poiché l’acqua, le piante, e tutta la terra sono esseri viventi, noi non dovremmo mai maltrattarli.
Noi non dovremmo schiacciare o danneggiare l’erba, usare più acqua del necessario.
Noi dovremmo salvare la nostra terra e prenderci cura di essa.
Noi non dovremmo inquinare l’aria, l’acqua, i terreni: causare danno all’ambiente e provocare inquinamento è considerato un atto di Himsa, violenza.
Le Anime mobili (Tras Jiva), sono classificate in Esseri viventi a due sensi, a tre sensi, a quattro sensi, a cinque sensi:
Beindriya Jiva, gli Esseri viventi dotati di due sensi (il tatto e il gusto) come Vermi, Molluschi delle conchiglie, Tarme, Termiti, Microbi generati da cibo stantio, etc.
Treindriya Jiva, gli Esseri viventi dotati di tre sensi (tatto, gusto, olfatto) come Formiche, Chiocciole, Lumache, etc.
Chaurindriya Jiva, gli Esseri viventi dotati di quattro sensi (tatto, gusto, olfatto, vista) come Farfalle, Api, Mosche, Ragni, Grilli, Scorpioni, Locuste, etc.
Panchendriya Jiva, gli Esseri viventi dotati di cinque sensi (tatto, gusto, olfatto, vista, udito) come Esseri umani, Mucche, Leoni, Pesci, Uccelli, Elefanti, Cani, Gatti, Maiali, Galline, etc.
La crudeltà verso gli Esseri a cinque sensi è considerata il più grande peccato nelle Scritture Jainiste.
Da L’ESSENZA DEL JAINISMO – LA STORIA, IL PENSIERO, LE FIABE
di Claudia Pastorino e Massimo Tettamanti, Editori Riuniti, 2003

L’India è uno straordinario Paese ricco di tradizioni spirituali.

Proprio quando l’Occidente era convinto di conoscerne la storia, le religioni e le filosofie, l’India ci sorprende con una antichissima e affascinante Dottrina spirituale pressoché sconosciuta in Italia, il Jainismo.

Il Jainismo costituisce senza dubbio il più alto e concreto tentativo che sia mai stato attuato in ambito spirituale per indicare un modo di vita profondamente nonviolento, non solo nella teoria ma anche e soprattutto nella pratica quotidiana.

Intorno al sesto secolo avanti Cristo, nell’India settentrionale, visse e predicò un grande Illuminato al quale viene riconosciuta personalità storica, Vardhamana Mahavira. Egli non fondò una nuova Dottrina, ma reiterò la Dottrina predicata dai ventitré Saggi (Tirthankara = “costruttori del guado”) che lo avevano preceduto: il Jainismo, la più antica Dottrina della Nonviolenza e della Compassione universale.
Mahavira, figlio di un raja, all’età di trent’anni decise di abbandonare gli agi della casa paterna per ritirarsi a meditare sulla natura dell’anima e sulla via per la Liberazione dalla sofferenza del ciclo trasmigratorio di morti e rinascite.
Contemporaneo del Buddha, prese anch’Egli le distanze dal sistema vedico a causa soprattutto della divisione in caste e dei sacrifici animali. Ma al contrario del Buddha che, dopo aver seguito per anni il modello ascetico se ne discostò per ricercare la “via di mezzo”, Mahavira rinvigorì le regole ascetiche, prescrisse un codice monastico fondato sul distacco, delineò un codice morale dal quale fosse bandita anche la minima violenza contro qualsiasi creatura umana, animale o vegetale. Mahavira insegnò la parità tra tutti i viventi, senza distinzioni di casta, di sesso, di specie o di razza.
Il termine “Jain” significa “Vittorioso” e designa colui che abbia vinto sugli attaccamenti, sulle avversioni, sull’egoismo, sul materialismo e sulle passioni.
Il Jainismo è una Dottrina spirituale ateista, che non presuppone, cioè, l’esistenza di un Dio né di più Dei creatori dell’Universo. Il Jainismo identifica il Sacro con l’energia vivente: l’anima di ogni essere vivente (uomo, animale, vegetale, e anche degli elementi) è eterna e divina.

L’anima ritorna a fondersi con l’Assoluto e si libera dalla sofferenza delle rinascite, soltanto dopo essersi completamente liberata dagli attaccamenti, attraverso il distacco, le meditazioni, le austerità, l’autopurificazione, l’ascetismo e la stretta osservanza del comandamento dell’Ahimsa, cioè Nonviolenza attiva verso tutte le Creature: questa è, nel Jainismo, la via verso la Liberazione.
Occorre sciogliere il nodo tra l’anima e la materia, determinato dai frutti delle azioni che sono state compiute, sia cattive che buone, che generano inevitabilmente karma (negativo o positivo): l’accumulo di karma è la causa diretta delle rinascite
L’universo jainista è ricco e composito: le anime incatenate alla materia si reincarnano in questo mondo terreno nelle varie forme viventi, oppure nella regione celeste in forma di angeli, semidei o dei, o ancora nella regione infernale: in ogni caso, tutte queste anime aspirano a liberarsi dal corpo per raggiungere lo stadio di “Anima Liberata” e rifondersi con l’Assoluto.
L’osservanza dell’Ahimsa costituisce il cuore stesso e la regola d’oro del Jainismo; Ahimsa significa simpatia, fratellanza, amore verso ogni creatura; significa riconoscere in ogni altro il proprio sé. Il Jainismo attribuisce, inoltre, estrema importanza alla “Costante Vigilanza” e all’”Intenzione”: l’Ahimsa deve essere applicata attivamente in ogni istante della propria esistenza e nei confronti di qualunque vivente.
Il Jainismo postula la dottrina dell’Anekantavada, cioè relatività della conoscenza o molteplicità dei punti di vista: questa dottrina, ben esemplificata dalla favola “L’elefante e i non vedenti”, insegna a riconoscere una parte di verità in ogni idea, pensiero, religione, aprendo così la mente e il cuore a un reale ecumenismo e all’accettazione delle differenze.

Un aspetto interessante della devozione jainista è che questa non è concepibile per l’ottenimento di miglioramenti spirituali o materiali: la riverenza ai ventiquattro Saggi Tirthankara è fine a sé stessa; compito dei Saggi è essenzialmente quello di Indicatori della giusta via verso la Liberazione. Ogni progresso personale può avvenire unicamente grazie agli sforzi, alla condotta e all’impegno personale del singolo individuo.

Il Jainismo si divide in due Scuole principali: Svetambara e Digambara.
I monaci e le monache Svetambara ( = “Vestito di bianco”) generalmente possiedono un abito bianco, una ciotola per il cibo e l’acqua, un bastone per accompagnarsi nei lunghi tragitti a piedi, un piumino per rimuovere gli insetti dal loro cammino e prima di sedersi e coricarsi, una pezzuola sulla bocca per non nuocere ai batteri dell’aria.
I monaci e gli asceti Digambara ( = “Vestito di cielo”) generalmente possiedono il piumino e un contenitore per l’acqua con cui lavarsi i piedi prima di entrare nei templi; prendono il cibo e l’acqua da bere nel cavo delle mani giunte.
I Jain (monaci e laici di entrambi le Scuole), oltre a non cibarsi di alcun animale (di aria, di acqua e di terra), non si cibano neppure di tutte quelle creature vegetali prelevando le quali si uccide l’intera pianta non lasciandole la possibilità di continuare a crescere e a produrre i suoi frutti (come i bulbi e le radici: carote, patate, rape, eccetera); non si cibano dei frutti ricchissimi di semi, e quindi di anime, come il melograno, dove è difficile separare la polpa commestibile dai semi (che vanno restituiti alla terra senza danneggiarli); non si cibano di miele, prodotto mettendo in pericolo la vita delle api. Dall’avvento dell’industrializzazione dello sfruttamento degli animali per la produzione di uova, latte e latticini (allevamenti intensivi e allevamenti in batteria), i Jain bandiscono anche gli alimenti di origine animale, poiché la loro produzione comporta inevitabilmente violenza (Himsa) sugli animali.

Le più recenti indicazioni dottrinali jainiste suggeriscono uno stile di vita Vegan al fine di ridurre al minimo la violenza.
Questo codice morale fa del Jainismo una Dottrina che, pur così antica, si trova a essere in linea con il più spinto pacifismo, animalismo e ambientalismo contemporanei.
Proprio l’estremo rigore nella pratica della Nonviolenza ha contribuito a fare del Jainismo, nel corso dei secoli, una Dottrina minoritaria: attualmente i Jain sono circa dodici milioni, quasi tutti in India e negli Stati Uniti d’America.
Fra il 100 e l’800 d.C. vennero compilate numerose Scritture sia dalle comunità di Digambara che dalle comunità di Svetambara.
Intorno al 1970, grazie all’iniziativa di Sri Acharya Vinobaji, studioso indiano di Religioni e discepolo del Mahatma Gandhi (a sua volta di fede jainista), i Jain indiani decisero di redigere un testo comune e unanime per la divulgazione nel mondo della loro Dottrina: per la realizzazione di quest’opera unitaria vennero riuniti in assemblea tutti i monaci rappresentanti delle diverse Scuole jainiste.
Vinobaji, insieme ad alcuni collaboratori, studiò le principali Scritture jainiste e stese una prima versione dell’Essenza del Jainismo, sulla base della quale l’assemblea elaborò all’unanimità la versione definitiva del “Saman Suttam” (= “Il libro dei credenti nella non esistenza di Dio”), suddivisa in 756 versetti sul modello del “Dhammapada”.
Nel 1975 venne data alle stampe la versione in prakrito con la traslitterazione in caratteri latini: per la prima volta veniva pubblicato un lavoro unanime, che, finalmente, avrebbe potuto divulgare l’Essenza del Jainismo in tutto il mondo.
Nel 1993 venne pubblicata, in India e negli Stati Uniti, la prima versione tradotta in inglese.
Nel 2001 è stata pubblicata, per la prima volta in Italia, la traduzione in lingua italiana, “Saman Suttam, il Canone del Jainismo, la più antica Dottrina della Nonviolenza”, a cura di Claudia Pastorino e Claudio Lamparelli.
Coltivare intenzioni positive verso noi stessi e verso gli altri, nutrire sentimenti di amore e di fratellanza attiva verso tutte le creature, vedere sé stesso in ogni altro vivente: questi sono gli insegnamenti del Jainismo. La proposizione dottrinale jainista è, infatti: “Vivi e lascia vivere. Ama tutti, servi tutti!”, ove per tutti si intendono gli esseri umani, animali e vegetali, ma anche la terra, il fuoco, l’acqua e l’aria.
Le fiabe e i racconti jainisti più significativi, raccolti per la prima volta in un unico libro, costituiscono un modo piacevole di accostarsi alla conoscenza di questa antica (ma, per molti versi, così attuale) Dottrina.
Benvenuti nell’affascinante mondo jainista!
Da L’ESSENZA DEL JAINISMO – LA STORIA, IL PENSIERO, LE FIABE
di C. Pastorino e M. Tettamanti, Editori Riuniti, 2003
FIABE JAINISTE DALL’INDIA

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