venerdì 28 agosto 2015

Perché il karma?

Karma letteralmente significa “azione”, ma ritengo più appropriato definirlo come “impulso all’azione”, perché vedremo che è proprio il nostro karma che ci spinge a fare quello che facciamo, nel modo in cui lo facciamo.
Questa legge viene definita anche di causa ed effetto, e afferma il principio di causalità: “Non vi è effetto senza causa e le stesse cause producono sempre gli stessi effetti”. O anche: “Ciò che si semina si raccoglie e non si raccoglie altro che ciò che si è seminato”.

Sembra una legge che riguarda solo la religione e la spiritualità, ma in realtà esiste su tutti i piani. 
Sul piano fisico è stata espressa come il terzo principio della dinamica, che attraverso la formulazione originaria di Newton, recita: “ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria“. Sempre citando Newton: “Per ogni forza che un corpo A esercita su di un altro corpo B, ne esiste istantaneamente un’altra uguale in modulo e direzione, ma opposta in verso, causata dal corpo B che agisce sul corpo A”.

Prendiamo in considerazione come questa legge si esprime praticamente nelle nostre vite.
…una forza uguale e contraria: UGUALE, cioè se ho agito odio mi ritornerà odio, e CONTRARIA vuol dire che se prima l’ho agito, dopo dovrò subirlo. 
Ma la legge vale per qualsiasi qualità, quindi se agisco amore inevitabilmente mi ritornerà amore.

Per questo Gesù ci ha dato un solo comandamento, “Amatevi!!!”, perché se vogliamo ricevere amore dovremo agire con amore. Sembrano frasi fatte e invece hanno un significato molto profondo, ben chiaro a chi conosce la Legge (il Dharma).
Comprendere il Karma significa comprendere le esperienze che continuamente si presentano nella nostra vita e saperle utilizzare per il meglio. Ogni azione (karma) produce effetti ben determinati e determinabili, che a loro volta sono causa di nuove azioni, secondo la Legge.

Non vi è punizione, non vi è giudizio, il karma non è un concetto morale, è la vita che si esprime secondo le sue leggi. 

Se impariamo a conoscerle, vivremo in armonia con esse e troveremo equilibrio e pace. Viceversa, l’ignoranza delle leggi ci fa agire seguendo gli impulsi all’azione dettati dal nostro karma inconscio, e questa è la vera causa della sofferenza (come diceva il Buddha) .

A che scopo tutto ciò?
Noi siamo essenzialmente spirito che si incarna in un corpo fisico allo scopo di sperimentare e conoscere la vita su tutti i piani (…Adamo ed Eva che dall’Eden discendono nella materia dopo avere mangiato il frutto della conoscenza del bene e del male… ). Il karma favorisce la realizzazione di questa conoscenza.

Quando compio un’azione, sperimento il lato A della medaglia, cioè cosa si prova a compiere quella azione (per es. arricchirsi a spese del prossimo), ma se voglio conoscere la vita in tutte le sue sfaccettature dovrò sperimentare anche cosa si prova a “subire” quella stessa qualità energetica, il lato B della stessa medaglia.

Per esempio, quando agisco con avidità proverò le sensazioni relative, ma la vita, che è perfetta, mi farà poi scoprire anche cosa si prova a subire quella stessa avidità. Allo stesso modo, se agisco amore la vita mi farà “subire” la stessa cosa… E’ così che arriveremo alla comprensione del bene e del male.

Solo quando avremo compreso sia il lato A che il lato B della medaglia potremo dire di avere “capito” questo aspetto della vita, e allora non sarà più necessario reiterare l’esperienza. 
La coscienza è per sempre, la consapevolezza che maturiamo con l’azione è l’unica cosa che non ci potrà mai essere tolta, nemmeno dalla morte. Perché una volta che hai compiuto l’esperienza in tutti i suoi aspetti questa è compiuta, l’anima non ha più bisogno di sperimentarla, quindi non ti porterà più in situazioni dove dovrai affrontare ancora quel karma… hai estinto quella spinta all’azione!

Mai più vuol dire che, se per caso crediamo nella reincarnazione, non ci riguarderà più neanche nelle vite future. Sicuramente ci saranno nuove esperienze da vivere, nuovi “impulsi all’azione” da seguire, fino a quando avremo sperimentato tutto nei tre mondi e, finalmente liberi da karma, potremo dire: “Tutto è compiuto!”. Da quel momento, tutto quello che faremo lo faremo con consapevolezza, non più condizionati da un’impulso all’azione proveniente dall’inconscio.

Il karma non è ineluttabile, può essere o subito o trasformato! Visto che lo scopo non è la punizione ma il comprendere gli effetti delle nostre azioni, e visto che la spinta all’azione nasce dal nostro inconscio (nel prossimo articolo vedremo come e dove), vediamo gli strumenti che il Raja Yoga mette a disposizione per trasformare il proprio karma.

Bisogna innanzitutto vedere il karma in azione, perché non si può trasformare ciò che non si conosce. Dharana è lo strumento che mi permette di cogliere i messaggi che la vita mi mette di fronte, capire che sono orchestrati dall’anima allo scopo di conoscere, e vedere che, se non compresi, mi porteranno a subire quel karma. Il secondo strumento, approfondimento del precedente, è dhyana, la meditazione, che mi consente di affrontare quello che sto vivendo, tirare i fili che vanno alle vere cause della sofferenza e applicare la forza necessaria per “disattivarle”. A quel punto non sarà più necessario subire il karma, perché avrò compreso l’esperienza fino alla radice!

Detta così sembra anche facile, ma la spinta all’azione del karma ha una discreta forza, e fino a quando tu non hai la forza adeguata per affrontarla puoi solo subirla. La meditazione serve anche a sviluppare la forza necessaria per affrontare… noi stessi.
Chi mette in moto questi processi consapevolmente diventa un “aspirante”, che è colui che passa dal “sentiero del dolore” (quello dell’umanità media, dove il karma si subisce) al “sentiero della prova” … suona già meglio, ma questa è un’altra storia.

1 commento:

  1. Purtroppo una visione molto semplicistica della vita e ... niente di nuovo.

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