Gli antichi
pensavano che il cielo rispecchiasse in qualche modo la perfezione della
divinità, per cui cercavano di far corrispondere le osservazioni dei
corpi celesti a qualche legge matematica “semplice ed elegante”. I
filosofi dell’antica Grecia, che dobbiamo considerare in qualche modo
anche i primi scienziati della storia d’Europa, seguirono molto questa
strada...
.
Platone pensava che
tutte le regole della natura stessero in un “mondo delle idee” e che
l’uomo, con la ricerca filosofica (termine che per lui voleva anche dire
“scientifica”, più o meno), “scoprisse” queste leggi della natura,
senza “creare” nulla(*). Aristotele, che fu suo allievo e che influenzò
tutta la storia del pensiero occidentale fino al Rinascimento, fu un
convintissimo esponente di questa corrente filosofica, inducendo molti
pensatori a mettere in secondo piano l’osservazione della natura e a
concentrarsi sul pensiero deduttivo.
Applicando questa visione
all’Universo, è naturale pensare a orbite perfettamente circolari, come
se i pianeti fossero incastonati su sfere perfette e concentriche, con
raggi legati da qualche legge numerica semplice e precisa. Ad
esempio, i corpi celesti identificati con “pianeti” all’epoca erano 7,
un numero ricorrente nella Bibbia, cosa che non guastava, se si voleva
dare un significato numerologico alle sfere celesti. Il
Medio Evo, tuttavia, era destinato a finire e anche dal punto di vista
dell’astronomia il suo destino era segnato. Niccolò Copernico, tra la
fine del XV secolo e l’inizio del XVI, iniziò col mettere in dubbio il
fatto che la Terra fosse al centro dell’Universo. Tycho Brahe, nella
seconda metà del XVI secolo, con le sue osservazioni mise in crisi
l’idea delle orbite circolari.
Giovanni Keplero, qualche decennio dopo,
formulò le sue tre leggi, che mettono in relazione le distanze dal Sole e
i periodi di rivoluzione dei pianeti per orbite ellittiche. I risultati
di Keplero erano basati su considerazioni prettamente geometriche,
Isaac Newton avrebbe formulato la legge di gravitazione universale solo
alcuni decenni dopo. Di fatto, Keplero aveva capito perfettamente come i
pianeti si muovevano intorno al Sole, senza sapere il perché. Raccontando
la storia in questo modo, sembra che questi scienziati dei secoli XVI e
XVII abbiano distrutto la visione platonica dell’Universo, ma in realtà
ne mantennero molti aspetti, perché, probabilmente, anche loro un po’
ci credevano.
Keplero, ad esempio, nel suo Harmonices Mundi descrive un
Universo guidato da regole musicali. Una lunga dissertazione sulla
geometria, in particolare i poligoni e i poliedri regolari (che
chiamiamo anche “solidi platonici”), in connessione con la musica, il
moto dei pianeti, l’armonia delle sfere (introdotta da Pitagora, un
altro grande matematico e filosofo dell’antichità che ricordiamo sia per
un teorema che per aver cercato di descrivere tutta la natura in
termini di numeri), intesa come risonanza tra le orbite dei pianeti, o
come musica legata alle velocità angolari dei pianeti lungo la loro
orbita.
Ad esempio, la Terra, al perielio ha una velocità pari a 16/15
rispetto a quella che ha all’afelio: questa differenza è molto simile a
quella che c’è tra le frequenze di un mi e di un fa. La musica della
Terra, quindi, è una sequenza di mi e di fa, secondo Keplero. Lo stesso
si può pensare per ogni pianeta. Alla fine del libro, dopo tutte queste
considerazioni misticheggianti e filosofiche, troviamo quella che ancora
oggi studiamo sui libri di fisica come “terza legge di Keplero”.Nel
XVIII secolo, quando iniziava la prima rivoluzione industriale, si
apriva un nuovo capitolo di questa “storia d’amore” tra astronomia e
musica. Johann Daniel Titius e Johann Elert Bode, tra gli anni Sessanta e
Settanta del Settecento, osservarono che i semiassi maggiori delle
orbite dei pianeti seguivano una legge numerica semplice: a = (0,4 +
0,3•k) A.U. dove con A.U. si intende l’unità astronomica, ovvero la
distanza media tra Terra e Sole, e k assume i valori 0, 1, 2, 4, 8, 16,
32, 64…
Titius e Bode
avevano un problema, con questa legge. Andava molto bene per Mercurio,
Venere, Terra e Marte, ma Giove non corrispondeva a k = 8, bensì a k =
16. Oggi sappiamo che tra Marte e Giove ci sono un gran numero di
asteroidi e il più grande di essi, Cerere, ben soddisfa la legge per k =
8. Saturno ed Urano stanno perfettamente sulle orbite previste per k =
32 e k = 64, mentre l’accordo diventa meno buono per Nettuno e i
planetesimi più lontani. Per i primi 8 corpi celesti, tuttavia, le
previsioni sono straordinariamente accurate: l’errore è sempre più
piccolo del 5%! Con
il miglioramento delle nostre tecnologie osservative, oggi sappiamo che
i pianeti giganti hanno decine di satelliti: ci si è posti il problema
se anche quelli soddisfacessero la legge di Titius Bode, e la risposta è
no. In compenso, nei sistemi di satelliti naturali le risonanze sono
molto frequenti: la più ovvia è quella della Luna, che ha il periodo di
rotazione su se stessa uguale a quello di rivoluzione intorno alla
Terra, facendo sì da mostrarci sempre la stessa faccia. Questo è
probabilmente legato alle forze di marea, che “deformano” il nostro
satellite facendo sì che il suo baricentro sia spostato rispetto al
centro del satellite. Plutone e Caronte sono perfettamente sincroni, da
questo punto di vista: ciascuno rivolge verso l’altro sempre la stessa
faccia. Tra i satelliti di Giove, come ulteriore esempio, Io ha un
periodo orbitale pari alla metà del periodo orbitale di Europa e ad un
quarto di Ganimede.
Queste risonanze sono estremamente precise, non approssimate. La spiegazione più probabile è che l’influenza gravitazionale tra i diversi corpi celesti porti ad orbite privilegiate (quelle risonanti) e ad altre “sfavorite”, ovvero più instabili, dalle quali un asteroide possa essere espulso o spinto a cadere sul pianeta intorno a cui orbita. Questo meccanismo però non sembra essere sufficiente a spiegare la legge di Titus Bode, che, sebbene empirica e approssimata, è ancora qui a ricordarci che, in qualche modo, ai corpi celesti piace stare “in armonia”. Non sappiamo perché lo facciano, ma evidentemente si trovano bene così… e forse dovremmo prendere esempio da loro anche noi sulla Terra. Di Andrea Bersani
Queste risonanze sono estremamente precise, non approssimate. La spiegazione più probabile è che l’influenza gravitazionale tra i diversi corpi celesti porti ad orbite privilegiate (quelle risonanti) e ad altre “sfavorite”, ovvero più instabili, dalle quali un asteroide possa essere espulso o spinto a cadere sul pianeta intorno a cui orbita. Questo meccanismo però non sembra essere sufficiente a spiegare la legge di Titus Bode, che, sebbene empirica e approssimata, è ancora qui a ricordarci che, in qualche modo, ai corpi celesti piace stare “in armonia”. Non sappiamo perché lo facciano, ma evidentemente si trovano bene così… e forse dovremmo prendere esempio da loro anche noi sulla Terra. Di Andrea Bersani
(*) Questo
approccio viene oggi definito “platonico”, in contrapposizione con
quello “positivista”, secondo cui l’uomo “costruisce” un modello della
natura: la differenza tra i due approcci può essere vista in un modo
abbastanza semplice. Secondo voi, la matematica di un’ipotetica civiltà
aliena è uguale alla nostra, perché gli enti matematici (insiemi,
funzioni, gruppi eccetera) esistono indipendentemente da noi e noi li
scopriamo, oppure può essere diversa? Nel primo caso, siete platonici,
nel secondo positivisti. Per la cronaca, nella comunità scientifica non
c’è una visione nettamente prevalente, in entrambi i “partiti” si
trovano scienziati di primissimo piano.
Fonte: http://altrogiornale.org
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti spam, offensivi, non pertinenti e quelli riportanti indirizzi mail o link sospetti saranno cancellati.