mercoledì 6 agosto 2014

Cagliari come Gaza (l'oppressione è alle porte?)

Oggi vogliamo condividere con voi un articolo scritto da Bastiano Pugioni, blogger de “L’eco del pulcino”.
Lo condividiamo perché ci sono situazioni davanti alle quali non si può fingere che tutto vada bene e voltare la testa dall’altra parte.
A Gaza si sta compiendo un massacro, un genocidio ad opera di chi dovrebbe avere memoria di cosa significa vivere la distruzione, la violenza continua, l’essere trattati come esseri senza dignità, la totale deprivazione.
Nessuna motivazione può giustificare ciò che sta accadendo: quando le vittime sono i bambini non ci sono più ragioni politiche che reggano.
Bastiano ha provato ad immaginare cosa succederebbe a noi se un giorno, tra un anno, subissimo l’invasione delle nostre case, se un ipotetico esercito decidesse di prendersi le nostre terre e noi ci ritrovassimo a non avere più nulla e a sperimentare lo stupore, il dolore e la rabbia. Una rabbia capace di trasformarci, di rendere vitreo il nostro sguardo, di armare le nostre mani per tentare di difendere ciò che era nostro, per vendicare i nostri morti, per sentire di vivere mentre attorno vediamo solo morte e disperazione.
Cagliari, 4 agosto 2015
Un anno  fa un tizio ben vestito e dai modi gentili è entrato in casa mia con dei militari e ha detto: “Come da trattati internazionali, questa casa ora è mia, la prego di accomodarsi fuori”.
Il mio iniziale diniego è stato ammorbidito da quattro manganellate assestate con forza tra schiena e nuca, che mi hanno indotto a rivedere la mia posizione.
Una volta fuori, per strada, ho potuto constatare che la situazione era simile anche per tutti i miei vicini di casa.
Marco, un simpatico signore sulla settantina, ha resistito all’intrusione in casa sfoderando la sua vecchia doppietta da caccia. E’ stato meno fortunato di me. Le urla strazianti della moglie e delle figlie sono state presto sovrastate dalle sirene dei cellulari della nuova polizia di pace.
I pochi di noi che sono riusciti a scappare sfuggendo agli arresti, hanno organizzato una piccola e sgangherata resistenza. I più facinorosi suggeriscono l’attacco immediato con le poche armi di fortuna.
Fortunatamente la logica ha avuto il sopravvento: “Interverranno le Nazioni Unite, arriverà qualcuno e  questo incubo finirà entro domani”.
Dopo una settimana, durante l’ennesimo attacco della polizia di pace, il brutale assassinio di quattro dei bambini che erano con noi ci ha convinti ad un attacco.
Eravamo in quaranta, venti di noi sono morti, dodici feriti, dei quali sette arrestati. Siamo riusciti ad uccidere uno di loro, questo ci ha dato morale, ma la notte quelli di noi che credono  in un dio hanno pregato per la sua e per la nostra anima.
Una settimana dopo le posizioni radicali hanno preso il sopravvento: “Vivere come dei topi non ha senso, dobbiamo ribellarci. Nessuno ci aiuterà, possiamo solo salvarci da soli o morire”.
Ogni notte suonano le sirene, è impossibile dormire, dobbiamo spostarci spesso per evitare le pattuglie e i rastrellamenti.
Federico fa il direttore di banca, una persona a modo, garbata. Dopo l’assassinio di suo figlio Davide, cinque anni, il suo sguardo è fisso. Parla poco e digrigna i denti. Una notte si è offerto volontario per una ronda alla ricerca di cibo. In centro città non si passa, ma nei quartieri periferici, meno presidiati, è ancora possibile rimediare qualcosa. È tornato dopo la mezzanotte con venti confezioni di tonno in scatola, fagioli, tanti grissini. E le mani insanguinate. “Ne ho trovato uno a guardia del supermercato. Gli ho sfondato il cranio con una pietra”. Il suo sguardo vitreo si anima per un istante, poi torna di ghiaccio.
Stiamo diventando bestie.
Dopo un’altra settimana in cui tre dei feriti sono morti, il manipolo di “resistenti” si è consegnato alle nuove autorità, convinti più dalla fame e dalla necessità di medicinali che dalle promesse fatteci su un equo trattamento.
Dicono che è colpa nostra, che siamo stati irragionevoli, che  se non avessimo adottato condotte violente non ci sarebbe successo niente.
Mi hanno torturato solo due volte, sono stato più fortunato di Andrea. I giovani non si danno pace, vogliono vendetta, covano rancore, odio, si stanno organizzando.
I loro occhi non brillano della gioia che vedevo nei miei e in quelli dei miei amici, la gioia di chi ha il diritto ad autodeterminare il proprio cammino.
Forse li capisco, o forse non più. Ora lavoro al mercato, pulisco la frutta e la verdura prima che vengano disposte sui banchi. Non le posso comprare. Non ho i soldi sufficienti e comunque per noi ci sono solo gli spacci autorizzati.
Io non posso lamentarmi. Non provo più odio, non provo più rabbia, non provo più niente.
Dedico questo pezzo a tutti quelli che coi loro “distinguo” non prendono mai posizione, a tutti quelli che coi loro “c’è da dire però che…” non capiscono o fingono di non capire. In Palestina non c’è alcuna guerra, c’è solo un massacro che va avanti da decenni. Se l’Italia è il primo paese dell’UE per esportazione di armi verso Israele, c’è per forza una connivenza. Io sono italiano, io sono connivente. A tutti quelli che si voltano dall’altra parte dico che non schierarsi è da vigliacchi. Siamo liberi, non usare la propria libertà è una non scelta, è un crimine. Io sono libero solo se tutti sono liberi. Siamo esseri umani, siamo tutti uguali. Non riconoscere questo è disumano.
Bastiano Pugioni

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