mercoledì 16 luglio 2014

Reinventarsi a 50 anni. Dedicato a chi cerca lavoro


Chi ha 50 anni o giù di lì ed è rimasto senza lavoro, o è cassintegrato e decide di non fare l’assistito dello Stato o della famiglia troverà tutte le porte chiuse, qualsiasi cosa decida di fare.
Non esiste libertà di scelta. Non è possibile dire, ok, decido di continuare o riprendere gli studi, di prendere una nuova laurea, perché le università hanno il numero chiuso e non ci sono canali preferenziali per chi versa in situazioni di emergenza e dimostra la volontà di riqualificarsi.
Il concetto di riqualificazione è assai basso come livello. L’offerta formativa, quando c’è, perché i percorsi di politiche attive del lavoro sono incerti e lenti, è di basso livello, affidata ad agenzie formative.
Chi ci guadagna da questa situazione, più che gli allievi dei corsi sono le stesse agenzie. La formazione professionale non è cambiata nel tempo e i corsi di alto livello e di qualifica, a detta di chi li ha frequentati, lasciano a desiderare. È un segno di decadenza, non di un paese che vuole risollevarsi. La cultura non è vista e incentivata come un fattore di sviluppo, sempre più spesso i canali che portano all’innalzamento del grado di conoscenze sono otturati, ci sono pochi posti a disposizione, poche strutture e mezzi. Così scivoliamo sempre più in basso nelle classifiche mondiali delle università, si pensi che nelle prime 100 migliori università del mondo nemmeno una è italiana.
Le alternative per chi è avanti con gli anni sono di accettare, quando ci sono, offerte di lavoro umili e dequalificanti, contratti temporanei e sottopagati, così i progetti di vita se ne vanno a benedire, altrimenti si è costretti a emigrare, con tutti i problemi che comporta ad un adulto con famiglia. Se io decidessi di riscrivermi all’università per fare l’infermiere o una professione sanitaria, non sarebbe possibile, impresa ardua. Però i nostri ospedali e cliniche private pullulano di personale straniero, perché arrivano in Italia con in tasca il titolo, titolo a cui un italiano volenteroso non può accedere. Così dobbiamo tenerci i percorsi ridicoli di politiche attive del lavoro, magari un giorno, chi sarà più fortunato, potrà fare l’operaio precario sottopagato  alle dipendenze di un ingegnere straniero in Italia.

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