Secondo studio di Emc, realizzato in 15 Paesi, solo il 29% degli internauti è disposto a sacrificare la propria riservatezza online per usufruire di tutti i vantaggi della Rete. Allo stesso tempo, però, due terzi del campione utilizza regolarmente i social media.
Privacy? Sì, grazie. Gli utenti pretendono di averla, ma
paradossalmente molti di loro si comportano in modo opposto a quello più
logico per preservarla. Un’indagine di Emc, condotta su 15mila internauti di 15 Paesi, evidenzia un paradosso:
la maggioranza degli intervistati afferma di non essere disposta a
sacrificare la propria riservatezza online per usufruire di tutti i
vantaggi della Rete, ma allo stesso tempo i due terzi del campione utilizzano abitualmente le piattaforme social, pubblicandovi informazioni e immagini private.
In Italia, in particolare, la percentuale di coloro che – almeno a parole – antepongono i vantaggi del mondo 2.0 alla riservatezza è inferiore al 30% (29%). Come nel resto dei Paesi toccati dall’indagine, gli utenti Web dello Stivale si rivelano incoerenti: per esempio, si dimenticano di cambiare regolarmente le proprie password (il 59% degli intervistati italiani) o addirittura non impostano alcun codice di blocco su smartphone e tablet (uno su tre non lo fa). Ancora più grave, in riferimento ai social, è il fatto che oltre un terzo degli italiani non si preoccupi di personalizzare le impostazioni di privacy nel momento in cui si iscrive a una piattaforma 2.0.
Inoltre, sebbene l’89% degli italiani (l’84% degli intervistati a livello globale) dichiari di non apprezzare la diffusione online delle proprie informazioni o abitudini personali (a meno che ciò non sia frutto di una scelta consapevole), il 64% utilizza regolarmente i social media. Una percentuale molto più alta di internauti, l’86%, acquista prodotti in rete, consapevole (o forse no) che le proprie azioni di e-commerce comporteranno il passaggio di dati e profilazione all’interno di database creati a fini di marketing.
Perché si cede al “richiamo” dei social network? Per molteplici ragioni: il 91% degli intervistati apprezza i vantaggi di un “accesso più facile alle informazioni e alla conoscenza” reso possibile dalla tecnologia, ,mentre l’85% degli intervistati apprezza “l'uso della tecnologia digitale per la protezione dalle attività terroristiche e/o criminali”. Tuttavia solo il 54% è disposto a rinunciare a parte della propria privacy in cambio di questa protezione. Sembra, dunque, che gli utenti da un lato tendano a sottovalutare le conseguenze delle proprie azioni (pretendendo privacy dopo aver ceduto o diffuso i propri dati e immagini personali), dall’altro guardino al proprio orticello senza sentirsi parte di una rete globale (pretendendo protezione dal crybercrimine e dal terrorismo digitale senza però contribuire alla causa).
In Italia, in particolare, la percentuale di coloro che – almeno a parole – antepongono i vantaggi del mondo 2.0 alla riservatezza è inferiore al 30% (29%). Come nel resto dei Paesi toccati dall’indagine, gli utenti Web dello Stivale si rivelano incoerenti: per esempio, si dimenticano di cambiare regolarmente le proprie password (il 59% degli intervistati italiani) o addirittura non impostano alcun codice di blocco su smartphone e tablet (uno su tre non lo fa). Ancora più grave, in riferimento ai social, è il fatto che oltre un terzo degli italiani non si preoccupi di personalizzare le impostazioni di privacy nel momento in cui si iscrive a una piattaforma 2.0.
Inoltre, sebbene l’89% degli italiani (l’84% degli intervistati a livello globale) dichiari di non apprezzare la diffusione online delle proprie informazioni o abitudini personali (a meno che ciò non sia frutto di una scelta consapevole), il 64% utilizza regolarmente i social media. Una percentuale molto più alta di internauti, l’86%, acquista prodotti in rete, consapevole (o forse no) che le proprie azioni di e-commerce comporteranno il passaggio di dati e profilazione all’interno di database creati a fini di marketing.
Perché si cede al “richiamo” dei social network? Per molteplici ragioni: il 91% degli intervistati apprezza i vantaggi di un “accesso più facile alle informazioni e alla conoscenza” reso possibile dalla tecnologia, ,mentre l’85% degli intervistati apprezza “l'uso della tecnologia digitale per la protezione dalle attività terroristiche e/o criminali”. Tuttavia solo il 54% è disposto a rinunciare a parte della propria privacy in cambio di questa protezione. Sembra, dunque, che gli utenti da un lato tendano a sottovalutare le conseguenze delle proprie azioni (pretendendo privacy dopo aver ceduto o diffuso i propri dati e immagini personali), dall’altro guardino al proprio orticello senza sentirsi parte di una rete globale (pretendendo protezione dal crybercrimine e dal terrorismo digitale senza però contribuire alla causa).
Fonte: Emc Privacy Index (clicca per ingrandire)
C’è
poi una terza contraddizione, meno legata all’individualismo e più a
pigrizia e scarso grado di informazione: Emc la chiama il “paradosso del non fare nulla”,
riferendosi al fatto che il 62% degli intervistati non modifica con
regolarità le proprie password, il 40% non interviene sulle impostazioni
di privacy del proprio profilo social e il 39% non usa codici numerici
per bloccare telefoni e tablet. Semplici accorgimenti che
permetterebbero di conciliare, almeno in parte, il desiderio di libertà
nell’uso delle tecnologie e l’esigenza di riservatezza.
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