sabato 17 maggio 2014

REINCARNAZIONE - Che cosa è la Reincarnazione

Avendo accertato, nel precedente articolo, che quella reincarnazionista è una ipotesi e una ideologia spirituale che merita il massimo rispetto - perché vi hanno aderito e vi aderiscono filosofi e filosofie di prim'ordine, religioni avanzate, evolute e ben strutturate come impalcatura teoretica, e milioni di persone - e che dunque occuparsene non è una perdita di tempo, vediamo più da vicino di che si tratta.


Innanzitutto dobbiamo domandarci cosa si intende per reincarnazione. Infatti in precedenza abbiamo anche parlato di preesistenza delle anime, di totemismo, di metempsicosi e altro, che, per la verità, sono cose (cioè concezioni) alquanto diverse dalla reincarnazione vera e propria.

La reincarnazione in senso stretto e per come viene comunemente intesa parte dal concetto che nell'uomo vi sono due componenti, una corruttibile e transitoria, il corpo fisico, e una incorruttibile e permanente ma perfettibile, che è l'anima o Spirito. Solo a quest'ultimo spettano gli attributi di essenza vera e di perennità. Il corpo è solo un abito di cui lo Spirito si riveste ed è la specifica struttura idonea e necessaria che gli consente di vivere sulla terra e nel suo ambiente esistenziale materiale. Si deve dunque rivestire di esso (di un corpo) quando vi scende – e ogni volta che vi scende, perché la reincarnazione sostiene che vi sono più discese.
Shiva danzante. La divinità indiana Shiva 
con la sua danza crea e distrugge i mondi


E' chiaro che il terreno ideale in cui una ideologia reincarnazionista più trova piede sono le filosofi e e religioni di tipo manicheo - in cui Bene e Male sono considerati due principi in eterna lotta tra loro - e dualiste – mentre è molto meno accoglibile, anzi è in contrasto e viene combattuta laddove si ritiene che l'uomo è una unità indissolubile di anima e corpo.

In tali ideologie (manichee e dualiste) la materialità è Male ed è ignoranza (non conoscenza) – concetto, questo, orfico/pitagorico/gnostico; ovvero è ignoranza (non conoscenza della vera Realtà) e sofferenza – e questo è il concetto orientale. Lo Spirito, nel connubio con il corpo, nel discendere nella materialità perde la coscienza della propria regalità, della propria identità cioè, e deve quindi, nel primo caso, purificarsi e riappropriarsi della propria spiritualità (con l’iniziazione ai Misteri e la gnosi) per uscire dalla prigione del corpo e salvarsi; mentre nel secondo caso deve spezzare l'illusione o Maya che la realtà materiale sia la vera realtà e così avere la liberazione (avendo compreso questa illusorietà, non desidera più reincarnarsi).

Dunque, nella prima concezione (orfica/pitagorica/gnostica) "purificarsi" vuol dire conseguire la gnosi; lo Spirito che conosce la verità su di sé e sulla propria origine e vera natura è purificato, ha la purezza della Luce ed ha la Verità su come stanno veramente le cose: e con questo è salvo. Vi è una unità di fondo in questo filone del pensiero umano, al di là delle diverse denominazioni culturali e storico-geografiche. Del resto, sia Platone che l'ermetismo attinsero largamente al pensiero egizio e questo, a sua volta, era in stretta connessione con le culture del medioriente e dell'Asia Minore preelleniche, che hanno fatto da ponte fra il mondo occidentale e quello orientale e tra i due grandi filoni del pensiero reincarnazionista.

Lo Spirito, dunque, scendendo nella materia ne resta obnubilato, è attratto e accecato dai piaceri, dalle sofferenze e dai bisogni della vita terrena; si fissa in esse e le desidera ("attaccamento"). Non si rende più conto, non si ricorda più della propria natura spirituale e della propria origine divina; deve quindi riprendere coscienza di questa sua natura e origine, deve "riaprire gli occhi" al di là della trappola e del miraggio illusorio della vita terrena. Perciò, nel simbolismo orfico, la strada giusta da prendere, quando si scende nell'Ade, l’oltretomba del mondo classico greco, è quella di destra, che conduce alla fonte di Mnemosine, la memoria. Questo è dunque il fine, che, pur diversamente chiamato, è identico: la Salvezza, che si ottiene con la purificazione nel mondo orfico, e la Liberazione, che si consegue spezzando il velo di Maya nel mondo orientale.
 
Lotta tra il Bene e il Male
Marc Chagall "La guerra"
Perciò, nel simbolismo orfico, la strada giusta da prendere, quando si scende nell'Ade, l’oltretomba del mondo classico greco, è quella di destra, che conduce alla fonte di Mnemosine, la memoria. Questo è dunque il fine, che, pur diversamente chiamato, è identico: la Salvezza, che si ottiene con la purificazione nel mondo orfico, e la Liberazione, che si consegue spezzando il velo di Maya nel mondo orientale.

E' dunque necessario: a) che lo Spirito si evolva fino a comprendere la Salvezza e la Liberazione. Ma difficilmente questo fine può essere raggiunto in un solo momento e in una sola vita, troppo grandi e troppo forti sono la consuetudine e l'attaccamento alla vita e ai beni terreni per poter "vedere" tutta insieme la Verità, che implica una rinuncia ad essi; b) che si riacquisti la conoscenza e coscienza di quella propria natura e origine (principio della gnosi in occidente e della "Pura Luce Chiara", Dharma Kaya, in oriente). Si può così risalire alla Fonte (Pleroma o Brahman che sia), ripercorrendo all'indietro il cammino della Caduta che lo Spirito ha fatto con l'emanazione dall'Uno (orfismo e gnosticismo) e con l'acquistare il senso illusorio di una sua individualità separata (induismo e buddismo).
          
La pace (Marc Chagall "Il poeta addormentato")

Ma difficilmente questo fine può essere raggiunto in un solo momento e in una sola vita, troppa grandi e troppo forti sono la consuetudine e l'attaccamento alla vita e ai beni terreni per poter "vedere" tutta insieme la Verità, che implica una rinuncia ad essi; b) che si riacquisti la conoscenza e coscienza di quella propria natura e origine (principio della gnosi in occidente e della "Pura Luce Chiara", Dharma Kaya, in oriente). Si può così risalire alla Fonte (Pleroma o Brahman che sia), ripercorrendo all'indietro il cammino della Caduta che lo Spirito ha fatto con l'emanazione dall'Uno (orfismo e gnosticismo) e con l'acquistare il senso illusorio di una sua individualità separata (induismo e buddismo).

Ciò avviene attraverso le esperienze fatte in più vite terrene; in ciascuna di esse, il singolo uomo storico svolge la sua vita, ha le proprie vicende individuali e fa la sua esperienza personale; e non ricorda altro - è bene che non ricordi altro; vedremo appresso quali danni possono derivare se se ne conserva il ricordo. Nel contempo però, lo Spirito, nel suo profondo, assimila tutte queste vite ed esperienze, le rassembla insieme, le ricorda tutte e si evolve.

A questa concezione si contrappongono, come detto, quelle non dualiste - prima fra tutte quella cristiana ortodossa - per le quali l'anima è indissolubile dal suo corpo, col quale fa tutte le sue esperienze, meriti e demeriti; le fa e li acquista in una sola vita e, alla morte, si tirano le somme.
La rinascita non può portare a una vita animale (metempsicosi) perché non può essere perduta  l'evoluzione acquisita (dal dipinto di Alberto Martini "Inferno Canto I, Nel mezzo del cammin di nostra vita...")

Il Karman

Queste successive e diverse esperienze, che lo Spirito conduce sulla terra reincarnandosi al fine di conoscere e capire, sono fermamente condizionate - secondo la visuale orientale e quelle di tipo teosofico che hanno ripreso da essa le proprie concezioni - dalla vita precedentemente condotta e dalle azioni che in essa il precedente individuo ha compiuto. 
Tutto dipende da quello che egli ha fatto nella vita precedente, che gli porta i suoi frutti in quella successiva e lo immette, come sua ineluttabile conseguenza, in quella specifica individualità e nelle specifiche vicende che il nuovo, successivo individuo in cui si incarna dovrà avere nella nuova vita. Karman vuol dire azione che porta i suoi frutti e i suoi effetti nella vita successiva; e il karman di un individuo è il “destino” a cui lo portano la sua precedente vita e le correlative azioni in essa compiute.

Questo però non significa, come semplicisticamente per lo più si ritiene, che, se ho compiuto azioni cattive, ne sarò punito con una brutta vita nella mia prossima reincarnazione o, viceversa, che per le mie buone azioni sarò premiato con una buona vita in quella successiva. Sta solo a significare che se muoio con certe propensioni e inclinazioni, buone o cattive che siano, e con certi desideri, ne sarò psicologicamente condizionato anche nella prossima vita e ne verrà plasmata la mia successiva personalità. Le parole della Bhagavad Gita, più sopra riportate, sono illuminanti al riguardo.

Comunque, una tale concezione del Karman, che vede in una vita le conseguenze delle azioni compiute in quella precedente, anche se è la più diffusa non è l'unica possibile né è obbligatoria per rendere conto della reincarnazione.
Dante Gabriel Rossetti "Paolo e Francesca da Rimini"

Uno Spirito potrebbe discendere sulla terra semplicemente per fare una certa esperienza (che gli è necessaria e che vuol avere), senza alcun legame o vincolo con quello che ha fatto nella vita precedente. Facciamo un esempio: un bambino, che viene gettato dalla madre in un cassonetto e muore appena nato, non necessariamente è stato, a sua volta, un assassino o un malvagio nella sua vita precedente, che lo ha portato a quel Karman, come il concetto del karman stesso sopra esposto porterebbe a pensare. Invece è da dire che anche nelle poche, crudeli ore di quella sua brevissima, crudele esistenza lo Spirito ha fatto pur sempre una esperienza: quella della mancanza dell'amore e del male e della sofferenza che questa mancanza provoca.
Giuseppe Diotti "Il conte Ugolino nella torre"

Non è necessario quindi ipotizzare che egli, per subire una tale orribile sorte, abbia fatto qualcosa di male nella sua vita precedente da meritare un tal contrappasso. E' sufficiente che lo Spirito in lui incarnatosi debba e voglia fare, in quella sua incarnazione, quella particolare esperienza per la sua evoluzione; una volta che l'ha fatta, anche in quelle poche ore, ritorna "in alto" e si prepara a una nuova vita e a nuove vicende e esperienze.

Ancora: abbiamo visto che nelle concezioni orfiche e in quelle neoplatoniche non vi è alcunché da scontare (o meritare) in una vita; semplicemente la materia e il corpo sono una prigione e una tomba per lo Spirito. Vi è la sofferenza (data dalla limitazione, dalla separazione dall'Uno) per il semplice fatto di essere nella vita e in un corpo. Il mondo è di per sé male, creato non da Dio che è il Bene ma da un altro essere divino, subordinato e malvagio, il Demiurgo, secondo lo gnosticismo - e questo punto circa la creazione è un altro fondamentale motivo di opposizione del cristianesimo verso queste dottrine.

Dunque, il concetto di karman non è qualcosa di indispensabile per la teoria reincarnazionista.
Ruota di un carro indiano riccamente decorata. La ruota è il simbolo del samsara, la "ruota delle rinascite"

Il Samsara

E' questa un'altra parola chiave nella ideologia reincarnazionista, secondo i parametri della concezione orientale, che oggi è quella maggiormente seguita, dato che orfismo, gnosticismo e neoplatonismo, pur propri del pensiero occidentale, si sono, almeno per ora,  perduti, per così dire, nella notte dei tempi.

Samsara vuol dire "ruota delle esistenze" ovvero "catena delle rinascite". Finché l'uomo prova attaccamento alla vita e al desiderio delle cose che in essa può avere; finché è così vincolato psicologicamente (è così indirizzato come attenzione e desiderio), il suo sguardo resta fisso alle cose del mondo ("guarda in basso") e non si rende conto di quella che è la sua vera Essenza, di quella che è la Verità. Non "guarda in alto" e così non vede la luce, non è illuminato - Buddha vuol dire Illuminato e buddhità illuminazione.
Il Bardo Tödol, nella bella edizione dell'orientalista italiano Giuseppe Tucci

Deità terrifiche (in basso) e benevole (in alto). Al centro il dio della morte (dipinto su tessuto)

Il Bardo Todol - il Libro dei morti tibetano - usa delle parole quanto mai significative al riguardo. Dice che nel Bardo – che è la “vita intermedia” fra una incarnazione e un’altra - dopo la morte, la luce brilla potentissima davanti agli occhi del defunto; ma questi non può reggerla, non la riconosce e fugge e si rifugia in un'altra luce, quella del desiderio di un’altra esistenza, a lui e ai suoi occhi più consona, più accessibile. E così si reincarna.

Anche questa del samsara è soprattutto una concezione orientale. Abbiamo visto che le altre ideologie usano concetti e parole diversi (tomba, prigione - questo è il corpo per lo Spirto - creati da un Demiurgo malvagio). 

Nella sostanza, possiamo dire che in tutti i casi quello che opera è un atteggiamento psicologico, la psicologia è alla base di tutto. Finché l'uomo continuerà a dirigere la sua attenzione e il suo desiderio verso le cose della terra, finché non conoscerà altro che queste e non penserà ad altro che a queste, il suo stesso desiderio gli creerà attorno, dopo morto (nel piano delle illusioni), quel mondo similterreno che egli, nel suo desiderio, si immagina. E, durante tale sua permanenza nel piano postmortale, sono sempre questo suo desiderio e pensiero fisso, che lo indirizzeranno, nel dirigersi e nello scegliere la nuova vita, verso un mondo come quello che desidera, un mondo terreno, e che è il solo che conosce.

Altre forme di rinascita
L'ipotesi reincarnazionista maggiormente seguita e conosciuta e la tesi in proposito della maggior parte delle culture e religioni reincarnazioniste è dunque che, dopo la morte, l'uomo, o meglio il suo Spirito, torna a incarnarsi, a rinascere e ;a vivere di nuovo sulla terra con un altro corpo umano per condurre da uomo - come un altro e nuovo uomo - le sue nuove esperienze.

Vi sono tuttavia anche altre credenze, altre filosofie e religioni che propongono il tema del “ritorno” sotto altre forme e modalità. Vediamo di approfondire rapidamente il problema, senza dilungarci troppo; ma colo per la completezza dell'argomento.

Innanzitutto c'è l'ipotesi della metempsicosi, cioè la possibilità di reincarnarsi non solo in forma di uomo ma anche nel corpo di animali e addirittura di piante. Inutile riderne, personaggi e filosofie rispettabilissime ne hanno parlato - Pitagora e i pitagorici; la religione jainista in India; gli scritti cabbalistici e sufi sopra riportati; e così via.
   
La metempsicosi è la dottrina che ammette la possibilità di rinascere anche in forma di un animale
Totem degli indiani Sioux

Il totemismo, che troviamo presso tutti i popoli arcaico-primitivi e al quale più sopra abbiamo pure accennato, appare anch’esso, in un certo qual modo e in definitiva, collegato con questa idea di una continuità esistenziale della vita degli individui. È’ ben vero che il totemismo vede e propone questa continuità che supera il singolo individuo e la sua vita non in riferimento al singolo individuo stesso ma in termini di clan a cui l’individuo appartiene e la raccorda a un altro specifico animale o pianta, dei quali la discendenza di quel clan ha e dai quali trae la sua forza e il suo spirito. Quell’animale o quella pianta dunque rappresentano quel dato clan e tutti gli individui che nel suo ambito nascono. E dunque attraverso questa rappresentanza e comunanza l’unicità individuale viene superata e si arriva lo stesso a un concetto di essenza profonda allargata alla quale partecipano una pluralità di individui e di vite individuali. Una essenza comune profonda che sta pur sempre a significare quello Spirito superindividuale che trascende e riassume in sé i singoli individui che ne fanno parte, secondo un andamento e uno sviluppo evolutivo che nella reincarnazione classica è verticale e nel totemismo è invece orizzontale,

E’ dunque una visione ristretta quella che vede la reincarnazione solo nei termini semplicistici di una successione di vite umane su questa terra. La stessa patria della cultura e della tradizione reincarnazionista, il Tibet, e il libro principe in tema di reincarnazione, il Bardo Todol di cui si è già detto, parlano espressamente della possibilità di rinascita in mondi diversi da quello degli uomini e in forme diverse che non quella umana.
Abbiamo già accennato, e qui completiamo il discorso, che dopo la morte, se l'individuo non riconosce la pura Luce indiscriminata, cioè se non comprende che nulla E' se non la pura coscienza, allora davanti a lui compaiono successivamente diversi mondi e tante immagini illusorie, frutto della sua mente, delle sue propensioni carmiche, delle sue paure, dei suoi desideri, della sua ignoranza. Vede luci abbaglianti, nelle quali è la salvezza, ma non le riconoscerà nonostante le esortazioni del lama che gli parla vicino all'orecchio (e che egli sente telepaticamente). Avrà timore di tali luci - troppo forti, troppo potenti, numinose, incomprensibili per lui - e allora fuggirà e cercherà rifugio in altre luci, non abbaglianti, e in altre visioni, che troverà a sé più (psicologicamente) confidenziali e familiari, comprensibili e vicine. Scegliendo in questo modo, nonostante le esortazioni contrarie ("non scendere lì, in quei mondi, non scegliere quelle luci, altrimenti rinascerai") fattegli dal lama nel colloquio salvifico telepatico ma così vagando e fuggendo qua e là, non riconoscendo la vera Luce, si rifugerà in una di queste luci, in uno di questi Esseri inferiori ma più comprensibili e così si reincarnerà e precipiterà nel girone del samsara e continuerà per lui il ciclo delle rinascite.

Due sogni di Jung

Carl Gustav Jung è stato un grande psicologo, una mente veramente aperta e immensa. Era anche un sensitivo, qualità ereditata dalla madre, cioè aveva la dote e la capacità di entrare in sintonia e contatto con il mondo interiore e con 1'altra dimensione che, attraverso questa interiorità, comunica con noi; da esso traeva i simboli, le intuizioni, la comprensione, le illuminazioni, insomma, su quello che E'.

Ecco come - attraverso il racconto di due sogni da lui fatti riferiti da una sua allieva, Anela Jaffè, che ne raccolse e pubblicò i “Ricordi” – egli, a sua volta, rappresenta questa continuità essenziale superindividuale, in cui, in definitiva, si racchiude l’idea della reincarnazione 

"Lo spinoso problema delle relazioni tra l'Uomo eterno, il Sé, e l'uomo terreno che vive nello spazio e nel tempo fu lumeggiato da due miei sogni. In un primo sogno, che feci nel 1958, vedevo da casa mia due dischi a forma di lenti dai riflessi metallici che passavano veloci, compiendo una stretta parabola sopra la casa e finendo sibilando dentro il lago. Erano due dischi volanti. Quindi un altro corpo veniva volando direttamente verso di me: questo corpo appariva come una lente perfettamente circolare, come l'obiettivo di un telescopio ... Immediatamente dopo veniva un altro corpo...: ancora una lente con un dispositivo metallico che la collegava a una scatola, tipo una "lanterna magica ". A sessanta o settanta metri di distanza si fermava nell'aria e puntava direttamente verso di me. Mi svegliai con una sensazione di stupore. Nel dormiveglia ancora, mi passò per la testa: <Pensiamo sempre che i dischi volanti siano nostre proiezioni e adesso risulta che noi siamo proiezioni loro! Sono proiettato dalla lanterna magica come C. G. Jung. Ma chi manovra l'apparecchio?> (Aniela Jaffè Ricordi, sogni e riflessioni di C. G. Jung, Rizzoli, Milano,l981, pag. 380 e segg.).
La meditazione crea immagini con il pensiero. Jung si pone la domanda se tutta la realtà non sia altro che delle immagini-pensiero di "qualcuno" che in un'altra dimensione medita 
Il secondo sogno non è meno notevole del primo. “Già una volta avevo sognato del problema del rapporto tra il Sé e l'Io. In quel primo sogno, ero in giro per il mondo ... Giungevo a una piccola cappella situata al margine della strada. La porta era aperta e io entravo. Con mia sorpresa non c'era sull'altare un'immagine della Vergine né un Crocifisso ma solo una meravigliosa composizione floreale. Ma poi vedevo sul pavimento, davanti all'altare ma rivolto verso di me, uno yogi seduto nella posizione del loto, assorto in profonda concentrazione. Quando lo guardavo più da vicino, mi rendevo conto che aveva la mia stessa faccia... Poi mi ero svegliato con il pensiero: <Ah, ah! Allora è lui quello che mi sta meditando. Ha un sogno ed io sono quel suo sogno>. Sapevo che quando egli si fosse svegliato, io non sarei più esistito....

La figura dello yogi rappresenterebbe.... la mia totalità inconscia prenatale (il Sé; n.d.A.) ... Come la lanterna magica, anche la meditazione dello yogi <proietta> la mia realtà empirica terrena...”.

Dobbiamo allora ritenere, come sembra suggerire Jung col racconto di questi due suoi sogni, che la nostra esistenza - e dunque le nostre diverse vite; le successive rinascite - siano la proiezione del pensiero, realizzato e cristallizzato, ed il "cinematografo" di una Mente, di uno Spirito, di un Essere (che è il nostro Sé: il disco volante con la lente e la lanterna magica, nel primo sogno; lo yoghin, nel secondo) che in un'altra parte, in un altro piano, in un’altra dimnsione medita e in questo modo, con queste sue meditazioni, con queste sue "rappresentazioni cinematografiche" mentali, col suo pensiero, crea e proietta fuori della sua mente le sue diverse vite (le nostre vite terrene, realizzate mentalmente e illusoriamente in questo modo) di cui vuole fare esperienza? Potrebbe consistere in questo, potrebbe essere spiegato così il mistero delle rinascite?

In realtà resta il Mistero; mentre, al di là dei diversi modi e delle diverse forme in cui può essere concepita, il concetto di reincarnazione si sostanzia nell’idea di una Continuità ed Evoluzione che si esprime e si sostanzia attraverso una molteplicità di individui e le loro vite ed esperienze individuali; e che tuttavia trascende e riassume in sé tali singoli individui che ne fanno parte.

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