by Lorenzo Acerra
I denti come causa di malattie e basse aspettative di vita nei secoli passati?
Un problema molto comune nel
diciassettesimo e diciottesimo secolo erano i denti consumati dalla
carie che dopo qualche disagio sembrava che non dessero più fastidio e
quindi venivano lasciati stare in bocca. Due autori del 700, il famoso
Pierre Fauchard (1728) e il chirurgo generale dell’esercito inglese John
Hunter (1771), segnalarono numerose guarigioni da reumatismi, malattie
di occhi, orecchie e sistema nervoso ottenute grazie alla bonifica della
bocca da questi denti. Anche il celebre Christopher William Hufeland
(1762-1836) parlò di questo spiegando che una bocca sana, liberata dai
denti con carie profonde era l’unica possibilità di arrivare a vivere a
lungo.
Goethe (1749-1832) s’interessò agli insegnamenti di Hufeland dopo che una malattia che sembrava mortale fu risolta dall’estrazione di un dente infetto. Tutti i tentativi precedenti di terapia avevano fallito. Il Goethe visse altri 64 anni dopo quell’incidente, arrivò all’età di 83 anni completamente sdentato, seguendo perciò il consiglio di Hufeland di togliere i denti infetti man mano che si presentavano (Neuhauser 1982, Hufeland 1797, Holz 1939, Greiter 1958). Un altro esempio sotto gli occhi di tutti è quello di Mozart (1756 – 1791) che un anno prima della sua morte ebbe alcuni ascessi dentali che non furono trattati con l’estrazione. Ciò ha forse potuto contribuire sia ad una recidiva dei reumatismi che al decorso estremamente sfavorevole della sua malattia. Mozart aveva ancora dieci denti al momento della sua morte, di cui tre denti con carie profonda, non estratti e nemmeno trattati (Bär C., “Mozarts Zahnkrankheiten”, Acta Mozartiana 9, 1962, 3, pp.47-54). “Per secoli,” scriveva John Hunter (1771), “i medici hanno dovuto prendere atto del fatto che i denti con la loro struttura particolare sono suscettibili di diventare la sede di piccole lesioni croniche infiammatorie localizzate che danno luogo a disturbi sistemici incredibilmente seri, anche quando localmente nella bocca il disturbo infiammatorio sembra quasi inesistente.”
Goethe (1749-1832) s’interessò agli insegnamenti di Hufeland dopo che una malattia che sembrava mortale fu risolta dall’estrazione di un dente infetto. Tutti i tentativi precedenti di terapia avevano fallito. Il Goethe visse altri 64 anni dopo quell’incidente, arrivò all’età di 83 anni completamente sdentato, seguendo perciò il consiglio di Hufeland di togliere i denti infetti man mano che si presentavano (Neuhauser 1982, Hufeland 1797, Holz 1939, Greiter 1958). Un altro esempio sotto gli occhi di tutti è quello di Mozart (1756 – 1791) che un anno prima della sua morte ebbe alcuni ascessi dentali che non furono trattati con l’estrazione. Ciò ha forse potuto contribuire sia ad una recidiva dei reumatismi che al decorso estremamente sfavorevole della sua malattia. Mozart aveva ancora dieci denti al momento della sua morte, di cui tre denti con carie profonda, non estratti e nemmeno trattati (Bär C., “Mozarts Zahnkrankheiten”, Acta Mozartiana 9, 1962, 3, pp.47-54). “Per secoli,” scriveva John Hunter (1771), “i medici hanno dovuto prendere atto del fatto che i denti con la loro struttura particolare sono suscettibili di diventare la sede di piccole lesioni croniche infiammatorie localizzate che danno luogo a disturbi sistemici incredibilmente seri, anche quando localmente nella bocca il disturbo infiammatorio sembra quasi inesistente.”
Nell’arco dei 150 anni che seguirono
troviamo segnalate nella letteratura medica del tempo all’incirca 25.000
– 30.000 osservazioni simili, per esempio la guarigione da una sordità
fulminante nel momento dell’eruzione di un dente del giudizio (J.G.
Pasch 1775) e il ritorno del flusso mestruale in una donna che per anni
non ne aveva avuto, ottenuto grazie all’estrazione di un dente con carie
profonda (Willich 1778). Delaroche (1798) riportò un caso simile in una
donna che soffriva di mestruo molto scarso con sintomi d’infiammazione
gengivale dal lato destro, e ciò solo in corrispondenza dell’arrivo di
queste scarse mestruazioni. Andando a valutare la salute della bocca, il
medico scoprì dei denti cariati in profondità la cui estrazione fece
anche scomparire definitivamente le anomalie del mestruo.
E arriviamo al 1801: epilessia,
dermatiti, problemi digestivi, mal di testa e artriti venivano guariti
con l’estrazione dei denti infetti dal Dr. Benjamin Rush, firmatario
della dichiarazione d’indipendenza. Egli scriveva: “Le terapie delle
malattie croniche diventano molto più soddisfacenti se vengono associate
alla bonifica di tutti i denti infetti che uno trova nella bocca dei
pazienti.” Per esempio Rush ci dice che fu consultato dal padre di un
giovane di Baltimore che soffriva di epilessia, subito si informò sui
denti e risultò che molti di quelli sull’arcata superiore avevano carie
profonde. La loro estrazione infatti portò ad una perfetta guarigione.
Oppure la signorina A.C., affetta da reumatismo all’anca già da alcuni
anni, aveva avuto di recente un grave peggioramento ed era comparso
anche un leggero fastidio ad un dente. Rush prontamente le consigliò di
far estrarre questo dente e fu così che i sintomi scomparvero del tutto.
Rush era assolutamente entusiasta su tutta questa discussione che le
patologie dei denti potessero rivelarsi così spesso la causa di malattie
apparentemente inguaribili ed invocava a testimoni i numerosi autori
che lo avevano preceduto.
Uno dei primi sforzi “moderni” di
classificare la scienza dentale risale ad un importante chirurgo
tedesco, Fabricius Hildanus (1560-1634), che nel suo manuale segnalava
centinaia di testimonianze di emicranie e malattie sistemiche che erano
state guarite estraendo denti cariati in profondità, laddove tutti i
rimedi usati in precedenza non avevano apportato il benchè minimo
beneficio. Nicolas Tulp (1593-1674), un rinomato medico di Amsterdam
esperto di anatomia, osservò che le malattie dei denti potevano dare
origine alle conseguenze più nefaste, persino essere causa di morte.
Dopo di lui Charles St. Yves (1667-1733), Marcello Malpighi (1628-1694) e
Frederik Ruysch (1638-1731) si distinsero per le loro indagini sui
denti e le loro osservazioni che i denti malati potessero diventare la
causa di vari tipi di patologie nell’organismo. Stiamo parlando dei più
illustri medici dell’epoca. Nathaniel Highmore (1630-1690) descrisse
parecchi casi di sinusiti che guarivano dopo l’estrazione di denti con
carie profonde. Christopher Schelhammer (1649 -1719), che fu professore
di anatomia in diverse università tedesche, specializzato in malattie
delle orecchia, notò che poteva assicurare una guarigione solo a quei
pazienti che accettavano di curare le carie superficiali ed estrarre i
denti con carie troppo profonde. Giorgio Baglivi, medico di Innocente
XII e Clemente XI, autore di manuali medici famosissimi, osservò nel suo
Canone di Medicina: “Le persone i cui denti hanno un cattivo odore o
che hanno cambiato colore nonostante i lavaggi giornalieri, hanno sempre
una debolezza della funzione dello stomaco, quasi sempre una tendenza
all’indigestione, mal di testa dopo i pasti, una salute generale poco
soddisfacente e una tendenza al malumore. Se impegnati nello studio o
negli affari, queste persone sono impazienti ed irritabili, oppure
vittime di episodi di capogiri. Le frequenti indisposizioni di stomaco
danno loro sonnolenza, risveglio lento e comunque un sonno poco
ristoratore.” (Baglivi, Opera Omnia Medico. Practica et Anatomica,
Lugduni, 1710).
Se facciamo ancora un passo indietro nel
tempo, Ippocrate (460 – 375 a.C.) segnalò numerosissimi esempi in cui
la patologia dentale aveva l’effetto d’iniziare reazioni in altre parti
del corpo. Per esempio affermò che “un reumatismo che resisteva ai
tentativi di guarigione poteva essere eliminato estraendo eventuali
denti compromessi” (On Epidemics, Hb. ii, section i, p. 1002). Il più
famoso medico di tutti i tempi aveva le idee chiare e infatti dichiarò
che la maggior parte delle suppurazioni focali causate dai denti
provenivano dalle infiammazioni create dai denti del giudizio. Per
esempio nel caso di un ragazzo che aveva dolore in un terzo molare
dell’arcata inferiore destra, Ippocrate si diceva sicuro del ruolo
causale di quella situazione dentale sulla suppurazione a carico
dell’orecchio dello stesso lato. Anche di recente numerosi autori,
confrontando mandibole dall’antichità ad oggi, hanno spiegato che i
denti del giudizio sono un attavismo – derivato da un’epoca quando il
muso dei nostri antenati era più lungo, mentre oggi invece il dente del
giudizio purtroppo spunta sul ramo ascendente della mandibola (Adler
1972, Mieg 1999, Lechner 1991, Grossman 1996). Non solo a volte il dente
del giudizio non spunta proprio fuori ma, quando lo fa, spesso si
presenta con un anomalo grado di inclinazione oppure comunque soffre la
mancanza di spazio e in vari modi ciò crea situazioni croniche
d’infiammazione locali e focali (vedi: http://www.medicinenon.it/tutte-le-terapie-falliscono-valutazioni-sui-denti-del-giudizio ).
Ippocrate si rifaceva in realtà alla
tradizione di Esculapio, che rimase in vigore tra il 1100 a.C. e il 400
d.C. e che inizialmente veniva praticata solo dai sacerdoti dei templi
esculaplei, per esempio quelli di Epidauro, Cos, Cnydus, and Rodi,
mentre in seguito fu ripresa anche da guaritori non sacerdoti. Ippocrate
operava al tempio di Cos. Un altro argomento affrontato era il
contributo infiammatorio notevole apportato dai periodi di dentizione
difficile nei bambini che poteva far insorgere problemi in numerose
diverse parti dell’organismo. Quest’idea in realtà, accennata da Omero
nell’Odissea, apparteneva anche ad Esculapio ed è stata descritta dalla
letteratura di ogni epoca, dagli scritti in India del 1000 a.C. fino a
Soranus di Efeso (117 d.C.) e ai medici del diciassettesimo secolo.
Questa osservazione ricorrente su disturbi a distanza che vengono
innescati da un’infiammazione nella bocca evidentemente venne accolta
dal modus operandi olistico di Esculapio che spesso chiamava in causa la
“forza vitale”.
In questo testo ci dobbiamo accontentare
di seguire alcuni aspetti del discorso nelle parole di Ippocrate, che
sono più concrete e che ci vengono da fonti dirette, perché tutte le
fonti che citano l’approccio olistico di Esculapio sono così entusiaste
da apparire miticizzate. Nello stabilire la diagnosi di una malattia,
Ippocrate consigliava di cercare il suo punto di partenza. Per esempio
se si trattava di mal di testa, di disturbi alle orecchie o agli occhi, o
di un qualsiasi sintomo su un lato solo del corpo, insisteva che la
causa poteva essere spesso rintracciata in qualche infiammazione nelle
aree dei denti. La famosa massima ippocratica, “le malattie dovrebbero
essere combattute alla loro origine”, esprime proprio questo modo di
pensare.
Ippocrate aveva l’abitudine di fare
osservazioni a 360° prendendo una gran quantità di appunti, proprio
perché cercava di capire quale “spina irritativa” potesse essere la più
rilevante nel caso specifico, la fonte degli “umori dannosi” che stavano
invadendo l’organismo e creando il disturbo. La valutazione dello stato
dei denti era preponderante, un elemento onnipresente nella sua
indagine. Tutti i medici ippocratici dell’antichità avevano questo punto
di vista, come per esempio Erofilo e Erasistrato, illustri dottori
della scuola medica di Alessandria (300 a.C.). Interessante anche notare
che il famoso enciclopedista e ricercatore medico romano, Aulo Cornelio
Celso (25 a.C. – 50 d.C.) non fece altro che tramandare la tradizione
medica ippocratica. Apprendiamo da Celso che i denti che causano il
ritiro delle gengive sono morti e il terapeuta che non li prende in
considerazione non riuscirà a far guarire i suoi pazienti. Detto in
altre parole, “A tutti quelli che non conoscono la causa della malattia,
risulterà anche impossibile curarla”. Secondo quanto spiegava
Ippocrate, Celso coniò la famosa frase: “rubor, tumor, calor, dolor,
functio lesa” (ripresa da Galeno, che nel 200 d.C. scrisse tre libri di
commentari su Ippocrate), che descrive nell’ordine: (rubor) foci
infiammatori, (tumor) rigonfiamento, concentrazione e perimetrazione di
un focus di metaboliti infiammatori, (calor) la reazione primaria del
sistema immunitario, (functio lesa) una fase tardiva, cronica,
caratterizzata dalla degenerazione del tessuto invaso a distanza quando
il sistema immunitario è sfiancato e meno efficiente.
Sfortunatamente nei secoli ci si
dimenticherà quasi del tutto l’incoraggiamento di Ippocrate sulla
necessità d’indagare la presenza nell’organismo di siti primari di
infiammazione o di putrefazione localizzata, come per esempio l’interno
dei denti compromessi, che diventa il fattore causale di disturbi a
distanza, prima indebolendo le difese del sistema di regolazione e poi
trasmigrando in altri siti secondo meccanismi di locus minoris
resistentiae.
Questo modo di pensare sui denti lo
ritroviamo anche in pieno medio evo, presso i guaritori naturali. La
loro diagnosi partiva dalla bocca e la guarigione veniva coadiuvata da
cambiamenti di alimentazione, impacchi e tisane con fitoterapici
specifici per risvegliare la presenza dell’organismo nelle parti
ammalate. Anche i professori delle prime università di medicina
raccomandavano l’estrazione dei denti malati per la cura delle patologie
degli occhi e delle orecchie e di altri organi distanti (Ambroise Pare,
1517-1590, Giovanni Andrea Della Croce, 1533-1603, e Pieter van Foreest
1522-1597). Questi autori erano finanche a conoscenza del fatto che
numerosi malanni potevano essere fatti risalire a qualche frammento di
radice rimasto nell’osso mandibolare nel corso di precedenti estrazioni
dentali.
Nel 1838 il Dr. Shearjashub Spooner
scriveva: “Non credo sia il caso di dubitare ancora che le malattie dei
denti siano in grado di causare dei disturbi fisici a distanza e possano
contribuire allo sviluppo di malattie sistemiche croniche.” E citava
oltre alle sue osservazioni personali una quarantina di esempi di simili
guarigioni pubblicati da Leonard Koecker in “Grundsätze der
Zahn-Chirurgie” (Weimar, 1828). Fu proprio negli anni seguenti che ci fu
lo scisma ufficiale e definitivo tra medicina e odontoiatria. Nel 1851
il prof. Thomas Bond, dell’Università di Baltimora, era protagonista di
un ulteriore tentativo di ricucire la disattenzione crescente dei medici
su questo argomento invitandoli a “non sottovalutare la patologia
dentale come causa di difficoltà organiche a distanza, come invece sta
accadendo oggi che facciano i più.” Per quanto in questo periodo ci
siano ancora molti autori interessati a questo tema, significativo è il
seguente passaggio di Samuel Fitch, autore di “System of Dental Surgery”
(1827): “Voi mi direte, com’è possibile che la correlazione tra
patologie dentali e malattie sistemiche, se è vera, sfugga
all’attenzione della più parte dei medici? Ebbene dovete sapere che gli
insegnamenti sui denti da alcuni decenni sono stati tolti dal curriculum
formativo dei medici, dopodiché questi generalmente non hanno la
curiosità di valutare l’argomento in relazione alle malattie che sono
già impegnati a curare con un folto arsenale di sostanze.”
Fitch tra le altre cose raccolse
un’ampia casistica sulle infezioni dentali come fattore decisivo nello
sviluppo della tubercolosi. Anche Leyden (1867), Fuller (1881), Jaffe
(1886) e Israel (1886) segnalarono diversi casi di tubercolosi polmonare
che guarivano in seguito all’estrazione di denti compromessi. Ungar
(1884) richiamò l’attenzione alla caratteristica ulcerazione delle
gengive, che nel caso specifico di un suo paziente tubercolotico nasceva
proprio da un dente cariato in profondità. Il dente sospetto fu rimosso
ottenendo un sorprendente recupero delle condizioni di salute del
paziente.
Già Areteo di Cappadocia aveva descritto
una considerevole infiammazione della gengiva nel primo caso di
tubercolosi mai consegnato alla storia nel 1° secolo d.C. (De causis et
signis diuturnorum morborum).
William Duke nel suo “Oral sepsis in its
relationship to systemic disease” (1918) invitava i suoi colleghi a
trattare la tubercolosi e i casi di tabes dorsalis con la bonifica delle
infezioni dentali, perché queste potessero essere la causa principale o
comunque un co-fattore decisivo nel decorso di queste malattie. Anche
il celebre chirurgo francese Antoine Petit aveva pubblicato nel 1750
alcuni casi di guarigione di tubercolosi di lunga data ottenuta in
seguito all’estrazione di denti malandati. Il Dr. Gater (1801)
oltreoceano quotava nel 1801 due casi di guarigione, uno da consunzione
ed un altro da vertigine, entrambi che duravano già da parecchi anni,
con l’estrazione semplicemente di due denti mal messi.
Nel 1848 si distinse per delle
segnalazioni nello stesso ambito il Dr. Mayo Smith: “Molti pazienti
vittime di consunzione polmonare pagano delle fortune per curarsi, per
fare lunghi soggiorni termali oppure per viaggiare magari in assolate
isole del mediterraneo. E però queste ed altre spese mediche al più
rallentano solo leggerissimamente la progressione della malattia senza
fermarla. D’altro canto le mie osservazione cliniche mi dicono che la
maggior parte di questi pazienti avrebbero semplicemente bisogno di
essere inviati da un bravo dentista per estrarre i denti compromessi che
stanno contribuendo alle loro sofferenze, alle loro spese mediche e in
pratica ad una loro morte prematura.
carissimo Salvatore, interrompo un
attimo il mio racconto per dirti che è stato un libro tedesco ad
incoraggiarmi a fare queste ricerche, che pero’ ora procedono in modo
autonomo perchè posso sfogliare i casi clinici in questi motori di
ricerca:
Il libro tedesco che mi ha ispirato è questo:
x Nürnberg, Manfred
Dentogene Herdinfektion. Zusammenhänge zwischen Zahnerkrankungen und anderen Krankheiten bis zur Einführung des Begriffs «focal infection» im Jahre 1911
ISBN 978-3-631-49296-3
Dentogene Herdinfektion. Zusammenhänge zwischen Zahnerkrankungen und anderen Krankheiten bis zur Einführung des Begriffs «focal infection» im Jahre 1911
ISBN 978-3-631-49296-3
Avevo già postato i casi di problemi
alle orecchie menzionati in questo libro, qui sotto li trovi, ma ora ne
ho molti di più che devo ancora aggiungere:
Vediamo ora alcuni esempi clinici in cui
si presenta una correlazione tra problemi all’orecchio di vario tipo e
carie, denti devitalizzati, denti impattati e inclusi, tonsille
infiammate, etc. Dolori e disturbi dell’orecchio originati da situazioni
infettive croniche del cavo orale sono situazioni ben note in
letteratura medica, soprattutto nei bambini. Negli adulti sono spesso
dovuti alla pressione generata da terzi molari impattati.Clerk (1919)
descrive un caso di esaurimento nervoso dovuto a un forte dolore nella
cavità auricolare, scomparso in seguito all’estrazione del terzo molare
dalla stessa parte. Lo stesso autore cita un altro caso di dolore dietro
l’orecchio sinistro curato dalla rimozione delle radici del molare
mascellare.
Price (1923) descrive un caso di dolore molto acuto a entrambe le orecchie. Dopo l’estrazione di 4 denti con osteite condensante intorno agli apici, il dolore si fermò bruscamente per qualche giorno per poi ripresentarsi con un’infezione – tipica dell’osteite condensante – alle cavità in lenta guarigione. In seguito al trattamento delle cavitazioni (necrosi residua sull’osso mascellare), il dolore scomparve in maniera definitiva. Da questo caso si evince come l’otalgia possa essere causata da irritazione del nervo dovuta a infezione, ascessi, carie, etc. e da riflessi simpatici dovuti a irritazione meccanica causata da pressione da inclusioni, etc.
Price (1923) descrive un caso di dolore molto acuto a entrambe le orecchie. Dopo l’estrazione di 4 denti con osteite condensante intorno agli apici, il dolore si fermò bruscamente per qualche giorno per poi ripresentarsi con un’infezione – tipica dell’osteite condensante – alle cavità in lenta guarigione. In seguito al trattamento delle cavitazioni (necrosi residua sull’osso mascellare), il dolore scomparve in maniera definitiva. Da questo caso si evince come l’otalgia possa essere causata da irritazione del nervo dovuta a infezione, ascessi, carie, etc. e da riflessi simpatici dovuti a irritazione meccanica causata da pressione da inclusioni, etc.
Spencer (1880-81) riporta vari casi di
dolore all’orecchio manifestatosi temporaneamente in corrispondenza di
un’estrazione di un dente infetto, evidente effetto negativo della
setticemia temporanea causata dall’estrazione dentale. Il fatto che
l’orecchio dal lato del dente estratto fosse il punto debole
dell’organismo affetto dalla setticemia si può spiegare sia per la
vicinanza dei due organi, sia in base ad una sensibilizzazione di questo
sito all’esposizione infettiva cronica a basso dosaggio che si era
verificato prima dellestrazione dentale.
Tenisien (1879) e Smith (1885) citano casi dovuti a varie patologie dentarie. Un nervo necrotico arrivò a causare problemi all’orecchio in un caso riportato da Smith (1912).
Tra tutte le condizioni infiammatorie acute e croniche dell’orecchio dovute a sepsi orale, l’otite media è forse la più comune. Niesmann (1850-51) descrive un caso di suppurazione e sordità causato da irritazione simpatica dovuta a un dente del giudizio infiammato e curato mediante estrazione.
Tenisien (1879) e Smith (1885) citano casi dovuti a varie patologie dentarie. Un nervo necrotico arrivò a causare problemi all’orecchio in un caso riportato da Smith (1912).
Tra tutte le condizioni infiammatorie acute e croniche dell’orecchio dovute a sepsi orale, l’otite media è forse la più comune. Niesmann (1850-51) descrive un caso di suppurazione e sordità causato da irritazione simpatica dovuta a un dente del giudizio infiammato e curato mediante estrazione.
Drew (1877) descrive un caso di ascesso
nell’orecchio dovuto a un molare. Broca (1904) riporta di un caso di
suppurazione nel condotto uditivo esterno dovuta a osteomielite
mascellare e morte dovuta a setticemia in seguito a errata procedura di
estrazione.
Glogau (1912) descrive un caso di infiammazione dell’orecchio medio e tonsillite dovute a Streptococcus capsulatus di origine dentale. Thoma (1916) e Cahn (1923) menzionano casi di otite media provocati da ascessi orali.
Glogau (1912) descrive un caso di infiammazione dell’orecchio medio e tonsillite dovute a Streptococcus capsulatus di origine dentale. Thoma (1916) e Cahn (1923) menzionano casi di otite media provocati da ascessi orali.
Molti altri autori sono stati capaci di
ricondurre affezioni dell’interno dell’orecchio a patologie orali.
Goadby asserisce che l’infezione orale, piccola in termini quantitativi
ma persistente e cronica, può produrre labirintiti. MacKenzie ne riporta
un caso causato da sepsi dentale. Kelemen (1927) cita un caso dovuto al
fusobatterio fusiforme: tossine di origine orale possono sia
influenzare varie sezioni dell’ottavo nervo cranico (producendo
un’infiammazione della porzione vestibolare, nausea, vomito, giramenti
di testa, vertigini e nistagmo, sonnolenza), sia causare effetti
negativi nella porzione cocleare, tinnito, neurite e sordità.
Gracey (1925) e Reys (1927) attirano
l’attenzione sulle conseguenze tossiche, dovute a sepsi orale, sulla
porzione vestibolare dell’ottavo nervo cranico. Daland (1927) citò la
sindrome di Meniere come curata mediante estrazione.
Il risultato più comune e grave
dell’affezione dell’apparato cocleare dell’ottavo nervo è la sordità: la
letteratura contiene, in effetti, molti casi di sordità originata da
patologie orali. Alcuni casi sono già stati menzionati. Ci sono anche
Campbell (1875), Tumbull (1880) e Prosser (1887) che descrivono casi
illustranti questa relazione eziologica. Pickerill (1912), Tousey
(1922), Cahn (1923) descrivono tinnito, neurite tossica e sordità
conseguente a infezione orale. Hutchinson (1920) descrive un caso di
sordità e tinnito curati mediante estrazione di 5 denti infetti
apicalmente e Gracey (1925) cita un caso di sordità e uveite guarita in
seguito a rimozione dei denti con ascesso.
Nell’analisi dei meccanismi che portano a sordità, si potrà verificare come un certo numero di cause o concause di origine orale abbiano contribuito a porla in essere. Gracey (1926) sostiene che, nella sordità neuro-sensoriale, tossine scaturite da suppurazioni orali mostrino come un’affinità selettiva (i.e. anafilassi) per il nervo auditivo e l’orecchio possano profilare una sensibilizzazione dell’orecchio mediante proteine batteriche. Lo stesso autore riferisce che molti pazienti soffrono – per lo più inconsapevolmente – di sordità neurosensoriale, soprattutto percezione difettiva dei toni più alti. Nella stragrande maggioranza delle persone affette da sordità già in età giovane, la causa principale è da rintracciarsi nel tessuto linfoide della faringe, che si trova in stato di infezione. I periodi di esacerbazione dipendono dal rilascio di tossine dal focus, il che spiega la natura intermittente dello stato di sordità.
Duel (1924) sottolinea la degenerazione nervosa dovuta a neurite tossica in concomitanza con un processo catarroso cronico e con otosclerosi causante ulteriore improvvisa sordità e vertigini.
La batteriologia comparativa dell’otite media e quella delle condizioni patologiche orali corroborano l’idea dell’infezione proveniente dalla bocca. Il medio orecchio è normalmente sterile ma, in presenza di affezioni della gola e della bocca, l’infezione si sposta non di rado nel tubo di Eustachio.
Nell’analisi dei meccanismi che portano a sordità, si potrà verificare come un certo numero di cause o concause di origine orale abbiano contribuito a porla in essere. Gracey (1926) sostiene che, nella sordità neuro-sensoriale, tossine scaturite da suppurazioni orali mostrino come un’affinità selettiva (i.e. anafilassi) per il nervo auditivo e l’orecchio possano profilare una sensibilizzazione dell’orecchio mediante proteine batteriche. Lo stesso autore riferisce che molti pazienti soffrono – per lo più inconsapevolmente – di sordità neurosensoriale, soprattutto percezione difettiva dei toni più alti. Nella stragrande maggioranza delle persone affette da sordità già in età giovane, la causa principale è da rintracciarsi nel tessuto linfoide della faringe, che si trova in stato di infezione. I periodi di esacerbazione dipendono dal rilascio di tossine dal focus, il che spiega la natura intermittente dello stato di sordità.
Duel (1924) sottolinea la degenerazione nervosa dovuta a neurite tossica in concomitanza con un processo catarroso cronico e con otosclerosi causante ulteriore improvvisa sordità e vertigini.
La batteriologia comparativa dell’otite media e quella delle condizioni patologiche orali corroborano l’idea dell’infezione proveniente dalla bocca. Il medio orecchio è normalmente sterile ma, in presenza di affezioni della gola e della bocca, l’infezione si sposta non di rado nel tubo di Eustachio.
L’organismo più comunemente trovato
nella maggior parte dei casi di suppurazione dell’orecchio medio è lo
Streptococcus hemolyticus, come dimostrato da Valentine (1924), Libman
(1924) e Dunlap (1925). Valentine scopre che, quando lo Streptococcus
hemolyticus (o Viridians o pneumococco) è la causa scatenante la
condizione, potremo verificarne la presenza altresì nella gola.
In conclusione, ecco alcune ultime
considerazioni sulle stretta relazione anatomica tra orecchio e cavità
orale. I cinesi trattavano i dolori di denti mettendo pasticche di aglio
e potassio all’interno dell’orecchio. Riviere (1859) insegna che le
vene che riforniscono i denti di sangue passano attraverso l’orecchio.
Ippocrate (460 a. C.) cita un caso di affezione fagedenica della bocca
causante suppurazione dell’orecchio. Fauchard (1728) riporta di un
otalgia causata da un dente malato e J.G. Pasch nello stesso secolo
descrive un caso di sordità dovuta a eruzione di un terzo molare.
Koecker (1842-43), Arthur (1846), Niesmann (1850-51) e Hilton (1861)
riportano tutti di patologie dovute a malattie orali. Netter (1889)
attira l’attenzione sulla suppurazione dell’orecchio medio dovuto a
penetrazione all’interno della cavità timpanica di microbi dalla bocca. I
ceppi di Streptococcus hemolyticus incontrati da Valentine sono:
Streptococcus pyogenes 85%, streptococcus Infrequens 9.4%, Streptococcus
equi 5.6%. Altri organismi talvolta predominanti sono gli
staphylococcus, pneumococcus, Streptococcus viridans e dipteroidi. Nei
casi di acuti o cronici flussi fetidi fuoriuscenti dall’orecchio, i
fusiform bacilli e spirochaetes sono stati trovati, così come gli
streptococchi, i pneumococchi e i dipteroidi.
Dr. Mayo Smith [1848] scrive: “Qualche
tempo fa si presentò da me una giovane donna con una diagnosi di
tubercolosi. Soffriva di consunzione da molti anni, ma le sue condizioni
erano peggiorate in modo serio nell’ultimo periodo. Era debilitata,
emaciata, estremamente sensibile a sforzi e stress. I suoi medici le
avevano consigliato con insistenza di fare un viaggio nella sua nativa
Marsiglia nella speranza che il mediterraneo potesse aiutarla a
rimettere su un po’ di forze. Mi disse che a tratti aveva avuto disturbi
ad un dente che aveva curato con degli impacchi. Dai denti frontali uno
poteva pensare che la salute dei suoi denti fosse discreta e invece
quando andai a vedere meglio trovai uno stato alquanto deteriorato di
molti denti. Per esempio sull’arcata superiore destra tutti i molari e
un premolare erano completamente compromessi. Ma lo stesso era simile
per l’arcata inferiore. Otturai quelli che potevano essere curati, tolsi
il tartaro estrassi quelli che era impossibile salvare. Circa una
settimana dopo la paziente si sentiva così tanto meglio che aveva già
abbandonato tutti i propositi di viaggiare. Quando la vidi tre mesi dopo
era cambiata così tanto nell’aspetto che stentai a riconoscerla. Gli
occhi erano fulgenti e tutte le sue difficoltà sembravano proprio
essersi dissolti. Suo padre non finiva più di congratularsi con me, in
effetti non aveva fatto altra terapia che questa della bonifica della
situazione dentale. Io d’altra parte ho osservato spesso patologie anche
più gravi di questa che venivano causate da infezioni dentali. Forse
non in tutti i casi i cambiamenti positivi avvengono con grande
immediatezza come in questo caso, ma i decorsi positivi verso la
guarigione sono la norma. Alcuni colleghi mi dicono di aver raccolto una
casistica simile. Mi auspico davvero che anche il medico generico entri
nella logica che il primo indispensabile passo per il recupero della
salute di questi pazienti sia la valutazione di eventuali patologie
dentali.”
Senza ora voler entrare troppo nel
dettaglio, il discorso è che i micobatteri o altri microrganismi
patologici non sono sé stessi se prima non hanno trovato un antro in cui
essere localizzati preferenzialmente e proliferare. Ebbene l’occasione
giusta viene fornita dalla struttura dei denti al microrganismo nel
momento in cui la vitalità del dente vacilla (Avdonina 1991)
Vallow nel 1914 sosteneva che la
tubercolosi poteva senz’altro essere causata da un dente cariato in
profondità e Gambetti (1966) di nuovo riportava un caso simile. Vallow
spiegava che proprio il fatto che al micobatterio capitasse l’occasione
di andare a cultura nel dente era decisivo prima dell’attacco focale sul
tratto gastrointestinale o la colonizzazione definitiva dei polmoni.
Vallow allora si soffermava a
considerare il dente depolpato, devitalizzato: “Al dente cui è stata
fatta la cura canalare senz’altro sono stati eliminati i tessuti
linfatici interni della radice, ma l’area intorno all’apice del dente è
ancora ricca di tessuti linfatici, per cui non deve suscitare stupore
che un’infezione cronica non vista dal sistema (perché in una zona
franca) possa fare danni a distanza e possa prima danneggiare il sistema
linfatico e poi “usarlo” per propagarsi. Robert Major nel 1917 faceva
notare che la propagazione dell’infezione nell’organismo era preceduta
da una lunga fase in cui il sistema immunitario e il sistema linfatico
erano stati avvelenati in modo asintomatico da bassissime dosi di
proteine tossiche che derivavano dal metabolismo anaerobico di questi
batteri.
Secondo le osservazioni del Dr. William
Duke, la malattia sifilitica poteva in molti casi regredire
completamente a seguito della bonifica delle infezioni dei denti, così
come anche casi gravi d’infezione tifoide. Recentemente in effetti
risulta da uno studio di Motta (2011) che le infezioni dentali croniche
rappresentano un fattore primario di mantenimento degli episodi reattivi
di lebbra e uno studio di Papagrigorakis (2006) mostra la presenza di
una colonia del bacillo del tifo all’interno della radice di un dente
cariato in una persona morta durante la piaga di Atene nel 430 a.C.
Abbiamo detto del contributo causale
delle patologie dentali nella tubercolosi polmonare (tisi). Questa era
una causa importante di malattia e di morte nel 1800. “Tubercolosi”
onestamente era il termine usato per quasi tutte le malattie del tempo,
per esempio nel caso di Mozart si parlò di tubercolosi con
coinvolgimento reumatico e renale. Documentandosi bene sembra proprio
che il compositore abbia sofferto di una malattia neurofocale di origine
dentale (peggiorata da fattori contingenti). La vittima di tubercolosi
polmonare più famosa che l’800 ci ha consegnato fu Marie “Violetta”
Duplessis (1824-1847), la prostituta più famosa di tutti i tempi, che si
innamorò ricambiata di un suo cliente. Ammalatasi giovanissima di una
grave forma di tisi, non fece in tempo a cambiare vita proprio a causa
della malattia, come abbiamo appreso dalla Traviata del Verdi (1853) o
dal romanzo ‘La Signora delle Camelie’ di Alexander Dumas (1952) che la
vedono protagonista. Violetta aveva lasciato la sua famiglia di
contadini della Normandia per stabilirsi a Parigi all’età di 14 anni ed
iniziare a lavorare presso un fornaio. Una bellezza straordinaria,
all’età di 20 anni riceveva conti e duchi in un appartamento sontuoso in
Boulevard de Madeleine. Ci fu una indimenticabile partecipazione di
popolo a Parigi ai funerali di Violetta. Una bellezza straordinaria, un
carattere vivace, la cortigiana aveva rappresentato in quegli anni
l’argomento di conversazione più apprezzato in tutta la Francia. Ogni
volta che debuttava una commedia nuova a Parigi si era certi di vederla
apparire con tre cose che non la lasciavano mai, poste sul parapetto del
suo palco privilegiato: l’occhialino, un sacchetto di dolci e un mazzo
di camelie. Sembra che la sua passione per i dolci abbia giocato un
ruolo centrale del suo dramma. Infatti molti autori del tempo facevano
notare che ad ammalarsi di consunzione erano molto più di frequente i
consumatori di zucchero che non gli altri.
Alexander Dumas, che ebbe una breve,
burrascosa relazione con lei, la descrisse come nervosa, facilmente
affaticabile, facilmente irritabile, capricciosa, con un comportamento
infantile, pallida, molto emotiva, impulsiva, incontrollabile. Insomma
aveva anche segni di nevrastenia, che infatti colpiva proprio i
consumatori di zucchero. Violetta accettava come regalo floreale solo le
camelie, fiori privi di profumo, visto che le davano fastidio gli odori
(primo caso di sensibilità chimica multipla?).
Garencières (1610-1680), un farmacista
francese che trascorse la maggior parte della sua vita in Inghilterra,
ha spiegato che lo zucchero in Inghilterra era responsabile della Tabes
anglica, una forma di tisi particolarmente diffusa.
Secondo quanto riportato dallo storico
del 18° secolo William Stith, lo zucchero ebbe il potere di far ammalare
Pocahontas di consunzione (1595-1617). Suo padre, King Powhatan, che
odiava i modi degli inglesi, sospettò subito che la loro decadenza
morale, fisica e l’odore che emanavano attraverso la pelle avessero
tutti un’origine comune, e cioè le razioni di zucchero, i biscotti e
l’alcool o il rum della marina inglese. Ma Pocahontas, contrariamente a
suo padre, rimase affascinata e acritica di tutte le novità. Il primo
regalo che le fece Smith, l’inglese cui salvò la vita, furono zucchero e
dei biscotti. Quando Pocahontas arrivò a Londra fu ospite della
famiglia reale e tutta l’aristocrazia di Londra faceva a gara per averla
presso di sè. Banchetti e feste danzanti furono date in suo onore. Il
nuovo regime dietetico mise duramente alla prova i suoi denti.
Pocahontas sviluppò una grave malattia che la portò alla morte per
consunzione. Gli indiani, tutti tranne Pocahontas, erano fortemente
convinti di questa relazione causa-effetto, e perciò erano prevenuti. Il
Dr. Weston Price ce ne parla nel suo libro ‘Nutrition and Physical
Degeneration’.
Quando Price visitò gli indiani che
vivevano nelle zone più impervie e lontane delle Montagne rocciose,
Price chiese al capo della tribù indiana quale potesse essere la ragione
per cui loro non si ammalavano di consunzione. L’indiano rispose:
“Perché queste sono malattie dell’uomo bianco”. Price: “Cioè gli indiani
sono immuni?” “No, anche per gli indiani è possibile ammalarsi. Ma il
problema dell’uomo bianco è che ha voluto dimenticare da tempo la
correlazione tra ciò che mangia e la sua salute. Ma è vero, anche gli
indiani che consumano le farine e lo zucchero venduto nei negozi
dell’uomo bianco si ammalano.” Price notò che i denti degli indiani
dello Yukon erano immacolati e a dire il vero anche il Dr. Benjamin Rush
nel 1800 aveva fatto la stessa osservazione.
Studi su mummie nel periodo
pre-dinastico (3400 a.C. fino al 1700 a.C.) mostrano che gli egiziani
avevano denti buoni. Ciò valeva in modo particolare per le classi
povere. I faraoni e le classi più abbienti invece avevano la sfortuna
d’incorrere più facilmente in patologie dentali. Il medico egiziano Arad
Nissa curò il faraone Annaper Essa nel 500 a.C. con l’estrazione di
denti cariati. Il faraone soffriva di dolori reumatici cronici alle
ginocchia che in un primo momento erano stati tenuti sotto controllo con
impacchi e misture tradizionali ad uso medicinale. Ma ad un certo punto
i dolori del faraone aumentarono e non erano più controllabili con i
rimedi. Ce ne parlano appunto i geroglifici: al dottore fu dato un
ultimatum, o riusciva a liberare Annaper dai dolori reumatici oppure
sarebbe stata ordinata la sua decapitazione. Il dottore allora trovò il
coraggio di fornire la sua visione dei fatti. La malattia non sarebbe
migliorata se non fosse stata allontanata la causa, e cioè i denti
infetti. Fu così che il faraone guarì, si sentì come rinato dopo le
estrazioni di alcuni denti infetti e il medico fu ben ricompensato per
il successo ottenuto! [Kuhmlein 1999]
Lo stesso avvenne per il re assiro
Asarhaddon secondo delle tavolette di Ninive risalenti al 650 a.C. (ce
ne parla Leroy Waterman nel suo “Assyrian Medicine in the Seventh
Century”, 1925). Il suo medico Aradna gli dice che solo quando accetterà
di farsi estrarre i denti potrà riprendersi dalla malattia, che in quel
caso era una grave poliartrite a gambe e braccia, peggiorata da mal di
testa. “I denti del mio Re devono essere rimossi, perché è con essi che
nasce l’infiammazione interna. I dolori scompariranno immediatamente e
il suo stato di salute tornerà normale”. Le conoscenze empiriche di
Aradna insieme con tutta la clinica accumulata dai medici assiri gli
davano la sicurezza di non sbagliarsi. Se Asarhaddon non guariva dopo
aver tolto i denti, il dolore sarebbe stato tutto del suo servitore che
gli aveva consigliato una cosa simile!
Allarghiamoci leggermente un attimo per
poi tornare al punto. M. Robert segnalò in Treatise on the Principal
Objects of Medicine, vol.2, pag.311 (1844) il caso singolare di un bimbo
che morì una sera dopo aver sofferto con gengive dolenti per denti
primari che non riuscivano a venir fuori. Saputa la triste notizia il
medico curante si recò da lui per osservare le condizioni dell’alveolo
infiammato dove il dente non era riuscito a spuntare. Fece dunque
un’incisione della gengiva, si accingeva ad effettuare una esplorazione
minuziosa dell’area, quando improvvisamente vide il bimbo aprire gli
occhi e mostrare segni di vita. Il piccolo fu liberato dal sudario nel
quale lo avevano già sistemato, fu accudito, il dente venne fuori e il
bambino recuperò perfettamente.
I miracoli di guarire i paralitici, i
sordi, i lebbrosi e i ciechi o di risorgere i morti, si potrebbero
riferire alla conoscenza che Esculapio aveva dell’effetto dei denti
nelle malattie? Come abbiamo visto la presenza di denti morti o infetti
crea una situazione cronica di avvelenamento dell’organismo.
Questo il modus operandi di Esculapio,
il figlio prediletto del dio della medicina Apollo. Prediletto perché
consapevole di alcune caratteristiche della “forza vitale”.
” Hermon of Thasus. His blindness was cured by Asclepius.” [Inscriptiones Graecae, 4.1.121 - 122, Stele 2.22]
“I found [in writing this history]
some who are reported to have been raised by him [Asclepius] , to wit,
Capaneus and Lycurgus, as Stesichorus [645- 555 BC] says… Hippolytus, as
the author of the Naupactica reports[6th century BC], Tyndareus, as
Panyasis [c. 500 BC] says; Hymnaneus, as the Orphics report; and
Glaucus…as Melasogoras [5th century BC] relates.” Apollodorus, The
Library, 3.1.3- 3]
Il Dr. Mayo G. Smith (1848) riportò
la guarigione completa di un paziente che prima era così sordo che gli
si poteva parlare solo attraverso una tromba all’orecchio. Leonard
Koecker riportò casi simili di guarigione (Deafness and case of lost
sight cured by proper dental treatment. Am. Jnl. Dent. Sci. 3: 243-245,
1842-43). Problemi di varia natura all’udito che erano stati causati da
infezioni dentali croniche sono stati segnalati anche da Arthur (1846),
Harvey (1850), Niesmann (1850), Hilton (1861), Drew (1877), Tenison
(1879), Spencer (1880), Smith (1885), Prosser (1887), Netter (1889),
Dempsey (1901, Broca (1904, Smith (1912), Hutchinson (1920), Adam
(1921), Frenzel (1921), Hartwich (1921), Huddleston (1921), Tousey
(1922), Cahn (1923), Price (1923), Pilot (1924), Valentine (1924), Clark
(1925), Dunlap (1925), Goadby (1925), Gracey (1925), MacKenzie (1925),
Kaiser (1926), Kelemen (1926 & 1927), Leto (1927), Podesta (1927),
Reys (1927).
Diversi autori anche nel corso
dell’ultimo secolo hanno fatto questa scoperta della correlazione tra
malattie croniche degenerative e necrosi mandibolari o denti infetti
asintomatici perché devitalizzati. La presenza di questi denti è un
fardello insostenibile per la forza vitale della persona malata,
ribadivano sulla scia di Ippocrate il Dr. Josef Issel, il Dr Max Gerson e
numerosi loro illustri colleghi che consigliavano di allontanare i
denti devitalizzati nelle persone malate. Impossibilitati in questo
articolo a seguire nel dettaglio i casi clinici presentati da questi
autori e finanche fare un breve elenco di tutti gli altri che si sono
avvicinati a questa tematica, vediamo come succede che un medico faccia
questa scoperta autonomamente.
COME NE SONO VENUTO A CONOSCENZA, in: “O la bocca o la vita!”, Grancher Ed. 1991
Davo Koubi:
Fu all’inizio della mia carriera,
neo-assunto presso il dipartimento di Stomatologia dell’Università di
Cannes, che iniziai a fare osservazioni inaspettate su come alcune
malattie cronico-degenerative rispondevano all’estrazione di denti
infetti. Una donna soffriva da nove anni di una malattia alla pelle con
formazione continua di croste suppuranti. Sollevando una corona era
uscita una puzza nauseabonda da un dente che perciò estraemmo. Togliendo
quel dente, la sua condizione cronica sparì immediatamente. Un altro
paio di osservazioni che feci nel giro di qualche settimana
riguardavano: (1.) una undicenne, cui estrassi un dente da latte
compromesso; l´effetto più rilevante fu quello di guarirla dalle sue
difficoltà di mantenere normali valori di glicemia nel sangue; (2.)
un’altra estrazione di un dente da latte infetto portò alla guarigione
di una dermatite cronica in un altro ragazzo di dieci anni; i genitori
mi segnalarono anche che dopo l’estrazione avevano notato che il ragazzo
era diventato molto meno agitato, non faceva più incubi come succedeva
di frequente prima, si era liberato della sua occasionale insufficienza
respiratoria. Mi ricordai allora cosa era accaduto con mio padre nel
1930. La sua vita sregolata si trovò davanti al verdetto della clinica
Universitaria che preannunciava una sua fine prossima a causa di una
tubercolosi con infezioni ricorrenti e congestione polmonare. Dovette
restare a casa per quanto stava male e ciò non era mai successo in vita
sua. Aveva 45 anni. Noi in famiglia eravamo sempre dipesi dal suo lavoro
ed ora eravamo sull’orlo del lastrico! Ad un certo punto fu costretto
ad andare dal dentista per dei terribili dolori al viso, noi pensavamo
che fosse proprio la fine per lui! E invece no, fu la sua salvezza,
perché gli trovarono uno stato di degradazione mandibolare avanzata,
cioè un’osteomielite sotto tutti i denti che rese necessario estrarre
non solo i denti devitalizzati ma anche quelli affianco, allo scopo di
pulire l’osso e fermare i dolori. Avendo liberato la bocca da quelle
nicchie putride, mio padre guarì, riprese tutti i suoi eccessi, e non
ebbe mai più quelle malattie. Visse ancora 32 anni in discreta salute,
cioè fino ai 77 anni di età. Certo, aveva dovuto mettere la dentiera, ma
era guarito!
Come dice il Dr. G. Pelz in un libro del
1966, «a chi più e a chi meno, cari dentisti, è capitato a tutti di
prendere atto, dopo un’estrazione di un dente devitalizzato infetto,
delle reazioni entusiaste di pazienti che scoprivano di essere stati
liberati da questo o da quel disturbo. Per esempio i pazienti
riportavano che nel giro di due o tre giorni dall’estrazione un mal di
testa era sparito, o addirittura una sciatalgia, o un dolore lombare.
Questo evento, estremamente gratificante per il paziente, viene però
spesso considerato una fortunata coincidenza temporale. Ma non si tratta
affatto di un caso…». Decisi di tenere gli occhi aperti, volevo avere
altri dati perché di certo non riuscivo a pronunciare il mio verdetto su
una storia così impossibile da credere: guarigioni definitive e così
nette solo dopo l’estrazione di un dente devitalizzato? Denti
apparentemente perfetti erano invece compromessi? Ci fu una lunga,
lunghissima fase che io chiamerei: l’apprendista ha delle riserve ma
inizia a farsi una sua opinione. La perplessità del neofita mi obbligava
ad un silenzio prudente.
La mia avida curiosità però ormai stava
tracciando il solco di una opinione personale netta in base alle
evidenze della scomparsa dei dolori e di una moltitudine di malattie
acute o anche croniche! Altro che analisi del sangue,
elettrocardiogramma, vaccini, auscultazione e quant’altro!! Io volevo
vedere solo l’ortopanoramica quando mi si presentavano pazienti in
difficoltà. Più andavo avanti e più diventavo dipendente da quel tipo di
osservazione. Per quanto riguarda me, avevo iniziato a soffrire di mal
di testa, vertigini e tachicardie poco dopo che all’età di 15 anni ebbi
un dente devitalizzato. Dopo 16 anni andai a togliere quel dente e tutti
quei problemi scomparvero insieme alla stanchezza. Ero stufo di crisi
parossistiche che mi portavano quasi all’invalidità, nonostante una
alimentazione curata. Farmaci allopatici, yoga e massaggi non ebbero mai
ragione di questi disturbi cronici. Le diagnosi erano state varie:
aerofagia, deficienza alla vescica biliare, sinusite, ipertensione.
Strano che un 16enne avesse diagnosi di questo tipo. A 31 anni di età mi
dissero che bisognava sacrificare l’appendicite. Tutti i medici
concordavano nella diagnosi di appendicite cronica e si pensava che in
qualche modo stesse contribuendo anche al peggioramento dei miei altri
sintomi. Per quasi un anno fui obbligato a lavorare meno ore possibile e
sospesi ogni altra mia attività. Prima di accettare la chirurgia per
l’appendicite decisi di togliere dalla bocca quel dente che era stato
devitalizzato poco prima della comparsa dei miei problemi 16 anni prima.
Era un molare superiore che dalla radiografia sembrava ineccepibile,
sia come terapia canalare che come tenuta senza infezioni. La gengiva
era sana. Comunque la mia decisione era presa. L’assenteismo cronico cui
le mie condizioni di salute mi condannavano fu la mia motivazione
decisiva. Ritornai alla normalità dopo l’estrazione di quel dente
devitalizzato. Che altro aggiungere? Migliaia di osservazioni simili si
sono susseguite negli anni seguenti. Era come se un velo si fosse
strappato davanti ai miei occhi. Ero entrato nella logica della
soppressione della causa dei disturbi.
Abbiamo detto di mio padre, ora vorrei
fare una piccola digressione su mia madre. Dopo i dolori reumatici fu
colpita anche da un aneurisma. E mentre era saturata di consigli da
tutte le parti su tisane e farmaci vari continuava a fare visite da
dentisti. Io stesso l’avevo accompagnata a fare qualche
devitalizzazione. A fronte dei mal di testa costanti, della paralisi
facciale, delle vertigini, dei disturbi reumatici, mia madre sofferente e
disperata aveva adottato un regime ferreo di farmaci, d’iniezione per i
dolori, ma anche una dieta macrobiotica accortissima. La sua tensione
arteriale era arrivata a 29! Disperata aveva anche riposto le sue ultime
speranze in riti religiosi e formule magiche. Oggi sicuramente mi
crederebbe se le chiedessi di lasciarmi fare le estrazioni dei suoi
denti devitalizzati. Secondo me sarebbe un atteggiamento sconsiderato e
sbagliato da parte mia quello di insistere nel riportare tutte le
patologie ad una causa sola. Ma altrettanto penalizzante e sbagliato
sarebbe ignorare questo campo di ricerca. So per certo che la conoscenza
di questi fenomeni di causa-effetto possono risultare utili ad un gran
numero di persone. I denti devitalizzati diventano “focali” senza che ce
ne si accorga e possono iniziare fenomeni distruttivi e infiammatori
sull’osso sotto di essi.
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40 anni, autore di libri, chimico. Competenze: danni da denti
devitalizzati, danni da amalgama, mal di latte.
Laureato in chimica industriale, attivista per quasi dieci anni
nell'ambito delle intossicazioni da mercurio, relatore ai seminari della
Società italiana di medicina funzionale (SIMF), E' stato uno dei soci
fondatori dell'Associazione per la difesa dalle otturazioni di mercurio
(ADOM). Ha pubblicato vari libri di medicina naturale tra cui i
best-seller Denti tossici e Magnesio (Macro Edizioni).
Per contattare Lorenzo Acerra
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