Il National Cancer Institute pubblica un rapporto su Jama: non
tutte le lesioni oggi identificate come tumori evolvono. E' importante
trovare nuovi nomi per distinguerle
Tiziana Moriconi
“La parola cancro evoca lo spettro di un processo
inesorabilmente letale. Ma i tumori sono eterogenei e possono seguire
molte strade, non tutti progrediscono fino alle metastasi e alla morte, e
comprendono condizioni non dolorose, che non incidono sulla aspettativa
di vita del paziente. […] L’uso del termine cancro dovrebbe essere circoscritto alle lesioni che hanno una ragionevole probabilità di portare alla morte, se non trattate”.
È con queste frasi che una task force del National Cancer Institute statunitense propone una “rivoluzione semantica”, che mira a un fine molto pratico: mettere un freno all’abuso della parola cancro
nelle diagnosi, con tutto il carico emotivo che si porta dietro, e che
getta nella disperazione le persone anche quando non vi è un reale
pericolo per la loro vita. Utilizzare i termini con maggiore cognizione
di causa potrebbe anche aiutare a contrastare un fenomeno sempre più
preoccupante: quello della sovra-diagnosi in oncologia.
Il rapporto del NCI. Il rapporto che racchiude queste raccomandazioni è stato pubblicato lo scorso 29 luglio sul Journal of the American Medical Association
(Jama) e non a caso si intitola “Overdiagnosis and Overtreatment in
Cancer”. Gli autori portano proprio il caso del carcinoma della mammella
definito “duttale in situ”: molti medici concordano sul fatto
che non si tratta di un tumore, e che dovrebbe avere un’altra
definizione che non contenga la parola “carcinoma”. Un cambiamento che
potrebbe rassicurare le donne e dissuaderle dal ricorrere a trattamenti
non necessari, come la rimozione delle mammelle. Lo stesso discorso,
scrivono i ricercatori, vale per altre lesioni della prostata, della
tiroide, del polmone. Una delle definizioni proposte è Idle, acronimo di “lesioni indolenti di origine epiteliale”.
Il problema della sovradiagnosi. Il gruppo di
esperti si era riunito nel marzo del 2012 per discutere proprio del
problema della sovra-diagnosi. La soluzione non è a portata di mano: gli
screening si servono di tecnologie sempre più raffinate e identificano
le lesioni sempre più precocemente. Il punto è: quali evolveranno verso
un tumore maligno e quali, invece, non rappresenteranno mai un pericolo?
La risposta – sottolinea il panel di esperti – può arrivare solo da una
maggiore conoscenza della biologia di queste lesioni, che permetta di
distinguerle e di prevederne l’evoluzione nel tempo. Oggi, una volta che
una lesione sospetta viene rivelata, comincia il pesante iter
diagnostico che può avere conseguenze fisiche e psicologiche.
Le raccomandazioni. Il rapporto del NCI rappresenta
un primo passo verso un cambio di prospettiva: è necessario – si legge –
identificare le strategie per ridurre le sovra-diagnosi e i
sovra-trattamenti, mantenendo quelle che stanno dando il maggior
contributo alla riduzione della mortalità e delle malattie localmente
avanzate. Si parte da una serie di raccomandazioni:
I medici, i pazienti e i cittadini devono essere consapevoli che
la sovra-diagnosi è comune e si verifica molto frequentemente durante
gli screening.
[E' necessario] cambiare la terminologia del cancro, partendo da nuovi criteri per la classificazione.
[E' necessario] creare dei registri osservazionali per le lesioni che hanno basse probabilità di diventare maligne.
[E' necessario] mitigare la sovra-diagnosi.
[E' necessario] considerare nuovi modi di studiare la
progressione dei tumori: le ricerche future dovrebbero tener conto
dell’ambiente in cui si instaurano le condizioni che portano al cancro,
per trovare una possibile alternativa alla chirurgia.
Fonte:http://la.repubblica.it
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