giovedì 2 gennaio 2014

"La definizione di cancro va cambiata."

Il National Cancer Institute pubblica un rapporto su Jama: non tutte le lesioni oggi identificate come tumori evolvono. E' importante trovare nuovi nomi per distinguerle
Tiziana Moriconi
“La definizione di cancro va cambiata”
“La parola cancro evoca lo spettro di un processo inesorabilmente letale. Ma i tumori sono eterogenei e possono seguire molte strade, non tutti progrediscono fino alle metastasi e alla morte, e comprendono condizioni non dolorose, che non incidono sulla aspettativa di vita del paziente. […] L’uso del termine cancro dovrebbe essere circoscritto alle lesioni che hanno una ragionevole probabilità di portare alla morte, se non trattate”.
È con queste frasi che una task force del National Cancer Institute statunitense propone una “rivoluzione semantica”, che mira a un fine molto pratico: mettere un freno all’abuso della parola cancro nelle diagnosi, con tutto il carico emotivo che si porta dietro, e che getta nella disperazione le persone anche quando non vi è un reale pericolo per la loro vita. Utilizzare i termini con maggiore cognizione di causa potrebbe anche aiutare a contrastare un fenomeno sempre più preoccupante: quello della sovra-diagnosi in oncologia.
Il rapporto del NCI. Il rapporto che racchiude queste raccomandazioni è stato pubblicato lo scorso 29 luglio sul Journal of the American Medical Association (Jama) e non a caso si intitola “Overdiagnosis and Overtreatment in Cancer”. Gli autori portano proprio il caso del carcinoma della mammella definito “duttale in situ”: molti medici concordano sul fatto che non si tratta di un tumore, e che dovrebbe avere un’altra definizione che non contenga la parola “carcinoma”. Un cambiamento che potrebbe rassicurare le donne e dissuaderle dal ricorrere a trattamenti non necessari, come la rimozione delle mammelle. Lo stesso discorso, scrivono i ricercatori, vale per altre lesioni della prostata, della tiroide, del polmone. Una delle definizioni proposte è Idle, acronimo di “lesioni indolenti di origine epiteliale”.
Il problema della sovradiagnosi. Il gruppo di esperti si era riunito nel marzo del 2012 per discutere proprio del problema della sovra-diagnosi. La soluzione non è a portata di mano: gli screening si servono di tecnologie sempre più raffinate e identificano le lesioni sempre più precocemente. Il punto è: quali evolveranno verso un tumore maligno e quali, invece, non rappresenteranno mai un pericolo? La risposta – sottolinea il panel di esperti – può arrivare solo da una maggiore conoscenza della biologia di queste lesioni, che permetta di distinguerle e di prevederne l’evoluzione nel tempo. Oggi, una volta che una lesione sospetta viene rivelata, comincia il pesante iter diagnostico che può avere conseguenze fisiche e psicologiche.
Le raccomandazioni. Il rapporto del NCI rappresenta un primo passo verso un cambio di prospettiva: è necessario – si legge –  identificare le strategie per ridurre le sovra-diagnosi e i sovra-trattamenti, mantenendo quelle che stanno dando il maggior contributo alla riduzione della mortalità e delle malattie localmente avanzate. Si parte da una serie di raccomandazioni:
I medici, i pazienti e i cittadini devono essere consapevoli che la sovra-diagnosi è comune e si verifica molto frequentemente durante gli screening.
[E' necessario] cambiare la terminologia del cancro, partendo da nuovi criteri per la classificazione. 
[E' necessario] creare dei registri osservazionali per le lesioni che hanno basse probabilità di diventare maligne.
[E' necessario] mitigare la sovra-diagnosi.
[E' necessario] considerare nuovi modi di studiare la progressione dei tumori: le ricerche future dovrebbero tener conto dell’ambiente in cui si instaurano le condizioni che portano al cancro, per trovare una possibile alternativa alla chirurgia.

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