venerdì 17 gennaio 2014

Il colesterolo non provoca l’infarto, ma è un affare per chi vende farmaci !!




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Finalmente. Il fatto che uno dei tanti megafoni delle finte crisi sanitarie degli ultimi anni – il Corriere della Sera - abbia dedicato lunedì ben due pagine alle bufale degli anni passati è un buon segno. Certo, ci sarebbe piaciuto essere stati meno isolati quando invitavamo a ragionare sui numeri e a non farsi trascinare dall’isteria (pilotata da potenti interessi), quando insomma scrivevamo che non saremmo morti di mucca pazza, né di Sars o di aviaria, ma che sarebbe stato più probabile venire spazzati via da un Suv o morire di rifiuti tossici.
Stessa cosa si può dire per l’allarme “bioterrorismo” in nome del quale sono stati elargiti fior di milioni – basti pensare all’epopea dello Spallanzani – per fronteggiare la fantomatica epidemia di antrace rivelatasi, anche quella, una bufala. Ben vengano le riflessioni su quei cinque-seicento milioni di euro buttati via per prevenire le (false) epidemie in arrivo mentre negli ospedali mancano posti letto e infermieri, ma vediamo come se la cavano i colleghi nello smascherare le bufale di oggi, quelle che continuano a risucchiare fondi e a suscitare paure prive di fondamento. E, se i dati dei nuovi studi verranno confermati, certo quella del colesterolo potrebbe delinearsi come la madre di tutte le bufale.
All’inizio di febbraio è stata infatti resa pubblicata una ricerca che smentisce uno dei dogmi della medicina degli ultimi anni ovvero la stretta correlazione fra colesterolo e infarto. Lo studio Enhance ha dimostrato che due farmaci anticolesterolo (l’ezetimibe che ne inibisce l’assorbimento intestinale e la simvastatina che ne riduce la produzione nel fegato) non apportano alcun beneficio alle nostre arterie. Insomma: anche se i farmaci abbassano il livello di colesterolo presente nel sangue non riducono il rischio di infarto. Lo studio, condotto e finanziato dai produttori dei due farmaci, è stato tenuto nel cassetto per due anni prima di arrivare alla pubblicazione di oggi. Nel commento del corrispondente della rivista Science Gary Taubes, pubblicato sull’Herald Tribune del 6 febbraio, viene spiegata l’origine dell’equivoco: in sostanza si è sempre confuso il colesterolo con le proteine che lo trasportano, le lipoproteine appunto.
Ma il colesterolo può essere buono a seconda che sia veicolato da lipoproteine a alta densità (Hdl) o a bassa densità (Ldl) e niente dimostra che sia lui il vero nemico visto che l’infarto colpisce anche persone con valori normali. I due farmaci presi in considerazione dallo studio Enhance, infatti, pur abbassando il livello del colesterolo non prevengono affatto la formazione delle placche.
Insomma, dopo anni di disgustosi beveroni, faticose rinunce e culto dei mitici omega 3, viene fuori che il colesterolo alto non fa male: una vera e propria rivoluzione che però, anche se è stata diligentemente riportata da qualche quotidiano nazionale, non ha minimamente interrotto il constante flusso di spot che ci consigliano questo o quel prodotto né, tanto meno, ha suscitato il mea culpa della comunità medica per avere tanto entusiasticamente abbracciato il verbo dell’industria farmaceutica.
Bisogna sottolineare che la stessa cosa accade negli States dove la Food and Drugs Administration, l’ente americano per il controllo delle medicine che alla fin fine detta la linea a tutto il pianeta, continua a registrare farmaci per la prevenzione delle malattie cardiache solo in base al fatto che riducono le lipoproteine che trasportano i grassi nel sangue mentre le autorità sanitarie continuano a condurre campagne di prevenzione mirate alla riduzione del colesterolo.
Gli interessi dell’industria farmaceutica nel settore delle malattie cardiovascolari sono evidenti – basti pensare quanti milioni di pazienti hanno continuato la terapia nei due anni durante i quali lo studio Enhance è stato tenuto in stand-by. In effetti, grazie alle dissennate abitudini alimentari dell’Occidente e all’allarme diligentemente pompato dai media, il mercato dei farmaci anti-colesterolo fa impallidire quello delle finte epidemie: il settore registrava un fatturato di 36 miliardi di dollari già nel 2003 e attualmente più di 40 milioni di statunitensi sono in cura.
Sul Corriere del 7 febbraio scorso Adriana Bazzi scriveva: «Le industrie hanno tutto l’interesse a promuovere l’ipotesi colesterolo, ad allargare la quota di consumatori di farmaci anticolesterolo (lo hanno fatto riducendo sempre di più i livelli normali nel sangue in modo da creare più “malati” come ha già denunciato il British Medical Journal) e a giocare sull’ipotesi colesterolo buono (da aumentare) e cattivo (da ridurre) per proporre nuove molecole dal momento che stanno scadendo i brevetti di quelle vecchie».
Bazzi si riferisce al 2004, quando oltreoceano vennero definite le “nuove linee guida” che crearono, dal nulla, ben 7 milioni di malati in più. Quando scoppiò la polemica venne fuori che ben 6 dei 9 membri che formavano la commissione erano noti per le loro frequentazioni con le case farmaceutiche e si scoprì che l’autore di uno studio relativo ai problemi cardiovascolari era collegato con ben 20 compagnie che producono medicinali e “attrezzature” per il cuore. Conflitto d’interesse? Non scherziamo. Nel mondo anglosassone il fatto che gli studi sull’efficacia di un farmaco vengano finanziati dal suo stesso produttore non desta scandalo, basta che venga dichiarato pubblicamente. Per sapere come va dalle nostre parti, dove in genere il conflitto d’interesse non viene nemmeno esplicitato, consigliamo la lettura del bellissimo libro scritto da Marco Bobbio nel 2004: “Giuro di esercitare la medicina in libertà e indipendenza – Medici e industria”.
di BY ANTONIOBIGGIO70 su Donne Manager di Napoli 

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