martedì 18 marzo 2014

I mercanti della felicità

Grado di felicità e decrescita

Gironzolando in rete, mi sono imbattuta in un vecchio discorso di Bob Kennedy sul PIL e la felicità
Che la felicità di un popolo non sia data dal prodotto interno lordo è pacifico, sembra però  che ce ne scordiamo ogni giorno di più. A parlar di decrescita felice sembra di voler sovvertire le regole di mercato e se non si crea ricchezza si mira all'affossamento del sistema. Tutto questo però è falso.

Da bambina ricordo che mi insegnavano che la società del futuro sarebbe stata migliore, che sarebbe stata attenta ai deboli ed all'umanità in generale, grazie alla scienza ed alla tecnologia. Nulla di tutto questo si è verificato proprio grazie alle regole del mercato che mira solo ad autoalimentarsi e produrre ricchezza che va nelle tasche di chi produce, o minimamente di chi lavora. Il mercato è un sistema contabile per misurare lo spostamento di merci e soldi, l'uomo non c'entra nulla con esso se non come fattore di produzione. I fautori della cosiddetta decrescita felice non sono contro la ricerca, la scienza, la tecnologia, semplicemente dichiarano che essa deve essere uno strumento destinato a migliorare la felicità dell'uomo, qualcosa al suo servizio e non il contrario.
Ricordo che quando appena adolescente, lavoravo all'Alfa Romeo, il dibattito era sulle macchine ed il loro utilizzo... Venivano (e vengono)  utilizzate per sostituire l'uomo solo per produrre beni che qualcuno comprerà, producendo ricchezza e felicità solo in chi le possiede, per gli altri c'è miseria e disperazione.... Altro che lavorare meno...  o meglio direi che è vero ...nel senso che si sono creati disoccupati senza tutele.
Ci sono persone che per scelta hanno deciso di vivere una vita che altri definirebbero al ribasso, diminuendo le pretese, lavorando di meno e dedicandosi di più alla famiglia e alla propria vita in generale. Autoproducono parte di ciò che mangiano e sono meno consumatori. Ma se ragioniamo su larga scala, vediamo che nel mondo, con ciò che viene quotidianamente sprecato in cibo, sarebbe possibile sfamare tutti gli esseri umani.
Ma questo non si fa perché non conviene a chi ha il potere tecnologico e produttivo..... bisogna vendere e basta, con il miraggio di una crescita infinita, impossibile da realizzare e noi, da consumatori ci trasformiamo in consumati, dimenticandoci delle vere priorità della vita.
Logico che una simile visione sia ignorata o demonizzata da industriali e multinazionali. Ma la scienza e la tecnologia, che richiedono investimenti in istruzione e ricerca, quando finalizzati al bene dell'uomo e soprattutto quando cessano di essere uno strumento nelle mani dei mercanti, si trasformano in benessere diffuso, che deve essere ceduto alle persone, non venduto. Facciamo l'esempio dei farmaci. Tutti sanno che le case farmaceutiche hanno dei bilanci spaventosamente alti, ricavano i loro guadagni dal commercio delle medicine e tanto più se ne vendono, tanto più guadagnano. Se la gente è sana, loro non guadagnano, se la gente è malata loro guadagnano, a patto che i malati possano pagare i farmaci. Nei paesi poveri si muore di malattie diverse da quelle diffuse nei paesi occidentali, malattie su cui si fa poca ricerca, perché le medicine che si produrrebbero non potrebbero essere pagate da chi è indigente. In occidente finite le malattie da curare, si passa agli integratori o peggio, diventano di libera vendita, destinati all'automedicazione, farmaci che fino a poco tempo prima erano di esclusivo uso ospedaliero! Alle case farmaceutiche poco importa della vita, sono fabbriche come le altre, si fa ricerca per mettere sul mercato prodotti da vendere. È così anche per gli alcolici e per i tabacchi, la salute non conta, conta vendere. Tanta industria e tecnologia sprecata, non messa al servizio dell'uomo. I politici, amici degli industriali dicono che il bene della crescita e dell'industria sono rappresentate dal lavoro creato. Ma il lavoro non crea benessere, crea solo un giro di redditi che prima o poi torna sempre nelle tasche di chi l'ha erogato, lasciando vuote quelle dei lavoratori-consumatori. Il sistema è perverso, non va. Non c'è spazio per la cooperazione tra le persone (ma come potrebbero cooperare tra loro, se sono stritolate nel sistema?), così una parte dell'umanità intera resta condannata alla povertà e all'infelicità. Si è perso lo spirito di collaborazione, sostituito dal mito della competizione. Si lavora per poter pagare le rate di un auto che serve per andare al lavoro, era scritto più o meno così su un muro. L'impressione della felicità ce la forniscono i mass media, ma non deve essere felicità completa, perché altrimenti non avremmo il desiderio di comperare un certo tipo di macchina  o di bere quella determinata bibita, o di vestire firmati. I produttori hanno necessità della nostra infelicità, perché così loro possono interpretare il ruolo di chi la felicità ce la vende, al modico prezzo di € tot. Una persona che in tempo di crisi è infelice è normale. Il fatto è che l'infelicità esiste anche in periodi di abbondanza. L'infelicità indotta è la leva del mercato. Il mercato non vuole che siamo felici, vuole che ci manchi sempre qualcosa per esserlo e quel qualcosa va comprato. È pazzesco ed è talmente semplice da capire... ma pochi se la sentono di fare un passo verso l'emancipazione  dal mercato, verso l'utilizzo consapevole delle risorse, verso la cooperazione. Manca nel DNA recente quel gene che ci fa vincere la paura e la diffidenza. A noi lo sforzo per recuperarlo.

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