martedì 11 febbraio 2014

I denti come causa di malattia, era noto da secoli



I denti come causa di malattie e basse aspettative di vita nei secoli passati?
Un problema molto comune nel diciassettesimo e diciottesimo secolo erano i denti consumati dalla carie che dopo qualche disagio sembrava che non dessero più fastidio e quindi venivano lasciati stare in bocca. Due autori del 700, il famoso Pierre Fauchard (1728) e il chirurgo generale dell’esercito inglese John Hunter (1771), segnalarono numerose guarigioni da reumatismi, malattie di occhi, orecchie e sistema nervoso ottenute grazie alla bonifica della bocca da questi denti. Anche il celebre Christopher William Hufeland (1762-1836) parlò di questo spiegando che una bocca sana, liberata dai denti con carie profonde era l’unica possibilità di arrivare a vivere a lungo.
Goethe (1749-1832) s’interessò agli insegnamenti di Hufeland dopo che una malattia che sembrava mortale fu risolta dall’estrazione di un dente infetto. Tutti i tentativi precedenti di terapia avevano fallito. Il Goethe visse altri 64 anni dopo quell’incidente, arrivò all’età di 83 anni completamente sdentato, seguendo perciò il consiglio di Hufeland di togliere i denti infetti man mano che si presentavano (Neuhauser 1982, Hufeland 1797, Holz 1939, Greiter 1958). Un altro esempio sotto gli occhi di tutti è quello di Mozart (1756 – 1791) che un anno prima della sua morte ebbe alcuni ascessi dentali che non furono trattati con l’estrazione. Ciò ha forse potuto contribuire sia ad una recidiva dei reumatismi che al decorso estremamente sfavorevole della sua malattia. Mozart aveva ancora dieci denti al momento della sua morte, di cui tre denti con carie profonda, non estratti e nemmeno trattati (Bär C., “Mozarts Zahnkrankheiten”, Acta Mozartiana 9, 1962, 3, pp.47-54). “Per secoli,” scriveva John Hunter (1771), “i medici hanno dovuto prendere atto del fatto che i denti con la loro struttura particolare sono suscettibili di diventare la sede di piccole lesioni croniche infiammatorie localizzate che danno luogo a disturbi sistemici incredibilmente seri, anche quando localmente nella bocca il disturbo infiammatorio sembra quasi inesistente.”
Nell’arco dei 150 anni che seguirono troviamo segnalate nella letteratura medica del tempo all’incirca 25.000 – 30.000 osservazioni simili, per esempio la guarigione da una sordità fulminante nel momento dell’eruzione di un dente del giudizio (J.G. Pasch 1775) e il ritorno del flusso mestruale in una donna che per anni non ne aveva avuto, ottenuto grazie all’estrazione di un dente con carie profonda (Willich 1778). Delaroche (1798) riportò un caso simile in una donna che soffriva di mestruo molto scarso con sintomi d’infiammazione gengivale dal lato destro, e ciò solo in corrispondenza dell’arrivo di queste scarse mestruazioni. Andando a valutare la salute della bocca, il medico scoprì dei denti cariati in profondità la cui estrazione fece anche scomparire definitivamente le anomalie del mestruo.
E arriviamo al 1801: epilessia, dermatiti, problemi digestivi, mal di testa e artriti venivano guariti con l’estrazione dei denti infetti dal Dr. Benjamin Rush, firmatario della dichiarazione d’indipendenza. Egli scriveva: “Le terapie delle malattie croniche diventano molto più soddisfacenti se vengono associate alla bonifica di tutti i denti infetti che uno trova nella bocca dei pazienti.” Per esempio Rush ci dice che fu consultato dal padre di un giovane di Baltimore che soffriva di epilessia, subito si informò sui denti e risultò che molti di quelli sull’arcata superiore avevano carie profonde. La loro estrazione infatti portò ad una perfetta guarigione. Oppure la signorina A.C., affetta da reumatismo all’anca già da alcuni anni, aveva avuto di recente un grave peggioramento ed era comparso anche un leggero fastidio ad un dente. Rush prontamente le consigliò di far estrarre questo dente e fu così che i sintomi scomparvero del tutto. Rush era assolutamente entusiasta su tutta questa discussione che le patologie dei denti potessero rivelarsi così spesso la causa di malattie apparentemente inguaribili ed invocava a testimoni i numerosi autori che lo avevano preceduto.
Uno dei primi sforzi “moderni” di classificare la scienza dentale risale ad un importante chirurgo tedesco, Fabricius Hildanus (1560-1634), che nel suo manuale segnalava centinaia di testimonianze di emicranie e malattie sistemiche che erano state guarite estraendo denti cariati in profondità, laddove tutti i rimedi usati in precedenza non avevano apportato il benchè minimo beneficio. Nicolas Tulp (1593-1674), un rinomato medico di Amsterdam esperto di anatomia, osservò che le malattie dei denti potevano dare origine alle conseguenze più nefaste, persino essere causa di morte. Dopo di lui Charles St. Yves (1667-1733), Marcello Malpighi (1628-1694) e Frederik Ruysch (1638-1731) si distinsero per le loro indagini sui denti e le loro osservazioni che i denti malati potessero diventare la causa di vari tipi di patologie nell’organismo. Stiamo parlando dei più illustri medici dell’epoca. Nathaniel Highmore (1630-1690) descrisse parecchi casi di sinusiti che guarivano dopo l’estrazione di denti con carie profonde. Christopher Schelhammer (1649 -1719), che fu professore di anatomia in diverse università tedesche, specializzato in malattie delle orecchia, notò che poteva assicurare una guarigione solo a quei pazienti che accettavano di curare le carie superficiali ed estrarre i denti con carie troppo profonde. Giorgio Baglivi, medico di Innocente XII e Clemente XI, autore di manuali medici famosissimi, osservò nel suo Canone di Medicina: “Le persone i cui denti hanno un cattivo odore o che hanno cambiato colore nonostante i lavaggi giornalieri, hanno sempre una debolezza della funzione dello stomaco, quasi sempre una tendenza all’indigestione, mal di testa dopo i pasti, una salute generale poco soddisfacente e una tendenza al malumore. Se impegnati nello studio o negli affari, queste persone sono impazienti ed irritabili, oppure vittime di episodi di capogiri. Le frequenti indisposizioni di stomaco danno loro sonnolenza, risveglio lento e comunque un sonno poco ristoratore.” (Baglivi, Opera Omnia Medico. Practica et Anatomica, Lugduni, 1710).

Se facciamo ancora un passo indietro nel tempo, Ippocrate (460 – 375 a.C.) segnalò numerosissimi esempi in cui la patologia dentale aveva l’effetto d’iniziare reazioni in altre parti del corpo. Per esempio affermò che “un reumatismo che resisteva ai tentativi di guarigione poteva essere eliminato estraendo eventuali denti compromessi” (On Epidemics, Hb. ii, section i, p. 1002). Il più famoso medico di tutti i tempi aveva le idee chiare e infatti dichiarò che la maggior parte delle suppurazioni focali causate dai denti provenivano dalle infiammazioni create dai denti del giudizio. Per esempio nel caso di un ragazzo che aveva dolore in un terzo molare dell’arcata inferiore destra, Ippocrate si diceva sicuro del ruolo causale di quella situazione dentale sulla suppurazione a carico dell’orecchio dello stesso lato. Anche di recente numerosi autori, confrontando mandibole dall’antichità ad oggi, hanno spiegato che i denti del giudizio sono un attavismo – derivato da un’epoca quando il muso dei nostri antenati era più lungo, mentre oggi invece il dente del giudizio purtroppo spunta sul ramo ascendente della mandibola (Adler 1972, Mieg 1999, Lechner 1991, Grossman 1996). Non solo a volte il dente del giudizio non spunta proprio fuori ma, quando lo fa, spesso si presenta con un anomalo grado di inclinazione oppure comunque soffre la mancanza di spazio e in vari modi ciò crea situazioni croniche d’infiammazione locali e focali (vedi: http://www.medicinenon.it/tutte-le-terapie-falliscono-valutazioni-sui-denti-del-giudizio ).
Ippocrate si rifaceva in realtà alla tradizione di Esculapio, che rimase in vigore tra il 1100 a.C. e il 400 d.C. e che inizialmente veniva praticata solo dai sacerdoti dei templi esculaplei, per esempio quelli di Epidauro, Cos, Cnydus, and Rodi, mentre in seguito fu ripresa anche da guaritori non sacerdoti. Ippocrate operava al tempio di Cos. Un altro argomento affrontato era il contributo infiammatorio notevole apportato dai periodi di dentizione difficile nei bambini che poteva far insorgere problemi in numerose diverse parti dell’organismo. Quest’idea in realtà, accennata da Omero nell’Odissea, apparteneva anche ad Esculapio ed è stata descritta dalla letteratura di ogni epoca, dagli scritti in India del 1000 a.C. fino a Soranus di Efeso (117 d.C.) e ai medici del diciassettesimo secolo. Questa osservazione ricorrente su disturbi a distanza che vengono innescati da un’infiammazione nella bocca evidentemente venne accolta dal modus operandi olistico di Esculapio che spesso chiamava in causa la “forza vitale”.
In questo testo ci dobbiamo accontentare di seguire alcuni aspetti del discorso nelle parole di Ippocrate, che sono più concrete e che ci vengono da fonti dirette, perché tutte le fonti che citano l’approccio olistico di Esculapio sono così entusiaste da apparire miticizzate. Nello stabilire la diagnosi di una malattia, Ippocrate consigliava di cercare il suo punto di partenza. Per esempio se si trattava di mal di testa, di disturbi alle orecchie o agli occhi, o di un qualsiasi sintomo su un lato solo del corpo, insisteva che la causa poteva essere spesso rintracciata in qualche infiammazione nelle aree dei denti. La famosa massima ippocratica, “le malattie dovrebbero essere combattute alla loro origine”, esprime proprio questo modo di pensare.
Ippocrate aveva l’abitudine di fare osservazioni a 360° prendendo una gran quantità di appunti, proprio perché cercava di capire quale “spina irritativa” potesse essere la più rilevante nel caso specifico, la fonte degli “umori dannosi” che stavano invadendo l’organismo e creando il disturbo. La valutazione dello stato dei denti era preponderante, un elemento onnipresente nella sua indagine. Tutti i medici ippocratici dell’antichità avevano questo punto di vista, come per esempio Erofilo e Erasistrato, illustri dottori della scuola medica di Alessandria (300 a.C.). Interessante anche notare che il famoso enciclopedista e ricercatore medico romano, Aulo Cornelio Celso (25 a.C. – 50 d.C.) non fece altro che tramandare la tradizione medica ippocratica. Apprendiamo da Celso che i denti che causano il ritiro delle gengive sono morti e il terapeuta che non li prende in considerazione non riuscirà a far guarire i suoi pazienti. Detto in altre parole, “A tutti quelli che non conoscono la causa della malattia, risulterà anche impossibile curarla”. Secondo quanto spiegava Ippocrate, Celso coniò la famosa frase: “rubor, tumor, calor, dolor, functio lesa” (ripresa da Galeno, che nel 200 d.C. scrisse tre libri di commentari su Ippocrate), che descrive nell’ordine: (rubor) foci infiammatori, (tumor) rigonfiamento, concentrazione e perimetrazione di un focus di metaboliti infiammatori, (calor) la reazione primaria del sistema immunitario, (functio lesa) una fase tardiva, cronica, caratterizzata dalla degenerazione del tessuto invaso a distanza quando il sistema immunitario è sfiancato e meno efficiente.
Sfortunatamente nei secoli ci si dimenticherà quasi del tutto l’incoraggiamento di Ippocrate sulla necessità d’indagare la presenza nell’organismo di siti primari di infiammazione o di putrefazione localizzata, come per esempio l’interno dei denti compromessi, che diventa il fattore causale di disturbi a distanza, prima indebolendo le difese del sistema di regolazione e poi trasmigrando in altri siti secondo meccanismi di locus minoris resistentiae.
Questo modo di pensare sui denti lo ritroviamo anche in pieno medio evo, presso i guaritori naturali. La loro diagnosi partiva dalla bocca e la guarigione veniva coadiuvata da cambiamenti di alimentazione, impacchi e tisane con fitoterapici specifici per risvegliare la presenza dell’organismo nelle parti ammalate. Anche i professori delle prime università di medicina raccomandavano l’estrazione dei denti malati per la cura delle patologie degli occhi e delle orecchie e di altri organi distanti (Ambroise Pare, 1517-1590, Giovanni Andrea Della Croce, 1533-1603, e Pieter van Foreest 1522-1597). Questi autori erano finanche a conoscenza del fatto che numerosi malanni potevano essere fatti risalire a qualche frammento di radice rimasto nell’osso mandibolare nel corso di precedenti estrazioni dentali.
Nel 1838 il Dr. Shearjashub Spooner scriveva: “Non credo sia il caso di dubitare ancora che le malattie dei denti siano in grado di causare dei disturbi fisici a distanza e possano contribuire allo sviluppo di malattie sistemiche croniche.” E citava oltre alle sue osservazioni personali una quarantina di esempi di simili guarigioni pubblicati da Leonard Koecker in “Grundsätze der Zahn-Chirurgie” (Weimar, 1828). Fu proprio negli anni seguenti che ci fu lo scisma ufficiale e definitivo tra medicina e odontoiatria. Nel 1851 il prof. Thomas Bond, dell’Università di Baltimora, era protagonista di un ulteriore tentativo di ricucire la disattenzione crescente dei medici su questo argomento invitandoli a “non sottovalutare la patologia dentale come causa di difficoltà organiche a distanza, come invece sta accadendo oggi che facciano i più.” Per quanto in questo periodo ci siano ancora molti autori interessati a questo tema, significativo è il seguente passaggio di Samuel Fitch, autore di “System of Dental Surgery” (1827): “Voi mi direte, com’è possibile che la correlazione tra patologie dentali e malattie sistemiche, se è vera, sfugga all’attenzione della più parte dei medici? Ebbene dovete sapere che gli insegnamenti sui denti da alcuni decenni sono stati tolti dal curriculum formativo dei medici, dopodiché questi generalmente non hanno la curiosità di valutare l’argomento in relazione alle malattie che sono già impegnati a curare con un folto arsenale di sostanze.”
Fitch tra le altre cose raccolse un’ampia casistica sulle infezioni dentali come fattore decisivo nello sviluppo della tubercolosi. Anche Leyden (1867), Fuller (1881), Jaffe (1886) e Israel (1886) segnalarono diversi casi di tubercolosi polmonare che guarivano in seguito all’estrazione di denti compromessi. Ungar (1884) richiamò l’attenzione alla caratteristica ulcerazione delle gengive, che nel caso specifico di un suo paziente tubercolotico nasceva proprio da un dente cariato in profondità. Il dente sospetto fu rimosso ottenendo un sorprendente recupero delle condizioni di salute del paziente.
Già Areteo di Cappadocia aveva descritto una considerevole infiammazione della gengiva nel primo caso di tubercolosi mai consegnato alla storia nel 1° secolo d.C. (De causis et signis diuturnorum morborum).
William Duke nel suo “Oral sepsis in its relationship to systemic disease” (1918) invitava i suoi colleghi a trattare la tubercolosi e i casi di tabes dorsalis con la bonifica delle infezioni dentali, perché queste potessero essere la causa principale o comunque un co-fattore decisivo nel decorso di queste malattie. Anche il celebre chirurgo francese Antoine Petit aveva pubblicato nel 1750 alcuni casi di guarigione di tubercolosi di lunga data ottenuta in seguito all’estrazione di denti malandati. Il Dr. Gater (1801) oltreoceano quotava nel 1801 due casi di guarigione, uno da consunzione ed un altro da vertigine, entrambi che duravano già da parecchi anni, con l’estrazione semplicemente di due denti mal messi.
Nel 1848 si distinse per delle segnalazioni nello stesso ambito il Dr. Mayo Smith: “Molti pazienti vittime di consunzione polmonare pagano delle fortune per curarsi, per fare lunghi soggiorni termali oppure per viaggiare magari in assolate isole del mediterraneo. E però queste ed altre spese mediche al più rallentano solo leggerissimamente la progressione della malattia senza fermarla. D’altro canto le mie osservazione cliniche mi dicono che la maggior parte di questi pazienti avrebbero semplicemente bisogno di essere inviati da un bravo dentista per estrarre i denti compromessi che stanno contribuendo alle loro sofferenze, alle loro spese mediche e in pratica ad una loro morte prematura.
carissimo Salvatore, interrompo un attimo il mio racconto per dirti che è stato un libro tedesco ad incoraggiarmi a fare queste ricerche, che pero’ ora procedono in modo autonomo perchè posso sfogliare i casi clinici in questi motori di ricerca:
Il libro tedesco che mi ha ispirato è questo:
x Nürnberg, Manfred
Dentogene Herdinfektion. Zusammenhänge zwischen Zahnerkrankungen und anderen Krankheiten bis zur Einführung des Begriffs «focal infection» im Jahre 1911
ISBN 978-3-631-49296-3
Avevo già postato i casi di problemi alle orecchie menzionati in questo libro, qui sotto li trovi, ma ora ne ho molti di più che devo ancora aggiungere:
Vediamo ora alcuni esempi clinici in cui si presenta una correlazione tra problemi all’orecchio di vario tipo e carie, denti devitalizzati, denti impattati e inclusi, tonsille infiammate, etc. Dolori e disturbi dell’orecchio originati da situazioni infettive croniche del cavo orale sono situazioni ben note in letteratura medica, soprattutto nei bambini. Negli adulti sono spesso dovuti alla pressione generata da terzi molari impattati.Clerk (1919) descrive un caso di esaurimento nervoso dovuto a un forte dolore nella cavità auricolare, scomparso in seguito all’estrazione del terzo molare dalla stessa parte. Lo stesso autore cita un altro caso di dolore dietro l’orecchio sinistro curato dalla rimozione delle radici del molare mascellare.
Price (1923) descrive un caso di dolore molto acuto a entrambe le orecchie. Dopo l’estrazione di 4 denti con osteite condensante intorno agli apici, il dolore si fermò bruscamente per qualche giorno per poi ripresentarsi con un’infezione – tipica dell’osteite condensante – alle cavità in lenta guarigione. In seguito al trattamento delle cavitazioni (necrosi residua sull’osso mascellare), il dolore scomparve in maniera definitiva. Da questo caso si evince come l’otalgia possa essere causata da irritazione del nervo dovuta a infezione, ascessi, carie, etc. e da riflessi simpatici dovuti a irritazione meccanica causata da pressione da inclusioni, etc.
Spencer (1880-81) riporta vari casi di dolore all’orecchio manifestatosi temporaneamente in corrispondenza di un’estrazione di un dente infetto, evidente effetto negativo della setticemia temporanea causata dall’estrazione dentale. Il fatto che l’orecchio dal lato del dente estratto fosse il punto debole dell’organismo affetto dalla setticemia si può spiegare sia per la vicinanza dei due organi, sia in base ad una sensibilizzazione di questo sito all’esposizione infettiva cronica a basso dosaggio che si era verificato prima dellestrazione dentale.
Tenisien (1879) e Smith (1885) citano casi dovuti a varie patologie dentarie. Un nervo necrotico arrivò a causare problemi all’orecchio in un caso riportato da Smith (1912).
Tra tutte le condizioni infiammatorie acute e croniche dell’orecchio dovute a sepsi orale, l’otite media è forse la più comune. Niesmann (1850-51) descrive un caso di suppurazione e sordità causato da irritazione simpatica dovuta a un dente del giudizio infiammato e curato mediante estrazione.
Drew (1877) descrive un caso di ascesso nell’orecchio dovuto a un molare. Broca (1904) riporta di un caso di suppurazione nel condotto uditivo esterno dovuta a osteomielite mascellare e morte dovuta a setticemia in seguito a errata procedura di estrazione.
Glogau (1912) descrive un caso di infiammazione dell’orecchio medio e tonsillite dovute a Streptococcus capsulatus di origine dentale. Thoma (1916) e Cahn (1923) menzionano casi di otite media provocati da ascessi orali.
Molti altri autori sono stati capaci di ricondurre affezioni dell’interno dell’orecchio a patologie orali. Goadby asserisce che l’infezione orale, piccola in termini quantitativi ma persistente e cronica, può produrre labirintiti. MacKenzie ne riporta un caso causato da sepsi dentale. Kelemen (1927) cita un caso dovuto al fusobatterio fusiforme: tossine di origine orale possono sia influenzare varie sezioni dell’ottavo nervo cranico (producendo un’infiammazione della porzione vestibolare, nausea, vomito, giramenti di testa, vertigini e nistagmo, sonnolenza), sia causare effetti negativi nella porzione cocleare, tinnito, neurite e sordità.
Gracey (1925) e Reys (1927) attirano l’attenzione sulle conseguenze tossiche, dovute a sepsi orale, sulla porzione vestibolare dell’ottavo nervo cranico. Daland (1927) citò la sindrome di Meniere come curata mediante estrazione.
Il risultato più comune e grave dell’affezione dell’apparato cocleare dell’ottavo nervo è la sordità: la letteratura contiene, in effetti, molti casi di sordità originata da patologie orali. Alcuni casi sono già stati menzionati. Ci sono anche Campbell (1875), Tumbull (1880) e Prosser (1887) che descrivono casi illustranti questa relazione eziologica. Pickerill (1912), Tousey (1922), Cahn (1923) descrivono tinnito, neurite tossica e sordità conseguente a infezione orale. Hutchinson (1920) descrive un caso di sordità e tinnito curati mediante estrazione di 5 denti infetti apicalmente e Gracey (1925) cita un caso di sordità e uveite guarita in seguito a rimozione dei denti con ascesso.
Nell’analisi dei meccanismi che portano a sordità, si potrà verificare come un certo numero di cause o concause di origine orale abbiano contribuito a porla in essere. Gracey (1926) sostiene che, nella sordità neuro-sensoriale, tossine scaturite da suppurazioni orali mostrino come un’affinità selettiva (i.e. anafilassi) per il nervo auditivo e l’orecchio possano profilare una sensibilizzazione dell’orecchio mediante proteine batteriche. Lo stesso autore riferisce che molti pazienti soffrono – per lo più inconsapevolmente – di sordità neurosensoriale, soprattutto percezione difettiva dei toni più alti. Nella stragrande maggioranza delle persone affette da sordità già in età giovane, la causa principale è da rintracciarsi nel tessuto linfoide della faringe, che si trova in stato di infezione. I periodi di esacerbazione dipendono dal rilascio di tossine dal focus, il che spiega la natura intermittente dello stato di sordità.
Duel (1924) sottolinea la degenerazione nervosa dovuta a neurite tossica in concomitanza con un processo catarroso cronico e con otosclerosi causante ulteriore improvvisa sordità e vertigini.
La batteriologia comparativa dell’otite media e quella delle condizioni patologiche orali corroborano l’idea dell’infezione proveniente dalla bocca. Il medio orecchio è normalmente sterile ma, in presenza di affezioni della gola e della bocca, l’infezione si sposta non di rado nel tubo di Eustachio.
L’organismo più comunemente trovato nella maggior parte dei casi di suppurazione dell’orecchio medio è lo Streptococcus hemolyticus, come dimostrato da Valentine (1924), Libman (1924) e Dunlap (1925). Valentine scopre che, quando lo Streptococcus hemolyticus (o Viridians o pneumococco) è la causa scatenante la condizione, potremo verificarne la presenza altresì nella gola.
In conclusione, ecco alcune ultime considerazioni sulle stretta relazione anatomica tra orecchio e cavità orale. I cinesi trattavano i dolori di denti mettendo pasticche di aglio e potassio all’interno dell’orecchio. Riviere (1859) insegna che le vene che riforniscono i denti di sangue passano attraverso l’orecchio. Ippocrate (460 a. C.) cita un caso di affezione fagedenica della bocca causante suppurazione dell’orecchio. Fauchard (1728) riporta di un otalgia causata da un dente malato e J.G. Pasch nello stesso secolo descrive un caso di sordità dovuta a eruzione di un terzo molare. Koecker (1842-43), Arthur (1846), Niesmann (1850-51) e Hilton (1861) riportano tutti di patologie dovute a malattie orali. Netter (1889) attira l’attenzione sulla suppurazione dell’orecchio medio dovuto a penetrazione all’interno della cavità timpanica di microbi dalla bocca. I ceppi di Streptococcus hemolyticus incontrati da Valentine sono: Streptococcus pyogenes 85%, streptococcus Infrequens 9.4%, Streptococcus equi 5.6%. Altri organismi talvolta predominanti sono gli staphylococcus, pneumococcus, Streptococcus viridans e dipteroidi. Nei casi di acuti o cronici flussi fetidi fuoriuscenti dall’orecchio, i fusiform bacilli e spirochaetes sono stati trovati, così come gli streptococchi, i pneumococchi e i dipteroidi.
Dr. Mayo Smith [1848] scrive: “Qualche tempo fa si presentò da me una giovane donna con una diagnosi di tubercolosi. Soffriva di consunzione da molti anni, ma le sue condizioni erano peggiorate in modo serio nell’ultimo periodo. Era debilitata, emaciata, estremamente sensibile a sforzi e stress. I suoi medici le avevano consigliato con insistenza di fare un viaggio nella sua nativa Marsiglia nella speranza che il mediterraneo potesse aiutarla a rimettere su un po’ di forze. Mi disse che a tratti aveva avuto disturbi ad un dente che aveva curato con degli impacchi. Dai denti frontali uno poteva pensare che la salute dei suoi denti fosse discreta e invece quando andai a vedere meglio trovai uno stato alquanto deteriorato di molti denti. Per esempio sull’arcata superiore destra tutti i molari e un premolare erano completamente compromessi. Ma lo stesso era simile per l’arcata inferiore. Otturai quelli che potevano essere curati, tolsi il tartaro estrassi quelli che era impossibile salvare. Circa una settimana dopo la paziente si sentiva così tanto meglio che aveva già abbandonato tutti i propositi di viaggiare. Quando la vidi tre mesi dopo era cambiata così tanto nell’aspetto che stentai a riconoscerla. Gli occhi erano fulgenti e tutte le sue difficoltà sembravano proprio essersi dissolti. Suo padre non finiva più di congratularsi con me, in effetti non aveva fatto altra terapia che questa della bonifica della situazione dentale. Io d’altra parte ho osservato spesso patologie anche più gravi di questa che venivano causate da infezioni dentali. Forse non in tutti i casi i cambiamenti positivi avvengono con grande immediatezza come in questo caso, ma i decorsi positivi verso la guarigione sono la norma. Alcuni colleghi mi dicono di aver raccolto una casistica simile. Mi auspico davvero che anche il medico generico entri nella logica che il primo indispensabile passo per il recupero della salute di questi pazienti sia la valutazione di eventuali patologie dentali.”
Senza ora voler entrare troppo nel dettaglio, il discorso è che i micobatteri o altri microrganismi patologici non sono sé stessi se prima non hanno trovato un antro in cui essere localizzati preferenzialmente e proliferare. Ebbene l’occasione giusta viene fornita dalla struttura dei denti al microrganismo nel momento in cui la vitalità del dente vacilla (Avdonina 1991)
Vallow nel 1914 sosteneva che la tubercolosi poteva senz’altro essere causata da un dente cariato in profondità e Gambetti (1966) di nuovo riportava un caso simile. Vallow spiegava che proprio il fatto che al micobatterio capitasse l’occasione di andare a cultura nel dente era decisivo prima dell’attacco focale sul tratto gastrointestinale o la colonizzazione definitiva dei polmoni.
Vallow allora si soffermava a considerare il dente depolpato, devitalizzato: “Al dente cui è stata fatta la cura canalare senz’altro sono stati eliminati i tessuti linfatici interni della radice, ma l’area intorno all’apice del dente è ancora ricca di tessuti linfatici, per cui non deve suscitare stupore che un’infezione cronica non vista dal sistema (perché in una zona franca) possa fare danni a distanza e possa prima danneggiare il sistema linfatico e poi “usarlo” per propagarsi. Robert Major nel 1917 faceva notare che la propagazione dell’infezione nell’organismo era preceduta da una lunga fase in cui il sistema immunitario e il sistema linfatico erano stati avvelenati in modo asintomatico da bassissime dosi di proteine tossiche che derivavano dal metabolismo anaerobico di questi batteri.
Secondo le osservazioni del Dr. William Duke, la malattia sifilitica poteva in molti casi regredire completamente a seguito della bonifica delle infezioni dei denti, così come anche casi gravi d’infezione tifoide. Recentemente in effetti risulta da uno studio di Motta (2011) che le infezioni dentali croniche rappresentano un fattore primario di mantenimento degli episodi reattivi di lebbra e uno studio di Papagrigorakis (2006) mostra la presenza di una colonia del bacillo del tifo all’interno della radice di un dente cariato in una persona morta durante la piaga di Atene nel 430 a.C.
Abbiamo detto del contributo causale delle patologie dentali nella tubercolosi polmonare (tisi). Questa era una causa importante di malattia e di morte nel 1800. “Tubercolosi” onestamente era il termine usato per quasi tutte le malattie del tempo, per esempio nel caso di Mozart si parlò di tubercolosi con coinvolgimento reumatico e renale. Documentandosi bene sembra proprio che il compositore abbia sofferto di una malattia neurofocale di origine dentale (peggiorata da fattori contingenti). La vittima di tubercolosi polmonare più famosa che l’800 ci ha consegnato fu Marie “Violetta” Duplessis (1824-1847), la prostituta più famosa di tutti i tempi, che si innamorò ricambiata di un suo cliente. Ammalatasi giovanissima di una grave forma di tisi, non fece in tempo a cambiare vita proprio a causa della malattia, come abbiamo appreso dalla Traviata del Verdi (1853) o dal romanzo ‘La Signora delle Camelie’ di Alexander Dumas (1952) che la vedono protagonista. Violetta aveva lasciato la sua famiglia di contadini della Normandia per stabilirsi a Parigi all’età di 14 anni ed iniziare a lavorare presso un fornaio. Una bellezza straordinaria, all’età di 20 anni riceveva conti e duchi in un appartamento sontuoso in Boulevard de Madeleine. Ci fu una indimenticabile partecipazione di popolo a Parigi ai funerali di Violetta. Una bellezza straordinaria, un carattere vivace, la cortigiana aveva rappresentato in quegli anni l’argomento di conversazione più apprezzato in tutta la Francia. Ogni volta che debuttava una commedia nuova a Parigi si era certi di vederla apparire con tre cose che non la lasciavano mai, poste sul parapetto del suo palco privilegiato: l’occhialino, un sacchetto di dolci e un mazzo di camelie. Sembra che la sua passione per i dolci abbia giocato un ruolo centrale del suo dramma. Infatti molti autori del tempo facevano notare che ad ammalarsi di consunzione erano molto più di frequente i consumatori di zucchero che non gli altri.
Alexander Dumas, che ebbe una breve, burrascosa relazione con lei, la descrisse come nervosa, facilmente affaticabile, facilmente irritabile, capricciosa, con un comportamento infantile, pallida, molto emotiva, impulsiva, incontrollabile. Insomma aveva anche segni di nevrastenia, che infatti colpiva proprio i consumatori di zucchero. Violetta accettava come regalo floreale solo le camelie, fiori privi di profumo, visto che le davano fastidio gli odori (primo caso di sensibilità chimica multipla?).
Garencières (1610-1680), un farmacista francese che trascorse la maggior parte della sua vita in Inghilterra, ha spiegato che lo zucchero in Inghilterra era responsabile della Tabes anglica, una forma di tisi particolarmente diffusa.
Secondo quanto riportato dallo storico del 18° secolo William Stith, lo zucchero ebbe il potere di far ammalare Pocahontas di consunzione (1595-1617). Suo padre, King Powhatan, che odiava i modi degli inglesi, sospettò subito che la loro decadenza morale, fisica e l’odore che emanavano attraverso la pelle avessero tutti un’origine comune, e cioè le razioni di zucchero, i biscotti e l’alcool o il rum della marina inglese. Ma Pocahontas, contrariamente a suo padre, rimase affascinata e acritica di tutte le novità. Il primo regalo che le fece Smith, l’inglese cui salvò la vita, furono zucchero e dei biscotti. Quando Pocahontas arrivò a Londra fu ospite della famiglia reale e tutta l’aristocrazia di Londra faceva a gara per averla presso di sè. Banchetti e feste danzanti furono date in suo onore. Il nuovo regime dietetico mise duramente alla prova i suoi denti. Pocahontas sviluppò una grave malattia che la portò alla morte per consunzione. Gli indiani, tutti tranne Pocahontas, erano fortemente convinti di questa relazione causa-effetto, e perciò erano prevenuti. Il Dr. Weston Price ce ne parla nel suo libro ‘Nutrition and Physical Degeneration’.
Quando Price visitò gli indiani che vivevano nelle zone più impervie e lontane delle Montagne rocciose, Price chiese al capo della tribù indiana quale potesse essere la ragione per cui loro non si ammalavano di consunzione. L’indiano rispose: “Perché queste sono malattie dell’uomo bianco”. Price: “Cioè gli indiani sono immuni?” “No, anche per gli indiani è possibile ammalarsi. Ma il problema dell’uomo bianco è che ha voluto dimenticare da tempo la correlazione tra ciò che mangia e la sua salute. Ma è vero, anche gli indiani che consumano le farine e lo zucchero venduto nei negozi dell’uomo bianco si ammalano.” Price notò che i denti degli indiani dello Yukon erano immacolati e a dire il vero anche il Dr. Benjamin Rush nel 1800 aveva fatto la stessa osservazione.
Studi su mummie nel periodo pre-dinastico (3400 a.C. fino al 1700 a.C.) mostrano che gli egiziani avevano denti buoni. Ciò valeva in modo particolare per le classi povere. I faraoni e le classi più abbienti invece avevano la sfortuna d’incorrere più facilmente in patologie dentali. Il medico egiziano Arad Nissa curò il faraone Annaper Essa nel 500 a.C. con l’estrazione di denti cariati. Il faraone soffriva di dolori reumatici cronici alle ginocchia che in un primo momento erano stati tenuti sotto controllo con impacchi e misture tradizionali ad uso medicinale. Ma ad un certo punto i dolori del faraone aumentarono e non erano più controllabili con i rimedi. Ce ne parlano appunto i geroglifici: al dottore fu dato un ultimatum, o riusciva a liberare Annaper dai dolori reumatici oppure sarebbe stata ordinata la sua decapitazione. Il dottore allora trovò il coraggio di fornire la sua visione dei fatti. La malattia non sarebbe migliorata se non fosse stata allontanata la causa, e cioè i denti infetti. Fu così che il faraone guarì, si sentì come rinato dopo le estrazioni di alcuni denti infetti e il medico fu ben ricompensato per il successo ottenuto! [Kuhmlein 1999]
Lo stesso avvenne per il re assiro Asarhaddon secondo delle tavolette di Ninive risalenti al 650 a.C. (ce ne parla Leroy Waterman nel suo “Assyrian Medicine in the Seventh Century”, 1925). Il suo medico Aradna gli dice che solo quando accetterà di farsi estrarre i denti potrà riprendersi dalla malattia, che in quel caso era una grave poliartrite a gambe e braccia, peggiorata da mal di testa. “I denti del mio Re devono essere rimossi, perché è con essi che nasce l’infiammazione interna. I dolori scompariranno immediatamente e il suo stato di salute tornerà normale”. Le conoscenze empiriche di Aradna insieme con tutta la clinica accumulata dai medici assiri gli davano la sicurezza di non sbagliarsi. Se Asarhaddon non guariva dopo aver tolto i denti, il dolore sarebbe stato tutto del suo servitore che gli aveva consigliato una cosa simile!
Allarghiamoci leggermente un attimo per poi tornare al punto. M. Robert segnalò in Treatise on the Principal Objects of Medicine, vol.2, pag.311 (1844) il caso singolare di un bimbo che morì una sera dopo aver sofferto con gengive dolenti per denti primari che non riuscivano a venir fuori. Saputa la triste notizia il medico curante si recò da lui per osservare le condizioni dell’alveolo infiammato dove il dente non era riuscito a spuntare. Fece dunque un’incisione della gengiva, si accingeva ad effettuare una esplorazione minuziosa dell’area, quando improvvisamente vide il bimbo aprire gli occhi e mostrare segni di vita. Il piccolo fu liberato dal sudario nel quale lo avevano già sistemato, fu accudito, il dente venne fuori e il bambino recuperò perfettamente.
I miracoli di guarire i paralitici, i sordi, i lebbrosi e i ciechi o di risorgere i morti, si potrebbero riferire alla conoscenza che Esculapio aveva dell’effetto dei denti nelle malattie? Come abbiamo visto la presenza di denti morti o infetti crea una situazione cronica di avvelenamento dell’organismo.
Questo il modus operandi di Esculapio, il figlio prediletto del dio della medicina Apollo. Prediletto perché consapevole di alcune caratteristiche della “forza vitale”.
” Hermon of Thasus. His blindness was cured by Asclepius.” [Inscriptiones Graecae, 4.1.121 - 122, Stele 2.22]
“I found [in writing this history] some who are reported to have been raised by him [Asclepius] , to wit, Capaneus and Lycurgus, as Stesichorus [645- 555 BC] says… Hippolytus, as the author of the Naupactica reports[6th century BC], Tyndareus, as Panyasis [c. 500 BC] says; Hymnaneus, as the Orphics report; and Glaucus…as Melasogoras [5th century BC] relates.” Apollodorus, The Library, 3.1.3- 3]
Il Dr. Mayo G. Smith (1848) riportò la guarigione completa di un paziente che prima era così sordo che gli si poteva parlare solo attraverso una tromba all’orecchio. Leonard Koecker riportò casi simili di guarigione (Deafness and case of lost sight cured by proper dental treatment. Am. Jnl. Dent. Sci. 3: 243-245, 1842-43). Problemi di varia natura all’udito che erano stati causati da infezioni dentali croniche sono stati segnalati anche da Arthur (1846), Harvey (1850), Niesmann (1850), Hilton (1861), Drew (1877), Tenison (1879), Spencer (1880), Smith (1885), Prosser (1887), Netter (1889), Dempsey (1901, Broca (1904, Smith (1912), Hutchinson (1920), Adam (1921), Frenzel (1921), Hartwich (1921), Huddleston (1921), Tousey (1922), Cahn (1923), Price (1923), Pilot (1924), Valentine (1924), Clark (1925), Dunlap (1925), Goadby (1925), Gracey (1925), MacKenzie (1925), Kaiser (1926), Kelemen (1926 & 1927), Leto (1927), Podesta (1927), Reys (1927).
Diversi autori anche nel corso dell’ultimo secolo hanno fatto questa scoperta della correlazione tra malattie croniche degenerative e necrosi mandibolari o denti infetti asintomatici perché devitalizzati. La presenza di questi denti è un fardello insostenibile per la forza vitale della persona malata, ribadivano sulla scia di Ippocrate il Dr. Josef Issel, il Dr Max Gerson e numerosi loro illustri colleghi che consigliavano di allontanare i denti devitalizzati nelle persone malate. Impossibilitati in questo articolo a seguire nel dettaglio i casi clinici presentati da questi autori e finanche fare un breve elenco di tutti gli altri che si sono avvicinati a questa tematica, vediamo come succede che un medico faccia questa scoperta autonomamente.
COME NE SONO VENUTO A CONOSCENZA, in: “O la bocca o la vita!”, Grancher Ed. 1991
Davo Koubi:
Fu all’inizio della mia carriera, neo-assunto presso il dipartimento di Stomatologia dell’Università di Cannes, che iniziai a fare osservazioni inaspettate su come alcune malattie cronico-degenerative rispondevano all’estrazione di denti infetti. Una donna soffriva da nove anni di una malattia alla pelle con formazione continua di croste suppuranti. Sollevando una corona era uscita una puzza nauseabonda da un dente che perciò estraemmo. Togliendo quel dente, la sua condizione cronica sparì immediatamente. Un altro paio di osservazioni che feci nel giro di qualche settimana riguardavano: (1.) una undicenne, cui estrassi un dente da latte compromesso; l´effetto più rilevante fu quello di guarirla dalle sue difficoltà di mantenere normali valori di glicemia nel sangue; (2.) un’altra estrazione di un dente da latte infetto portò alla guarigione di una dermatite cronica in un altro ragazzo di dieci anni; i genitori mi segnalarono anche che dopo l’estrazione avevano notato che il ragazzo era diventato molto meno agitato, non faceva più incubi come succedeva di frequente prima, si era liberato della sua occasionale insufficienza respiratoria. Mi ricordai allora cosa era accaduto con mio padre nel 1930. La sua vita sregolata si trovò davanti al verdetto della clinica Universitaria che preannunciava una sua fine prossima a causa di una tubercolosi con infezioni ricorrenti e congestione polmonare. Dovette restare a casa per quanto stava male e ciò non era mai successo in vita sua. Aveva 45 anni. Noi in famiglia eravamo sempre dipesi dal suo lavoro ed ora eravamo sull’orlo del lastrico! Ad un certo punto fu costretto ad andare dal dentista per dei terribili dolori al viso, noi pensavamo che fosse proprio la fine per lui! E invece no, fu la sua salvezza, perché gli trovarono uno stato di degradazione mandibolare avanzata, cioè un’osteomielite sotto tutti i denti che rese necessario estrarre non solo i denti devitalizzati ma anche quelli affianco, allo scopo di pulire l’osso e fermare i dolori. Avendo liberato la bocca da quelle nicchie putride, mio padre guarì, riprese tutti i suoi eccessi, e non ebbe mai più quelle malattie. Visse ancora 32 anni in discreta salute, cioè fino ai 77 anni di età. Certo, aveva dovuto mettere la dentiera, ma era guarito!
Come dice il Dr. G. Pelz in un libro del 1966, «a chi più e a chi meno, cari dentisti, è capitato a tutti di prendere atto, dopo un’estrazione di un dente devitalizzato infetto, delle reazioni entusiaste di pazienti che scoprivano di essere stati liberati da questo o da quel disturbo. Per esempio i pazienti riportavano che nel giro di due o tre giorni dall’estrazione un mal di testa era sparito, o addirittura una sciatalgia, o un dolore lombare. Questo evento, estremamente gratificante per il paziente, viene però spesso considerato una fortunata coincidenza temporale. Ma non si tratta affatto di un caso…». Decisi di tenere gli occhi aperti, volevo avere altri dati perché di certo non riuscivo a pronunciare il mio verdetto su una storia così impossibile da credere: guarigioni definitive e così nette solo dopo l’estrazione di un dente devitalizzato? Denti apparentemente perfetti erano invece compromessi? Ci fu una lunga, lunghissima fase che io chiamerei: l’apprendista ha delle riserve ma inizia a farsi una sua opinione. La perplessità del neofita mi obbligava ad un silenzio prudente.
La mia avida curiosità però ormai stava tracciando il solco di una opinione personale netta in base alle evidenze della scomparsa dei dolori e di una moltitudine di malattie acute o anche croniche! Altro che analisi del sangue, elettrocardiogramma, vaccini, auscultazione e quant’altro!! Io volevo vedere solo l’ortopanoramica quando mi si presentavano pazienti in difficoltà. Più andavo avanti e più diventavo dipendente da quel tipo di osservazione. Per quanto riguarda me, avevo iniziato a soffrire di mal di testa, vertigini e tachicardie poco dopo che all’età di 15 anni ebbi un dente devitalizzato. Dopo 16 anni andai a togliere quel dente e tutti quei problemi scomparvero insieme alla stanchezza. Ero stufo di crisi parossistiche che mi portavano quasi all’invalidità, nonostante una alimentazione curata. Farmaci allopatici, yoga e massaggi non ebbero mai ragione di questi disturbi cronici. Le diagnosi erano state varie: aerofagia, deficienza alla vescica biliare, sinusite, ipertensione. Strano che un 16enne avesse diagnosi di questo tipo. A 31 anni di età mi dissero che bisognava sacrificare l’appendicite. Tutti i medici concordavano nella diagnosi di appendicite cronica e si pensava che in qualche modo stesse contribuendo anche al peggioramento dei miei altri sintomi. Per quasi un anno fui obbligato a lavorare meno ore possibile e sospesi ogni altra mia attività. Prima di accettare la chirurgia per l’appendicite decisi di togliere dalla bocca quel dente che era stato devitalizzato poco prima della comparsa dei miei problemi 16 anni prima. Era un molare superiore che dalla radiografia sembrava ineccepibile, sia come terapia canalare che come tenuta senza infezioni. La gengiva era sana. Comunque la mia decisione era presa. L’assenteismo cronico cui le mie condizioni di salute mi condannavano fu la mia motivazione decisiva. Ritornai alla normalità dopo l’estrazione di quel dente devitalizzato. Che altro aggiungere? Migliaia di osservazioni simili si sono susseguite negli anni seguenti. Era come se un velo si fosse strappato davanti ai miei occhi. Ero entrato nella logica della soppressione della causa dei disturbi.
Abbiamo detto di mio padre, ora vorrei fare una piccola digressione su mia madre. Dopo i dolori reumatici fu colpita anche da un aneurisma. E mentre era saturata di consigli da tutte le parti su tisane e farmaci vari continuava a fare visite da dentisti. Io stesso l’avevo accompagnata a fare qualche devitalizzazione. A fronte dei mal di testa costanti, della paralisi facciale, delle vertigini, dei disturbi reumatici, mia madre sofferente e disperata aveva adottato un regime ferreo di farmaci, d’iniezione per i dolori, ma anche una dieta macrobiotica accortissima. La sua tensione arteriale era arrivata a 29! Disperata aveva anche riposto le sue ultime speranze in riti religiosi e formule magiche. Oggi sicuramente mi crederebbe se le chiedessi di lasciarmi fare le estrazioni dei suoi denti devitalizzati. Secondo me sarebbe un atteggiamento sconsiderato e sbagliato da parte mia quello di insistere nel riportare tutte le patologie ad una causa sola. Ma altrettanto penalizzante e sbagliato sarebbe ignorare questo campo di ricerca. So per certo che la conoscenza di questi fenomeni di causa-effetto possono risultare utili ad un gran numero di persone. I denti devitalizzati diventano “focali” senza che ce ne si accorga e possono iniziare fenomeni distruttivi e infiammatori sull’osso sotto di essi.
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Un ultimo caso recente:
Ciao Lorenzo, oggi abbiamo estratto il molare conciato male. Ci ha messo un bel po’, pensa che è venuto via insieme alla radice l’ascesso, o granuloma o quello che è.
C’è compreso anche un pezzo di gengiva.
Sai che durante la seduta ho perso un sacco di liquido dall’orecchio destro? Me lo aspirava lui con l’aspiratore.

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Lorenzo Acerra
Lorenzo Acerra
Lorenzo Acerra, 40 anni, autore di libri, chimico. Competenze: danni da denti devitalizzati, danni da amalgama, mal di latte. Laureato in chimica industriale, attivista per quasi dieci anni nell'ambito delle intossicazioni da mercurio, relatore ai seminari della Società  italiana di medicina funzionale (SIMF), E' stato uno dei soci fondatori dell'Associazione per la difesa dalle otturazioni di mercurio (ADOM). Ha pubblicato vari libri di medicina naturale tra cui i best-seller Denti tossici e Magnesio (Macro Edizioni). Per contattare Lorenzo Acerra

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